Introduzione
Oltre che per lo spropositato numero di abitanti, la Cina è famosa nel mondo per la sua millenaria cultura.
La cultura cinese si è sviluppata secondo molte forme come la calligrafia, le arti marziali, la medicina, la lavorazione della porcellana, la pittura, la poesia e tanto altro.
Nonostante l’origine di queste manifestazioni culturali si perda nella notte dei tempi, la loro forma odierna è stata plasmata dal pensiero di filosofi che, da 2500 anni, come diligenti agricoltori, hanno seminato, in quantità, la saggezza e i principi universali che impregnano la cultura del popolo cinese. E’ da questa cultura che sono germogliate le arti che ne costituiscono la diretta manifestazione.
In questo articolo cercherò di dare una panoramica e suggerire spunti di approfondimento su tre pensatori e filosofi, universalmente riconosciuti come i più significativi in termini di impatto sulla società cinese.
Attraverso una sintetica recensione dei loro libri più letti e riportando alcuni elementi delle loro biografie, proverò a presentare il loro pensiero per come l’ho capito io, in modo semplice e trasparente.
Sto parlando del “Dao De Jing” di Lao Zi, vera bibbia della filosofia taoista, de “I Dialoghi” di Confucio, per un concreto e significativo approccio al Confucianesimo, e de “Il Libro di Lord Shang” di Shang Yang, che rappresenta il principale esponente del cosiddetto legismo (o legalismo).
Inquadramento epoca storica
Contrariamente a quanto viene propagandato oggi dal governo cinese per evitare che il paese gli si sgretoli fra le mani, la Cina raramente è stata unita e la realtà non corrisponde affatto all’idea del monolite perpetuo che molti hanno, sia fra i cinesi che che fra gli occidentali.
Al contrario, le divisioni fra regioni, province e perfino città hanno sempre dominato nell’arco delle stori,a creando vari regni in continua competizione tra loro sia economicamente, che militarmente e politicamente.
Ciò a portato a lunghi periodi di guerra che si sono susseguiti con cadenza molto ravvicinata e che spesso, almeno a partire dal 1000 a.C., sono stati più o meno dettagliatamente documentati dai solerti scrivani al servizio dei vari sovrani.
Fra i periodi più tumultuosi ci sono sicuramente quello denominato “delle primavere e degli autunni” che va dal 770 a.C. al 475 a.C., e quello denominato “degli stati combattenti” che va dal 475 a.C. al 221 a.C.
Durante i circa 500 anni compresi in questi due periodi la Cina ha visto un cambiamento della società, che si è trasformata da una società basata sulla schiavitù ad una di tipo feudale che ha portato al proliferare di signori e signorotti locali: i “War Lord” (o Signori della Guerra che dir si voglia).
Nel vortice della guerra perpetua le nazioni si ricoprivano di gloria o venivano annientate da eserciti nemici o, non meno di frequente, da congiure di palazzo tra regnanti, burocrati e capi militari.
Filosofi e regnanti
Mentre i combattimenti distruggevano le terre coltivate, ne assorbivano i frutti e decimavano i contadini-soldato, la qualità della vita della popolazione scendeva in picchiata.
In questa tragica situazione gli intellettuali cercavano una via di uscita dal ciclo delle carestie e del caos provocato dalle continue guerre, dalle congiure e dai tradimenti. Cercavano inoltre dei regnanti disposti ad ascoltarli per poter mettere in pratica tale via d’uscita.
Da parte loro, i regnanti capirono la necessità di avere consiglieri fidati che indicassero loro una via percorribile per il mantenimento del potere e il rafforzamento dello stato.
Questa convergenza di interessi tra intellettuali e regnanti ha fatto sì che durante queste due epoche storiche (che vanno dal 770 A.C. al 221 A.C.) si sviluppassero varie scuole di pensiero. Le più influenti e determinanti, sia all’epoca che nei millenni a venire, furono il Taoismo, il Confucianesimo e il Legismo.
Queste filosofie di vita (e di governo) si proponevano in primis di educare il sovrano per poi, attraverso di lui, educare tutta la popolazione a stili di vita tesi a produrre uno stato forte e una società equa e retta dalla virtù, che combattesse la corruzione dilagante e le malversazioni che impoverivano lo stato e i suoi abitanti.
Importanza storica delle correnti filosofiche di pensiero
Per capire l’importanza storica delle correnti filosofiche di pensiero basta notare che per circa 1300 anni (dal 600 d.C. circa al 1905 d.C.), con brevi interruzioni, l’unico modo di accedere alla cariche pubbliche ufficiali, sia amministrative che militari, era quello di superare esami di stato basati sullo studio dei classici letterari , tra i quali erano comprese anche le pubblicazioni dei filosofi oltre che di naturalisti, matematici e alti ufficiali dell’esercito.
Tutti coloro che detenevano il potere, sia a livello provinciale che regionale e statale, dovevano applicarsi in anni di studio per dimostrare di conoscere approfonditamente alcuni testi base definiti da una commissione imperiale, pensati per plasmarne le menti e indirizzare il loro futuro modo di governare.
Da ciò si può comprendere l’estrema importanza di queste correnti di pensiero nella storiografia cinese e di come esse abbiano condizionato, e ancora condizionino, il modo di vivere e di pensare di ogni cittadino cinese; oltre che della classe dirigente che, nelle varie epoche storiche fino a noi, le ha fatte proprie, spesso con sincera dedizione, a volte con una adesione solo di facciata.
Risvolti odierni
Anche dopo l’abolizione degli esami di stato per l’accesso alle cariche pubbliche, avvenuta nei primissimi anni del 1900, coloro che intendevano ricopre posizioni di potere sia nell’epoca seguente alla proclamazione della repubblica del 1911 sia nell’epoca della repubblica popolare proclamata nel 1949 (e che dura tutt’oggi), si cimentano nello studio di questi immortali classici.
La loro conoscenza infatti, si rivela molto utile sia per affrontare le sfide di governo sia per affrontare e vincere le sfide della vita quotidiana.
Questo si verifica poiché le perle di saggezza che ci donano sono senza tempo e legate alla natura intrinseca dell’essere umano, in qualsiasi parte della terra e in qualunque epoca storica ci si trovi a vivere.
Inoltre, con l’avvento dell’istruzione di massa negli anni sessanta-settanta, tutti i cittadini cinesi hanno la possibilità di leggere questi grandi classici e la loro influenza sulla società ne esce notevolmente amplificata fornendo una formidabile chiave di lettura dei comportamenti, dei rituali, della mentalità e, in ultima analisi, dell’insieme della società e della cultura cinese.
Taoismo: Lao Zi e il “Dao De Jing”
Chi non conosce il simbolo del Tao (Dao)?
Almeno dal punto di vista grafico il Tao ha avuto una incredibile diffusione mondiale anche se, generalmente, il suo significato rimane sfuggente.
Infatti, riguarda una dimensione interna che all’occidentale è spesso difficile da digerire ma che, in fin dei conti, lo affascina.
Il disegno stesso ha racchiusi in sé gli elementi della filosofia taoista poiché rappresenta lo Yin (il nero) e lo Yang (il bianco), sottolineando con il punto bianco in campo nero, e viceversa, la loro inscindibile reciprocità: nel bene c’è sempre una punta di male e viceversa.
La forma geometrica di cerchio non è casuale e rappresenta la perfezione della natura; un espediente grafico già noto ed utilizzato negli stessi anni da Platone in Grecia.
La linea sinuosa centrale di separazione fra Yin e Yang identifica la vita, che viene regolata e allo stesso tempo è testimone dell’alternarsi dei due poli.
Lao Zi: cenni biografici
La vita di Lao Zi, che letteralmente significa “vecchio maestro”, rimane per lo più un mistero in cui si crea ampio spazio per la leggenda.
Le cronache storiche riportano che nacque in un piccolo paesino (Chu Jen) nello stato di Chu, situato nella Cina sud orientale fra il VI e il V secolo a.C.
Come archivista della corte reale ha goduto di ampio accesso a una vasta quantità di libri classici dell’epoca che lo hanno sicuramente molto aiutato a elaborare e chiarificare la sua visione filosofica.
Non amava parlare tanto o propagandare le sue idee, e l’unico scritto che abbiamo a testimonianza del suo pensiero è il Dao De Jing, una raccolta di 81 brevi odi che contengono in tutto solamente cinque mila caratteri circa.
La leggenda vuole che il libro sia stato scritto mentre stava viaggiando per raggiungere un luogo isolato per vivere il resto della sua vita come eremita dopo che, in età molto avanzata (forse 80 anni), entrò in conflitto con la casa regnante.
Si tramanda, infatti, che una guardia di frontiera lo abbia riconosciuto e che, essendo un suo seguace, gli abbia chiesto di scrivere il suo pensiero in cambio del lasciapassare.
Si tramanda inoltre che morì come un eremita ad una età superiore ai 90 anni, che per l’epoca era davvero un evento straordinario.
Il Dao De Jing
Il titolo si compone delle parole Via o Percorso (Dao), Morale (De) e Classico o Saggio (Qing) e potrebbe essere tradotto letteralmente come “Saggio sulla Via Morale”.
Purtroppo, la parole straniere si portano dietro il significato “occidentale” e non riescono a rendere l’intrinseco concetto che invece rimane manifesto per il lettore cinese.
E’ da notare che, sebbene il libro risalga a 2,500 anni or sono, le modificazioni subite dalla scrittura, in Cina, sono talmente limitate che il lettore cinese può leggere il testo originale senza bisogno di traduzioni o modifiche.
Purtroppo la traduzione del testo, seppure sia stata fatta in moltissime lingue e affrontata da una miriade di eminenti linguisti e sinologi (a partire dai primi missionari che arrivarono in Cina verso la metà del 1600 d.C.), a detta degli stessi traduttori, non riesce a rendere appieno la profondità dei concetti e deve, per forza di cose, lasciare spazio all’interpretazione personale.
Consiglio quindi a chi ne volesse approfondire i contenuti di leggere varie traduzioni per formarsi un’idea personale.
Come già detto, il testo è strutturato in 81 odi espresse senza ridondanza né sprechi di parole, ma in maniera diretta e pungente, con l’utilizzo di esempi e metafore per esprimere i vari concetti che donano loro una semplicità disarmante.
Concordo in pieno con il giudizio del traduttore e sinologo Brian Browne Walker, secondo il quale il trattato è “uno dei libri più saggi che sia mai stato scritto” e, (per dirla come piacerebbe a Lao Zi) non affrontando nessun argomento particolare, li affronta tutti.
Uno dei concetti più ricorrenti è quello della dualità dello Yin e dello Yang, che nella loro successione senza tempo, tutto costruiscono e tutto distruggono; sono complementari e l’uno non può esistere senza l’altro.
Mentre lo Yang rappresenta il sole, la forza, la durezza, la mascolinità; lo Yin rappresenta la luna, la debolezza, la morbidezza, la femminilità.
Questa dualità è espressa più volte fin dall’ode di apertura del libro (la n.1) in frasi come “facile e difficile si danno compimento fra loro” oppure “lungo e corto si danno misura tra loro” e ancora “se qualcosa viene giudicata buona le altre diventano cattive” e così via.
I consigli principali per il sovrano vengono espressi esplicitamente nelle odi n. 2 e 3, dei quali il principale è quello di “non agire” dicendo: “poiché egli pratica il non agire non vi è cosa che non sia governata”.
Questo consiglio si basa sulla ferma credenza dell’autore che facendo una cosa buona automaticamente, per la dualità Yin-Yang, si dà il via ad una cattiva e che l’unico scampo da questa ferrea legge della natura sia di non cercare di controllare gli eventi ma di affrontarli con la giusta attitudine in modo da far si che tutto vada per il meglio.
Ad esempio, viene detto nell’ode n.3 che “non premiare i più capaci fa sí che il popolo non contenda” e che “non accumulare beni difficili da ottenere fa sí che il popolo non diventi ladro” e così via.
I consigli proseguono lungo tutta l’opera e via via se ne chiarisce il significato: “per realizzare il proprio interesse, deve essere privo di interessi” e “ponendo al di sotto la sua persona, verrà messo al di sopra”.
Questi concetti sembrano molto lontani dal un punto di vista occidentale (vedi ad esempio il propagandato “governo del fare” di Renzi) ma in realtà, a ben vedere non sono poi cosí astrusi.
Porto un esempio su tutti per chiarire il significato dell’ultima frase citata: “ponendo al di sotto la sua persona, verrà messo al di sopra”.
Se siamo dei bravi calciatori e alla fine di una partita dove abbiamo fatto molti gol diciamo che in fin dei conti non abbiamo fatto poi molto, allora saranno gli altri che ci incenseranno e diranno che invece siamo stati fondamentali; se invece dicessimo che tutto è successo grazie alla nostra superba bravura, allora l’ascoltatore scoverà sicuramente qualche difetto nella nostra prestazione e dirà che abbiamo fatto i gol solo grazie al supporto fondamentale della squadra.
Da questo esempio si evince il codice di condotta suggerito da Lao Zi al sovrano, sintetizzabile in: “non fare affinché tutto sia fatto”.
Il libro, nel suo complesso, è un inno alla natura (umana e materiale) e alla ricerca della completa armonia con essa da ottenere con la soppressione dell’ego tramite la meditazione e la pratica del silenzio: “coloro che sanno non parlano, coloro che parlano non sanno”.
Da notare che il creatore di tutto è femminile e non maschile come nel resto delle religioni o filosofie, sia nei tempi antichi che moderni: “Lo spirito della valle non muore, è la misteriosa femmina. La porta della misteriosa femmina è la fonte del Cielo e della Terra.” ode n.6.
Per concludere questa brevissima presentazione non si può non citare lo stretto legame che il taoismo ha sempre avuto con le arti marziali tradizionali cinesi.
Questo legame prende le mosse dal lavoro che necessariamente il praticante deve fare sul proprio corpo e sulla propria mente, che lo porta a creare una completa armonia con la natura stessa.
La rinuncia all’ego e la meditazione, la mente calma e vigile, l’alternarsi del pieno e vuoto, della difesa e dell’attacco, del rigido e del flessibile, costituiscono la base di qualunque pratica marziale tradizionale cinese.
Qui trovi una versione integrale tradotta in italiano.
Diffusione nelle varie epoche
Il Taoismo, e di conseguenza il suo principale strumento, il Dao De Jing, ha goduto di fortune alterne nelle varie epoche storiche e, spesso, ha giocato un ruolo importante nel promuovere alcune rivolte che hanno portato alla caduta di re e imperatori.
Forse per questo motivo è stato più volte ostracizzato, e vari tentativi sono stati fatti di fonderlo con il Buddismo e il confucianesimo per tentare di soffocarne alcuni concetti invisi ai regnanti delle varie epoche.
Inoltre, rappresentando il fondamento filosofico di molte delle arti marziali cinesi, è stato più volte represso brutalmente per la sua pericolosità verso gli organi di potere.
Ciò nonostante, tutti questi tentativi non sono riusciti a eliminarlo dalla scena sociale e politica, e di tanto in tanto alcuni regnanti lo hanno adottato come filosofia ufficiale nei loro stati.
Al giorno d’oggi il taoismo viene ancora praticato e si contano innumerevoli templi taoisti sparsi per la Cina, dove i monaci praticano esercizi per il mantenimento del corpo (Qi Gong) e della mente (meditazione), studiano la medicina tradizionale cinese (diventando ottimi medici) e pregano per ricordare gli anniversari delle loro figure protettrici.
Il Tempio della Nuvola Bianca (Baiyun Guan) di Pechino è uno dei templi taoisti tuttora funzionanti più grandi della Cina ed è sede dell’associazione taoista cinese.
Confucianesimo: Confucio e i “Dialoghi”
Confucio (o Kong Fu Zi, che letteralmente significa “Gran Maestro Kong”) è sicuramente una delle figure cinesi fra le più conosciute a livello mondiale. Il suo nome evoca il concetto stesso di saggezza.
Molti dei suoi aforismi sono diventate massime di uso comune pressoché in tutte le parti del mondo e a volte sono state “prese in prestito” da altri pensatori, filosofi o addirittura da profeti di varie religioni.
Tra queste, una delle più famose alle nostre latitudini è di certo la “regola d’oro”, scritta nel paragrafo 23 del quindicesimo libro de “I dialoghi” che recita:
Zigong chiese: “Esiste una parola che valga per tutta la vita dell’uomo?”.
Il maestro disse: “Essa è la reciprocità: Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te,” che è stata scritta almeno 400 anni prima della nascita di Cristo.
A mio avviso, questo ci fa capire come i suoi insegnamenti e il suo pensiero abbiano influenzato, e influenzino tuttora, non solo il popolo cinese ma tutti noi.
Qui trovi una raccolta degli aforismi più belli e famosi di Confucio.
Confucio: cenni biografici
Confucio nacque nel 551 a.C. in un principato (lo stato di Lu) situato nella Cina centro-orientale, nell’odierna provincia dello Shandong.
Perse il padre all’età di tre anni e fu allevato dalla madre che, pur in povertà, riuscì ad assicurargli una buona istruzione focalizzata sulle cosiddette sei arti (riti, musica, calligrafia, matematica, guida dei carri e tiro con l’arco), che costituivano la base dell’educazione nobiliare.
Il periodo in cui visse consentiva anche a persone di umili origini di ottenere un certo rango sociale grazie alle loro doti intellettuali, ed egli riuscì ad occupare alcune cariche pubbliche, di cui la più elevata fu quella di ministro della giustizia.
Nel 533 a.C. si è sposato per poi divorziare dopo breve tempo, dato il carattere prepotente della moglie da cui comunque ebbe un figlio che, però, morì prematuramente, prima del padre, all’età di 49 anni.
Dal 496 a.C., dopo essere entrato in contrasto con i governanti, prese la via dell’esilio e passò la seconda parte della sua vita girovagando tra una corte e l’altra, in cerca di un sovrano abbastanza illuminato da sceglierlo come consigliere.
Sconsolato per non essere stato ascoltato, nel 483 a.C. tornò nel suo paese natale dopo 13 anni di esilio, per ritirarsi a vita privata come insegnante.
Pur non avendo avuto fortuna con i regnanti, ebbe comunque moltissimi discepoli, che furono determinanti nel comunicare il suo pensiero e riuscirono perpetuare la sua fama e le sue idee negli anni a venire.
Morì nel 479 a.C. all’età di 72 anni.
I Dialoghi (Lun Yu)
Una delle fonti più dirette e chiarificatrici del suo pensiero è il libro intitolato “I Dialoghi”, che riporta molte delle sue parole, sebbene sia stato scritto, probabilmente dai suoi discepoli, a circa 60 anni dalla sua morte, tra il 411 a.C. e il 404 a.C.
Il libro è strutturato sotto forma di dialoghi, appunto, con le domande dei discepoli e le risposte del maestro.
È composto da 20 libri (che ne formano i capitoli) di lunghezza generalmente molto ridotta, il ché ne fa un vero condensato di pensieri e aforismi.
Per capire il suo pensiero bisogna notare che Confucio incontrò Lao Zi (di cui fu contemporaneo) e ne rimase impressionato. Così descrisse l’incontro:
“Degli uccelli so che hanno le ali per volare, dei pesci so che hanno le pinne per nuotare, e degli animali selvatici che hanno le zampe per correre. Per le zampe ci sono le trappole, per le pinne le reti e per le ali le frecce. Ma chi sa come fanno i draghi a cavalcare venti e nuvole per salire in cielo? Oggi io ho visto Lao Zi, ed egli è un drago”.
Da lui mutuò sia l’idea del Dao (la Via), sia l’assunto che tutto ha origine dal cielo, sia la concezione che l’uomo superiore deve essere come acqua: incomprimibile ma senza forma; delicato ma in taluni casi dirompente.
Ciò che distingue però i due filosofi in maniera netta è l’importanza estrema che egli dà alla pratica dei rituali, che invece Lao Zi considerava ipocrisia e assurdità.
Come dice Tiziana Lippiello nel suo libro (il Confucianesimo): “La Via Confuciana si pone come meta il coronamento del processo di formazione e maturazione dell’uomo”.
I principali concetti del suo pensiero sono: il rispetto dei rituali e lo studio dei classici, il comportamento virtuoso, il giusto mezzo e l’amore filiale.
Lo studio dei classici e il rispetto dei rituali, intesi come etichetta, giocano un ruolo fondamentale e sono spesso richiamati.
Per rituali si intende tutta quella serie di tradizioni e norme non scritte che sono tramandate tra le varie generazioni e che, secondo Confucio, quando praticati, perpetuano il senso di appartenenza al genere umano e portano la persona ad ottenere serenità interiore e nobiltà d’animo.
Tale pensiero pervade l’intero libro e viene espresso in modo chiaro al libro 8, paragrafo 8: “ci si eleva con il classico delle odi; ci si rende autonomi attraverso le tradizionali norme di condotta; si cresce grazie alla musica”.
Le virtù a cui Confucio più spesso fa riferimento sono la rettitudine, che quando manca deve provocare il sentimento di vergogna (intesa come inadeguatezza), e la benevolenza, di cui la “regola d’oro” sopracitata ne costituisce la base fondamentale.
Il giusto mezzo viene inteso non come punto intermedio, ma come la capacità dell’uomo nobile d’animo di comprendere il ruolo che di volta in volta più gli si addice (come l’acqua che prende la forma del recipiente in cui è contenuta), e di non sprofondare nell’arroganza di chi ha la lingua che corre più veloce delle sue reali possibilità.
Ciò viene rimarcato chiaramente nel libro 4, paragrafo 22: “gli antichi erano molto cauti nel parlare perché si sarebbero vergognati (per mancanza di rettitudine) se le loro azioni non fossero state all’altezza dei discorsi”.
L’amore filiale è un altro concetto fondamentale che, oltre che per propri i genitori, si deve manifestare anche nel rapporto con il sovrano.
Infatti, nella logica confuciana, la devozione che si mostra ai familiari si manifesta in ambito sociale nel rispetto assoluto per i propri superiori.
Cito dal libro 1, paragrafo 2:
“E’ raro che disobbediscano ai superiori coloro che sono dotati di pietà filiale per i maggiori. L’uomo superiore coltiva le fondamenta, e se le fondamenta sono ben salde, la via è stabilita. La pietà filiale e il rispetto per i più anziani costituiscono le fondamenta della virtù dell’umanità”.
La figura del sovrano illuminato che può attuare il buon governo, si configura come colui che possiede tutte le caratteristiche descritte, e che può quindi essere definito come l’uomo superiore.
In particolare il sovrano deve, tramite l’esempio, guadagnare il consenso del popolo, come spiegato nel libro 13, paragrafo 6:
“Se egli stesso è a posto, sarà obbedito senza che emani alcun ordine. Se invece non è a posto, non sarà obbedito neanche se ordina.”
E ancora in riferimento al buon governo al libro 2, paragrafo 1, dice: “Governare con la virtù può essere paragonato alla stella polare, che sta al suo posto mentre le altre stelle le fanno da corona”.
Un altro aspetto importante, legato a quanto detto poc’anzi, è quello in cui il sovrano viene incitato a non affidarsi troppo alle punizioni come mezzo di governo e far prevalere sulle leggi le norme rituali, in quanto, cito dal libro, paragrafo 3:
“Se il popolo è regolato dalle leggi ed uniformato dalle punizioni, esso cercherà di evitarle ma non sentirà alcun senso di vergogna (non sarà retto). Se invece esso è guidato dalla virtù e uniformato attraverso le norme di buon comportamento e attraverso i riti, il popolo coltiverà il senso di vergogna (si comporterà con rettitudine), e quindi progredirà.”
Quest’ultimo aspetto ha fatto sì che i funzionari confuciani delle varie epoche creassero dei sistemi legislativi basati sulle norme rituali che hanno lasciato evidenti tracce nel sistema tuttora in utilizzo.
Si può certamente dedurre dal complesso del suo pensiero che la morale confuciana è focalizza sul comportamento e sulle relazioni sociali, mentre tende ad ignorare tutti quegli aspetti che riguardano il potere dell’individuo e tende ad essere estranea al senso di colpa e di pentimento (propri delle sfera individuale), per privilegiare il senso di vergogna (propria delle relazioni sociali).
Tutto ciò ha ancora molta rilevanza nel comportamento dei cinesi, che tendono a seguire il comportamento della massa, anziché prendere troppe iniziative individuali.
Diffusione nelle varie epoche
Delle tre correnti di pensiero prese in considerazione in quest’articolo, il Confucianesimo è sicuramente quello che ha goduto di maggiore diffusione nelle varie epoche storiche, essendo stato adottato come filosofia dello stato da innumerevoli dinastie e lasciando una duratura e profonda eredità alle generazioni future.
Da quando la prima dinastia Han, a partire dal 201 a.C., lo ha adottato come filosofia ufficiale del regno, il confucianesimo ha dominato la scena politica e sociale cinese.
Analizzando le varie epoche storiche nel loro complesso, si può osservare che quando la Cina si è trovata in un periodo di unità sotto una potente dinastia, il confucianesimo ha prosperato, mentre nei periodi di divisione il buddismo e il taoismo gli contendevano il primato.
Infatti, dopo la fine della dinastia Han, nel 220 d.C seguirono tre secoli di decadenza del confucianesimo che poi tornò in auge durante le seguenti dinastie Tang, nel (618-907 d.C.), e Song (970- 1279 d.C.); periodi in cui tutti funzionari pubblici venivano formati sui testi di Confucio denominati i 5 classici, e in cui venne istituito l’esame imperiale di accesso alle cariche pubbliche.
Seguì il periodo di dominazione mongola (dinastia Yuan) che durò 100 anni circa, durante il quale fù il buddismo a dominare la scena culturale e politica.
Durante le ultime dinastie Ming (1368-1644 d.C.) e Qing (1644-1911 d.C.), il confucianesimo tornò prepotentemente alla ribalta e l’ultima dinastia che ha regnato sulla Cina (la Qing), adottò il confucianesimo quale cultura ortodossa e di stato.
Durante le guerre dell’oppio del XIX secolo, che videro l’immenso “Impero di Mezzo” soccombere a una nazione (l’Inghilterra) infinitamente più piccola, la Cina si rese conto della sua arretratezza tecnologica.
Poiché la pressione dell’occidente non poteva più essere ignorata, si cominciò a sviluppare la tendenza a mantenere il confucianesimo quale sistema fondante delle relazioni sociali ma, nel contempo, ad adottare un atteggiamento più recettivo verso la scienza e le tecnologie occidentali.
Questo processo (in estrema semplificazione) è noto come neoconfucianesimo.
Durante la Cina comunista post-rivoluzionaria, il confucianesimo (o meglio il neoconfucianesimo) venne etichettato da Mao Zedong come il “veleno lasciato dal feudalesimo”.
Dopo la morte di Mao però, avvenuta nel 1976, il confucianesimo, è stato rivalutato nell’ottica di un recupero della tradizione e, a tutt’oggi, gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’identità cinese messa a dura prova dalla sfide della globalizzazione.
Legismo: Shang Yang e “Il Libro di Lord Shang”
Delle correnti filosofiche di pensiero prese in considerazione il legismo è la meno conosciuta a livello mondiale, al pari del suo esponente più rappresentativo, Shang Yang.
Cionondimeno ha avuto una grande influenza sulla storia cinese poiché è quella che fu adottata dal regno di Qin che, gestendo il governo tramite questa filosofia, riuscì ad unificare la Cina per la prima volta nella storia, sotto il regno di Qin Shi Huangdi, nel 221 a.C.
Come dice la parola stessa, questo modo di intendere la vita e il governo pone al di sopra di tutto il rispetto della legge, al contrario di Confucio secondo cui la legge doveva essere subordinata ai rituali (alle tradizioni), e dei taoisti che predicavano un mondo in cui le leggi erano assoggettate alla natura, alla “Via”.
Il legismo, per la sua disumanità e spietatezza, portò a continue rivolte e alla aberrazione del rogo dei libri, successo poi anche in occidente, anche se circa 2,000 anni dopo, ad opera della Germania nazista.
Fu causa di sventura anche per Shang Yang, che pagò con la vita la sua inflessibilità nell’applicazione delle efferate punizioni che derivano dall’applicazione del suo pensiero.
Shang Yang: cenni biografici
Nacque nello stato di Wei, nella parte nord orientale della Cina – che include parti degli odierni Henan, Hebei, Shanxi, e Shandong, – nel 390 a.C. nel periodo cioè degli stati combattenti.
Studente abile e intelligente, diventò un uomo ambizioso e dinamico, convinto di sapere come risolvere i mali del suo tempo.
Si dice che il suo protettore, prima di morire, implorò il duca reggente di promuoverlo alle più alte cariche o di giustiziarlo all’istante, tanto temeva che se la sua intelligenza fosse messa al servizio di un altro stato.
Il duca reggente però non ebbe mai apprezzamento per lui e gli affidò solo cariche minori che non soddisfarono la sua grande sete di potere, e che lo spinsero ad emigrare nel vicino stato di Qin alla ricerca di un sovrano che lo sapesse apprezzare.
Qui riuscì a carpire la fiducia del sovrano che gli affidò il compito di avviare profonde riforme sociali ed economiche per risollevare lo stato che stava perdendo terreno nei confronti dei suoi vicini rivali.
Riuscì anche a convincerlo ad intraprendere una campagna militare contro lo stato di Wei (suo territorio di origine), e a metterlo a capo dell’armata di invasione.
Nel 341 a.C. riportò una schiacciante vittoria, catturando il principe che comandava le armate nemiche e riuscendo così ad annettere gran parte del territorio di Wei e ad avere la sua rivincita.
Solo ora i regnanti di Wei compresero le parole del suo protettore quando esortava a promuoverlo a primo ministro o giustiziarlo.
Tornò dal sovrano di Qin come un conquistatore; ciò gli procurò la possibilità di ricoprire alte cariche pubbliche, e di acquisire la sufficiente autorità necessaria per poter mettere in atto il suo piano rivoluzionario di riforme.
Si racconta che per dimostrare la sua serietà e risolutezza alla popolazione, prima dell’avvio del piano di riforme, affisse sulla porta sud della capitale un annuncio che dichiarava che avrebbe dato personalmente 10 monete d’oro a chi avesse portato la pergamena alla porta nord.
Nessuno lo fece poiché tutti dubitavano della cosa, data la facilità del compito rispetto alla grandezza del compenso.
Allora alzò il premio a 50 monete d’oro e quando un cittadino eseguì il compito gli diede subito e pubblicamente quanto promesso: da quel giorno nessuno dubitò più delle sue parole.
Il suo programma di riforme si rivelò molto efficace, tanto che lo stato di Qin diventò in breve tempo una potenza tale da essere in grado di sconfiggere gli altri stati e unificare la Cina sotto il suo dominio per la prima volta nella storia.
Tutti questi successi, militari e civili, gli permisero di accumulare grandi ricchezze e di vivere una vita molto agiata ma, al contempo, la sua inflessibilità nell’applicazione della legge (che lo portò a punire addirittura il successore designato al trono) offese mortalmente la nobiltà feudale, che mal tollerava di dover sottostare a codici e regole.
Fu così che quando l’imperatore morì e salì al potere il suo successore (che lui aveva offeso, punendolo) nel 338 a.C. le sue fortune terminarono di colpo.
Il nuovo sovrano, infatti, inviò l’esercito ad affrontarlo e, nel 338 a.C., dopo averlo sconfitto in battaglia, lo uccise barbaramente, seviziando ed esponendo il cadavere. In seguito, seguendo un’usanza consolidata, sterminò tutta la sua famiglia.
Il Libro di Lord Shang (Shang Chun Shu)
A dispetto del nome, molto probabilmente non fu Shang Yang a scrivere questo testo, che comunque è giunto a noi in forma parziale in quanto alcuni capitoli sono andati perduti per sempre (come i capitoli 16, 21, 27, 28 e 29 almeno).
Più probabilmente il libro è il risultato di una raccolta di scritti legalisti messi assieme gradualmente, nell’arco di circa 100 anni, e completato nel III secolo a.C. Gli ultimi capitoli sembrano essere il frutto dell’esperienza fatta nell’applicazione di queste teorie politiche.
Il proposito principale dello scritto è quello di mostrare al sovrano come assicurarsi che il suo stato sia vittorioso sugli altri, e che il suo potere non sia mai minacciato né dall’esterno né dall’interno.
Al contrario del taoismo e del confucianesimo, parte dall’assoluta e netta convinzione che l’uomo sia un “animale” cattivo per natura, che deve essere tenuto continuamente sotto controllo e sotto torchio dal sovrano.
Per ottenere e mantenere il completo controllo su ogni suddito (nobile o contadino che sia), il legismo, come suggerisce il nome stesso, si affida alla costituzione di un corpo di leggi.
Questa proposta, che al giorno d’oggi potrebbe sembrare ovvia, al tempo dei signori feudali cinesi non lo era affatto.
Basti pensare che nessuno stato, fino a quel momento, aveva mai avuto qualcosa di simile ad un codice di leggi, e che il potere era basato su leggi non scritte e tramandate dai nobili feudatari, che potevano di volta in volta decidere arbitrariamente e a loro piacimento su ogni tipo di questione.
Il punto centrale del programma legista, al contrario, si basa sull’istituzione di un codice legislativo (scritto) da applicare in maniera assolutamente uniforme e senza alcuna eccezione ad ogni cittadino dello stato, come esplicitato chiaramente nel capitolo 17 :
” …dai ministri dello stato e generali, giù passando dai grandi ufficiali fino ai popolani ordinari, una qualsivoglia disobbedienza agli ordini del sovrano, violazione delle proibizioni o ribellione contro i dettami stabiliti dal sovrano, deve essere punita con la morte e non deve essere perdonata.”
Già da questa frase si evince che le punizioni devono essere severissime, concetto che viene introdotto e spiegato nel capitolo 13:
“A riguardo dell’applicazione delle punizioni, le infrazioni leggere devono essere punite pesantemente; poiché facendo sì che le infrazioni leggere non accadano, automaticamente le infrazioni pesanti non si verificano. Questo si dice abolire le pene per mezzo delle pene, e se le pene vengono abolite gli affari di stato avranno successo.”
Una prima conseguenza di un sistema di questo genere è che non necessita di persone particolarmente intelligenti o sagge poiché, basandosi sulla legge, si amministra quasi da solo. Cito dal capitolo 3:
“Il modo migliore per governare un paese è tramite la legge e la chiarezza dei funzionari; quindi non è necessario affidarsi a pensatori particolarmente intelligenti.”
Attraverso tutto il libro (e a ben vedere anche nelle frasi precedentemente riportate) si assume che lo stato sia totalmente centralizzato nelle mani del regnante e che sia privo di personalismi di qualsiasi tipo. Cito dal capitolo 20:
“Una popolazione debole significa uno stato forte e uno stato forte significa una popolazione debole.”
La sua ricetta economica, anche dati i tempi, è basata totalmente sull’agricoltura. Fin dalle prime pagine si insiste sul fatto che le due attività principali che deve avere lo stato siano l’agricoltura e la guerra con particolare enfasi verso il recupero delle terre non coltivate come si evince dai titoli dei capitoli 2 e 3, ovvero “L’ordine di coltivare le terre incolte” e “Agricoltura e guerra”.
Nella sua logica, ed in quella del tempo, le due cose sono strettamente correlate poiché, nell’epoca degli stati combattenti si assiste ad uno sviluppo delle capacità militari che portano ad avere eserciti costituiti da un numero di soldati prima impensabile (che arriva facilmente oltre le centomila unità e fino a un milione di soldati).
Inoltre le campagne militari, data la vastità dei territori da conquistare, si protraevano per lungo tempo (anche per anni).
Tutti questi soldati, quindi, andavano sfamati per lungo tempo ed era necessario accumulare provviste in quantità dal lavoro nei campi.
Al contempo le guerre servono per espandere le superfici coltivabili e quindi la ricchezza in provviste dello stato.
Le altre attività economiche, come ad esempio il commercio, vengono demonizzate; e i commercianti o gli imprenditori vengono etichettati come parassiti poiché solo il successo in agricoltura e nella guerra deve essere premiato.
In questo contesto, viene scoraggiato l’export con elevate tasse ed incoraggiato l’import. Viene anche incoraggiata l’immigrazione e scoraggiata l’emigrazione per permettere allo stato di avere a disposizione maggiori quantità di contadini e di soldati.
Infine è interessante rilevare la sua totale non condivisione dei dettami dei confuciani e il rifiuto degli intellettuali, come spiegato lapidariamente nel capitolo 5:
“Nello stato del monarca intelligente non ci sono libri di letteratura, ma la legge serve come insegnamento. Non ci sono insegnamenti di monarchi del passato ma i funzionari agiscono come insegnanti.”
Fu questa visione che portò al grande rogo dei libri del 213 a.C., perpetrato sotto il regno dell’imperatore Qin Shi Huangdi, dopo che quest’ultimo aveva condotto l’unificazione della Cina, che incenerì un’enorme quantità di libri, disperdendo uno straordinario patrimonio di conoscenza sia scientifica che filosofico-letteraria.
Diffusione nelle varie epoche
Nonostante la corrente legista non abbia attecchito più di tanto nella successiva storia cinese, la sua importanza fu enorme.
Senza dubbio raggiunse il suo apogeo quando fu adottata nello stato di Qin portando, come anzidetto, per la prima volta nella storia all’unificazione della Cina.
Per inciso, il primo imperatore della Cina unita, Qin Shi Huangdi, è quello che si è fatto inumare assieme al famoso Esercito di Terracotta che, da solo, rivela la sua smisurata potenza e ricchezza.
Dopo questa apoteosi, la filosofia politica legista, non raggiunse più delle vette di potere così alte e fu scarsamente considerata dai regnanti a venire.
Probabilmente questo successe a causa della sua rigidità e del disumano sistema di punizioni che ha portato spesso a rivolte di contadini esasperati dalle corvée massacranti (la Grande Muraglia venne di molto rafforzata e migliorata in questo periodo) e dalle continue esecuzioni capitali.
Dopo la morte di Shi Huangdi, la dinastia Qin venne abbattuta da una rivolta di contadini dopo appena 16 anni di regno.
La seguente dinastia Han adottò invece il confucianesimo, più adatto alla gestione delle masse contadine e ad un periodo di relativa pacificazione, scelta che gli permise di durare circa 400 anni (dal 221 a.C. fino al 206 d.C.).
In ogni caso, come tutte le grandi rivoluzioni, quella legista lasciò un’eredità enorme e, da allora in poi, nulla fu più come prima poiché tutti i sovrani a venire dovettero confrontarsi con l’esigenza di istituire un codice legislativo scritto, che poi andava rispettato e fatto rispettare.
Il legismo è un esempio di approccio al modo di governare che tende a ripetere se stesso ogni volta che le circostanze lo richiedono.
Ogni volta che uno stato deve affrontare periodi di crisi e di disordine che ne minacciano l’esistenza stessa, misure di centralizzazione simili a quelle proposte dal legismo vengono messe in atto, con le dovute variazioni relative ai tempi storici.
Si può dire che questa filosofia politica, dopo avere dimostrato la sua straordinaria efficienza, sebbene manchi totalmente di umanità, continui a covare sotto la cenere come la brace, nell’attesa che il momento propizio le fornisca il combustibile per riaccendersi.
Impatto della filosofia sul socialismo secondo la via cinese
Come balzato agli occhi del mondo dagli anni novanta in poi, il comunismo sviluppatosi in Cina dopo la rivoluzione terminata nel 1949 con l’ascesa al potere del partito comunista cinese, ha delle caratteristiche proprie, che lo differenziano da quello classico alla sovietica.
Ha però mantenuto una delle idee fondanti sintetizzata dalla frase di Marx: “La religione è l’oppio dei popoli”.
La storia millenaria della Cina non ha mai visto lo svilupparsi di vere e proprie religioni, almeno nel senso che l’Occidente dà a questo termine, e le filosofie di vita presentate, con l’aggiunta importante del buddismo, sono quello che più gli si avvicinano.
In effetti, ad eccezione del legismo, sia il taoismo che il confucianesimo sono state talmente idealizzate da assumere, in alcune delle loro correnti, un carattere religioso di tipo politeista.
Le figure preminenti di queste linee di pensiero, nell’arco dei secoli, sono state (e in parte lo sono tuttora) venerate come vere e proprie divinità con tanto di templi, monaci, sacrifici, offerte e preghiere.
Questa “deriva religiosa” non poteva che essere invisa agli apparati del partito, che hanno cercato di soppiantarne i valori che proponevano con i loro.
A questo si aggiunga una spiccata enfasi del partito sul completo rinnovamento della società esemplificata dal motto, molto in voga negli anni della rivoluzione culturale, “per costruire il nuovo bisogna prima distruggere il vecchio”.
Questo motto fu messo in pratica nella costruzione delle infrastrutture e delle città quando inestimabili tesori storici sono andati distrutti nelle opere di costruzione, ma anche a livello “spirituale”, etichettando questi grandi pensatori come un retaggio di un inutile passato da abolire.
Si può senza dubbio affermare che fu dal legismo, l’unica principale corrente di pensiero assolutamente già libera da qualsiasi “contaminazione di carattere spirituale”, da cui il partito prese a piene mani.
Probabilmente non fu una scelta consapevole, e di sicuro non fu rivendicata, poiché la base filosofica dichiarata era (e resta) quella Marxista.
La concezione Marxista, però, era espressamente basata sul proletariato urbano di chiara connotazione industriale, e male si applicava ad una società contadina dove erano gli agricoltori stessi ad avere fatto la rivoluzione, e non gli operai.
In questo contesto, le spinte vigorose atte ad aumentare la produzione agricola e il ferreo sistema di regole impostato dal partito, richiamano senza dubbio i principi base del legismo.
Inoltre è ben chiaro a tutti gli studiosi e sinologi che il ruolo dell’esercito fu fondamentale nel promuovere le varie riforme e nel consolidare l’unità del paese che, dopo la rivoluzione, fu pesantemente rimessa in discussione.
Sebbene questa sia una caratteristica comune a tutti i tipi di stato, nella Cina post-rivoluzionaria questa importanza delle forze armate (l’esercito del popolo) fu portata all’estremo; ciò richiama ancora una volta uno dei principi cari al legismo, secondo cui uno stato si deve basare sull’agricoltura e sull’esercito.
Un altro principio base del legismo messo in pratica dalle gerarchie comuniste fu quello di un completo accentramento del potere nelle mani dello stato, che controllava tutti mezzi di produzione ed era proprietario di tutte le terre.
In definitiva, con le dovute proporzioni, il legismo, fra le correnti di pensiero presentate, è sicuramente quella che maggiormente si avvicina a quella che fu la filosofia dello stato post-rivoluzionario, almeno fino alla morte di Mao.
Dopo la morte di Mao, nel 1976, e con l’entrata in scena di Deng Xiao Ping, si assiste ad un cambio di rotta che si rende palese al mondo intero dagli anni novanta in poi, con la caduta dell’Unione Sovietica.
Fu infatti avviato un programma di riforme (ancora oggi in atto), che prevedeva l’apertura del paese agli investitori stranieri e la lenta ma inesorabile privatizzazione di grandi settori fino a quel momento ad esclusivo appannaggio dell’apparato burocratico pubblico, come il settore energetico e delle infrastrutture.
La costituzione di zone economiche speciali con grossi incentivi e tassazione ridotta, unita alla nascita dell’iniziativa privata, ha portato ad una graduale ancorché massiccia entrata di industrie straniere e alla nascita, letteralmente dal nulla, di grandi poli economici e finanziari, di cui Shenzhen è uno degli esempi più rappresentativi, poiché nel giro di 15 anni è passata da 10 mila a circa 12 milioni di abitanti.
Inoltre queste aperture hanno fatto affluire nel paese anche idee religiose fino a quel momento praticamente sconosciute.
Questi rivolgimenti hanno talmente cambiato il volto della Cina che il governo è dovuto correre ai ripari per salvaguardare l’identità stessa della Cina, e non perdere il controllo sulla popolazione, che cominciava a rivolgersi all’esterno nel cercare modelli di vita nuovi.
È stato quindi avviato il recupero della cultura tradizionale, attraverso la piena rivalutazione delle figure storiche tipiche dell’immaginario cinese.
Soprattutto il confucianesimo – come struttura di valori, – ma anche il taoismo e il buddismo, come una sorta di guide spirituali (se non di vere e proprie religioni) autoctone, sono state rinnovate e presentate alla popolazione come “la via cinese” per arginare l’invadenza straniera.
Questo processo è tuttora in atto, e lo si nota chiaramente nei discorsi pubblici dell’odierno presidente Xi Jinping, che non lesina richiami alla tradizione e alle opere dei grandi filosofi cinesi del passato.
La modernità
Quante volte abbiamo sentito dire “la storia si ripete”?
L’idea che la storia sia un continuo susseguirsi di eventi ciclici è condivisa da molti storici.
Inoltre, secondo la fisica moderna, la linea spazio-temporale non ha interruzioni, ed è possibile capire e spiegare il presente solo attraverso la comprensione e lo studio dei passi compiuti e delle cause e concause che ci hanno portato ad essere quello che siamo.
Se si fondono questi due concetti, ovvero la ciclicità della storia e la continuità spazio-temporale, si deduce l’importanza dello studio degli evenimenti passati, che altro non sono se non la materializzazione del pensiero collettivo delle persone nelle varie epoche.
Pensiero collettivo che prende forma nelle parole di alcuni grandi pensatori, i quali hanno il dono di vedere tra le righe del comportamento umano e di saperlo esprimere.
Leggere gli scritti di questi grandi filosofi ti darà la sensazione che ti stiano dicendo quello che già sapevi ma non riuscivi ad esprimere con le parole.
Non di rado ti accorgerai che non hanno inventato o scoperto nulla, ma che hanno solo descritto i comportamenti umani che tutti i giorni abbiamo di fronte agli occhi, che generalmente passano inosservati pur essendo il motore della nostra esistenza.
Leggendo questi saggi immortali imparerai a conoscere te stesso e, attraverso te stesso, gli altri.
Non si tratta di essere o meno d’accordo con le idee e i modi di vedere espressi, quanto piuttosto di capire il funzionamento del motore che determina il fluire degli eventi per riuscire a forgiare una chiave di lettura del presente su basi solide e concrete.
Inoltre, poiché si tratta di autori cinesi, riuscirai a capire e a spiegarti molti dei comportamenti dei cinesi, sia come individui che come comunità. Di conseguenza potrai farti un’idea migliore della direzione che prenderà il mondo intero nei prossimi anni, dal momento che, questo popolo, nel futuro a breve e medio termine, volente o nolente, sarà determinante per le sorti del mondo intero; tramite la sua politica ambientale, economica, energetica e militare.
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Albeni Dario dice
Grazie per la “sintesi” da un vecchio padre che non avendo studiato filosofia era disperato, lo sono ancora… un pochino meno, perché la figlia che studia lingue e culture orientali vuole discuterne con me … aiuto! Grazie veramente anche e soprattutto perché molto chiaro!
Furio dice
Ciao Dario,
grazie del messaggio : )
Catherine ALTMEYER dice
Un articolo molto chiaro da rilegere varie volta per avere un buon approccio alla mentalità cinese.
Furio dice
: )
Ilaria Martelli dice
Grazie Enrico! Un bell’articolo completo e appassionante…fa proprio venire voglia di approfondire i testi..cosa che farò, grazie. Ilaria di Castelbolognese.
Sofia dice
Molto interessante, però ho un dubbio! Non si scrive “dao de Jing” con la j? Perché i caratteri sarebbero 道德经.
Furio dice
Sip, errore nostro : )