Video: Transiberiana 2009 prodotto da Lluis Jané (sí, quello con i capelli lunghi sono io).
Ho già discusso in un articolo precedente su come pianificare il tuo viaggio sulla transiberiana.
Itinerario: Transmongolica (Mosca-Pechino) con fermate a Irkutz e Ulan-Bator.
Obiettivo: Riuscire ad arrivare a Pechino in 23 giorni, ovvero prima della partenza del nostro aereo di ritorno!
Riusciranno i nostri eroi?
Mosca
Il primo pensiero che mi attraversa la mente quando arrivo a Mosca è che il denaro è in grado di distruggere qualsiasi cosa…
La promessa utopistica di un regime egualitario si è infatti tramutata in capitalismo selvaggio, dove la miseria più atroce convive con il lusso più estremo.
Mi fanno specialmente impressione la luci, simili a quella della polizia, a disposizione delle autovetture di alta gamma che si arrogano così il diritto di destreggiarsi in mezzo al traffico senza rispettare qualsivoglia regola stradale.
Un altro particolare che noto è che qui in Russia sono le donne a svolgere la maggior parte dei mestieri (se si eccettua l’esercito). E’ infatti enorme il numero di donne che si occupa di condurre gli autobus o gestire la sicurezza nelle fermate della metro. Parlando con la gente sembra che l’opinione generale che si hasugli uomini russi è che siano molto più adatti a divertirsi che a lavorare.
La Piazza Rossa a Mosca
La prima cosa che ci preoccupiamo di fare a Mosca è di chiedere in ostello se possono aiutarci a comprare il biglietto di treno sino a Irkutz. Ed effettivamente la cosa non rappresenta un problema.
Non passano cinque minuti che ci informano del fatto che i biglietti di terza classe sono finiti e ci tocca comprare quelli di seconda, un po’ cari.
Ad essere sincero non ho un gran ricordo di Mosca e non ho troppo da raccontarti. Non m’interessa questa città, io voglio andare in Siberia!
Mosca-Irkutz
In tanti mi hanno chiesto cosa si prova a stare per quattro giorni chiuso in treno e se non si muore di noia. Le mie occupazioni quotidiane comprendevano l’incantarsi a contemplare il paesaggio, giocare a carte, studiare il tabellone delle fermate giornaliere, leggere, bere vodka con i viaggiatori russi e, dulcis in fundo, l’escursione al vagone ristorante!
“L’escursione” normalmente ci tiene occupati per più di un’ora. Non perché sia difficile attraversare i sei sette vagoni che ci separano dal ristorante; bensì perché è inevitabile fermarsi a discutere con anziani che ti offrono un bicchiere di vodka e militari diciottenni che ti mostrano alcuni video di sfilate militari su un cellulare e spiegano quanto sia fantastico l’esercito russo. Tutto ciò senza parlare una parola di inglese. Benedetto linguaggio dei segni!
In mezzo alla Siberia
Le fermate lunghe sono un’altra delle mie attività preferite: un’occasione perfetta per scendere dal treno, stiracchiarsi le gambe e andare alla ricerca di altra gente che abbia la faccia di non sapere dove si trova. Durante il tragitto abbiamo conosciuto molti stranieri con i quali abbiamo scambiato impressioni, discusso i nostri respettivi itinerari e, sopratutto, ci siamo lamentati di quanto ci manca una buona doccia.
Dopo aver passato gli Urali ed esserci addentrati in Siberia arriviamo finalmente a Irkutz. La verità è che i giorni di viaggio sono volati e non sono riuscito a finire neanche il primo dei tre grossi libri che mi sono portato dietro.
Non resta che salutare i nostri compagni di viaggio: la simpatica provonista, ovvero colei che si prende cura della carrozza, un chimico cinquantenne che si reca a una conferenza e una madre single che torna a casa con il figlio per le vacanze.
Una casa di legno a Irkutz
Irkutz e il lago Bajkal
Anche se l’idea che mi ero fatto di Irkutz era quella di una città orribile mi è sembrata una città più che degna di una visita, con un lungofiume adatto a lunghe passeggiate e quartieri formati da casette di legno di colori differenti che mi ricordano il lontano occidente.
Ma la vera attrazione di Irkutz è il lago Bajkal, così grande da sembrare un mare, se non fosse per le montagne e i villaggi che lo circondano.
Anche se per me, che ho il sangue mediterraneo, la giornata è un po’ fredda per fare il bagno, non posso resistere e mi butto lo stesso in acqua. Freddo orrendo. Esco correndo. A pochi metri di distanza un gruppo di russi si gode l’acqua del Bajkal in una giornata per loro estiva.
Lago Bajkal
Freschi di doccia e riposati ci accingiamo a continuare il nostro viaggio verso est anche se, visto che viriamo verso la Mongolia, sarebbe più corretto dire verso sud.
Irkutz – Ulan Bator
La notte ha invaso la stazione dei treni di Irkutz già da un po’ ma l’enorme orologio della sala d’aspetto segna ancora le cinque del pomeriggio (si tratta dell’ora di Mosca). Saliamo sul treno e sprofondo in un sonno immenso.
La stazione di Irkutz: Il treno che ci porterà a Ulan Bator
Mi sveglio presto e guardo fuori dal finestrino: il paesaggio sta cambiando lentamente, facendosi sempre più arido. Osservo i miei nuovi compagni di viaggio e, per la prima volta dall’inizio di quest’avventura, ho l’impressione di essere tornato in Asia. Arriveremo presto a Ulan-Ude, l’ultima città che ci separa dal confine mongolo.
La parte peggiore di questa prima tratta di viaggio è l’attraversamento della frontiera, dove siamo costretti ad aspettare quattro ore fuori dal treno senza che vi sia una maniera per ripararsi dal sole.
Nota: Se hai abbastanza tempo ti consiglio di scendere dal treno a Ulan Ude e raggiungere la frontiera in autobus o con un treno locale per poi attraversare la frontiera camminando in modo da evitarti la torturante attesa necessaria per permettere alla polizia di frontiera di controllare il treno da cima a fondo.
Passeremo la frontiera solo a notte fonda. E’ di nuovo ora di dormire. Ci risveglieremo nella capitale mongola, Ulan Bator.
Ulan Bator e dintorni
Anche se Ulan Bator offre alcune attrazioni turistiche, non abbiamo alcuna intenzione di rinchiuderci in città. Ci incamminiamo quindi direttamente verso l’ostello Golden Gobi, che promette di organizzare il tuo viaggio attraverso le praterie che circondano la capitale.
Per un prezzo più che ragionevole dopo due ore siamo già a bordo di un minivan con conducente e traduttrice, alla conquista delle pianure mongole!
Attraverso la steppa
Ci lasciamo così alle spalle la capitale e ci dirigiamo verso l’altopiano, con l'”autostrada” che si trasforma presto in un cantiere. Hai presente la Salerno-Reggio Calabria? Ecco, anche peggio.
La mia impressione è che non riusciranno mai a finire i lavori. E’ quasi come se le intemperie climatiche si divertano ad erodere l’asfalto più velocemente di quanto gli operai riescano ad avanzare con le betoniere.
Quando sembra che già non ci sia più civiltà, ci appare invece una casetta bianca dove ci fermiamo a mangiare un hamburger di carne di yak. Un classico da queste parti. Proseguiamo quindi il camino e un’ora più tardi, con il sedere già distrutto dai salti continui del minivan che avanza sull’asfalto a forma di gruviera, arriviamo alla nostra prima meta, il deserto di Elsen Tasarkhai (Элсэн тасархай, anche chiamato Minigobi).
I cammelli a Elsen Tasarkhai (Minigobi)
Como si fa a trovare un posto per passare la notte nel mezzo della steppa?
La soluzione sembra facile… chiedere.
Sì, chiedere… ma a chi?
Beh, ci sarà pur qualcuno, no?
E in effetti poco dopo ci imbattiamo in una ger, una delle tipiche tende mongole che offrono riparo ai nomadi dispersi nella steppa in maniera apparentemente casuale.
Chiediamo ospitalità ma non abbiamo troppo successo. Mezz’ora più tardi troviamo però una famiglia disposta ad ospitarci. Non passano cinque minuti che appare dal nulla un signore che ci offre una gita in cammello. E’ sorprendente, ma nessuno ha ancora tentato di venderci nulla.
La notte arriva lentamente nell’altopiano nomade. Ma quando arriva, si fa sentire. La temperatura cala in maniera drammatica e la padrona di casa ci offre la cena al lato di una stufa a legna. Durante il pasto abbiamo la possibilità di assaggiare alcune delicatezze locali quali il formaggio di yak, che il mio palato mediterraneo non riesce però ad accettare, e il liquore locale, fatto di latte di yak fermentato. Neanche il liquore è un granché, ma se lo beveva Gengis Khan lo posso bere anch’io!
La nostra prima ger
Meglio non utilizzare il bagno
Dopo varie tazze all’insegna dell’alcool arriva il momento di utilizzare il bagno. Si tratta di un errore, penso di non aver visto niente di peggio… Ad essere sincero ho visto di peggio sia in Cina che in India, ma lì si trattava più di una questione di utilizzo eccessivo.
Riesco a uscire dal bagno trattenendo un conato di vomito e decido che questa sarà la prima e l’ultima volta che ne utilizzerò uno in Mongolia. D’ora in poi mi arrangerò all’aria aperta.
Chi vuole un nome mongolo?
La mattina seguente mi sveglio prestissimo: il fuoco si è spento è fa un freddo orrendo. Penso che dimenticarsi la giacca durante un viaggio in Mongolia sia un errore che non commetterò più.
Dopo colazione riprendiamo il camino. Il conducente si prende sempre più confidenza e, a un certo punto, ha l’idea di affibbiarci un nomignolo mongolo. Ci trasformiamo quindi in “barbuto,” “crapa pelata,” “capelli di paglia” e “mento di capra.”
La giornata trascorre tra il consueto “massaggio” al sedere, un picnic nel prato, la neve che cade anche ad agosto e paesaggi mozzafiato.
Il sole è quasi tramontato quando arriviamo alla valle dell’Orkhon (Орхоны хөндийн), dove ci fermiamo per la notte in compagnia di un’altra famiglia mongola.
Picnic nell’altopiano mongolo
Chi vuole farsi la doccia?
La mattina dopo, prima della passeggiata a cavallo, decido di provare a farmi la doccia nel fiume che scorre al lato della tenda. Si tratta però di acqua che arriva direttamente dai ghiacciai che si stanno sciogliendo. E’ così fredda che riesco solo a lavarmi le mani e la faccia, che rimarrà rossa dal gelo per i venti minuti successivi.
Mi rassegno così ad aspettare il ritorno all’ostello di Ulan Bator per godermi una meritata doccia.
L’alba alla valle dell’Orkhon, ovvero dove tentai di farmi il bagno senza successo
Passiamo quindi la giornata in groppa ai cavalli mongoli, famosi per la loro velocità e resistenza nonostante una stazza tutt’altro che impressionante.
Jiao zi o Бууза
Arriviamo così alla nostra ultima destinazione, il monastero di Erdene Zuu (Эрдэнэ Зуу хийд), uno dei templi buddisti più antichi e famosi della Mongolia. Questa volta ci tocca dormire in un accampamento turistico composto da false ger. E dato che non ci sta ospitando nessuna famiglia dobbiamo cucinare.
Mungu, la nostra traduttrice e guida, ci viene in soccorso e prepara per noi i ravioli mongoli (Buuz, Бууза), che alla fine risultano essere molto simili ai jiaozi cinesi (饺子). Ovviamente con molta più carne!
Ravioli mongoli, o quello che ne resta…
Ritorno a Ulan Bator
Tornati nella capitale ci separiamo emotivamente da Mungu e Kaput (il conducente) e corriamo a farci una doccia. Joder, l’acqua è gelida.
Scendo a parlare con il padrone dell’ostello, il quale mi informa che sono tre giorni che a Ulan Bator, che possiede un sistema di riscaldamento dell’acqua centralizzato, non c’è acqua calda. E vabbé, per una doccia calda mi toccherà aspettare sino a Pechino…
Monastero Erden Zuu
Ulan Bator – Erenhot
I treni diretti Ulan Bator-Pechino funzionano solo a giorni alterni. Il giorno che decidiamo di partire ovviamente il treno diretto non passa. Prendiamo quindi un treno locale sino a Erenhot, che si trova sulla linea di frontiera tra Mongolia e Cina, e poi un autobus sino a Pechino.
Erenhot – Beijing
Lezione culturale cinese
Arrivati ad Erenhot, anziché l’autobus di lusso che ci avevano promesso troviamo ad aspettarci due minivan arrugginiti che, ci pare di capire, dovrebbero portarci a Pechino. Alcuni dei nostri compagni di viaggio iniziano a sbraitare che abbiamo pagato per un autobus di lusso e che da qua senza aria condizionata non si muovono.
Ma come al solito, perdere la calma in Cina è il modo migliore per non ottenere quello che si vuole. La ragazza cinese che sta organizzando il trasporto si chiude infatti in se stessa e dichiara candidamente che chi vuole può restare qui ad aspettare l’autobus, che però non si sa quando arriverà (“mai” è la risposta più probabile).
Chi ha detto che arrivare a Pechino è facile?
Chi ha detto che arrivare a Pechino è facile?
Anche se visto il numero di persone che ospita è tutt’altro che comodo, noi saltiamo sul primo minivan. Il viaggio procede bene sino a che non ci ferma la polizia. L’agente all’inizio sembra gentile ma, quando realizza che il carico trasportato dal minivan è composto da dieci diavoli bianchi, sbrocca.
Inizia così una lunga trafila che prevede il controllo di innumerevoli documenti e l’interrogatorio sommario del conducente. Dopo mezz’ora mi scoccio e scendo dal minivan per accendermi una Yun Yan, ovvero una sigaretta cinese. Mai l’avessi fatto. Appena l’agente si accorge che uno dei diavoli bianchi, cioè io, sta cercando di scappare, mi ordina in malo modo di rientrare dentro il pulmino.
Dopo due ore di trattative il poliziotto ci lascia andare e sembra che, finalmente, possiamo raggiungere la nostra agognata destinazione.
Beh, quasi. E’ infatti a questo punto che scoppia la tempesta estiva che tramuta la strada in un fiume in piena e costringe una buona parte dei viaggiatori a posteggiare le autovetture un po’ ovunque. Il nostro conducente però ha fretta e non accenna minimamente a rallentare. Sarà solo dopo tre ore di slalom tra le macchine parcheggiate che riusciremo a raggiungere la capitale del Regno di Mezzo, con peraltro solo quattro ore di ritardo.
Pechino
Sono passati quattro anni dall’ultima volta che ho visto Pechino. Arriviamo all’ostello in Qianmen Road – Leo Hostel, quello dove avevo alloggiato anche la scorsa volta – e non riesco neppure a riconoscere la strada! La mia impressione è che le olimpiadi del 2008 abbiano completamente trasformato la città.
¿Do u speak Chinglish?
Mi diverto sempre a viaggiare in paesi dove il livello di inglese è pressoché nullo. Mi affascina come, obbligati dalla situazione, si riesca sempre a tirare fuori il massimo dalla nostra immaginazione e a comunicare con i locali.
Ecco un chiaro esempio…
Chi ha detto che la comunicazione in Cina è un problema?
…ma non è sempre così facile.
Dopo aver visitato il Tempio del Cielo siamo stravolti e ci viene la bella idea di farci fare un massaggio. Siccome non sappiamo dove andare fermiamo un conducente di tuk tuk (vedi foto in basso) e iniziamo a mimare un massaggio. Lui sembra capire e ci porta sino a… un rivenditore di biciclette elettriche. No, forse non ha capito.
Iniziamo quindi a mimare di nuovo il massaggio, questa volta in due, ovvero il massaggiatore e il massaggiato. Lui si illumina d’immenso e ci porta sino a un salone di bellezza.
Ci sono varie ragazze sulla porta e la prima impressione non è delle migliori. Però fuori il sole picchia forte e decidiamo comunque di entrare.
L’attrazione della serata
Le ragazze ci portano in stanze separate e il massaggio ha inizio. La mia massaggiatrice non sembra troppo professionale e inoltre è molto più interessata ai peli che fuoriescono dalla mia camicia che a farmi un vero massaggio.
Improvvisamente due ragazze escono correndo dalle stanze adiacenti e scoppiano a ridere nel corridoio. La “mia” ragazza si unisce a loro e, quando torna, mi chiede di togliermi la maglietta e, dopo essersi portata la mano alla bocca, indica ripetutamente il mio torace. Gli scimmioni stranieri sono diventati l’attrazione della serata. E pensare che abbiamo anche pagato per questo!
That’s all folks!
Procediamo quindi a passare una settimana a Pechino, per lo più bevendo birra fredda e mangiando jiaozi.
Un anno dopo tornerò a Pechino, stavolta per restarci!
Ringrazio i miei amici per la buena onda durante il viaggio e per avermi aiutato a raccogliere le foto che ho pubblicato in questi tre articoli.