In questo articolo descriverò il mio viaggio nella parte Tibetana dello Sichuan.
Ecco l’itinerario, se preferisci puoi “saltare” direttamente alle località dell’articolo che t’interessano di più:
Sichuan Tibetano – Il mio itinerario
Nascosto tra le vette perennemente innevate dei monti Hengduan, 横断, sembra che nessuno più si ricordi dell’antico regno del Khampa.
Il vecchio regno si estendeva originariamente dalla parte occidentale del Sichuan, la città di Kangding, 康定, fino all’inizio dell’attuale regione autonoma del Tibet, e dalla parte meridionale della regione del Qinghai al nord dello Yunnan.
Le diverse invasioni ad opera delle orde mongole, l’inasprirsi dei conflitti tra il regno tibetano e le dinastie Ming e Qing hanno ridimensionato e modificato i confini del vecchio regno dei Kham, ma non le abitudini del suo popolo; i volti dei malgari Kham, classificati dal governo cinese come sottogruppo della minoranza tibetana, appartengono ad un’altra epoca, scuri per via del sole cocente che splende a più di tremila metri.
I loro volti creano un bellissimo contrasto con il rosso acceso delle loro guance esposte al freddo vento himalayano; il verde delle interminabili praterie dell’altopiano è cosparso di pascoli di grandi yak che puntellano di nero il paesaggio.
L’odore di burro e di stufato di yak è un ottimo presagio per avvertire il viandante di essere finalmente giunto nei pressi di un centro abitato e, trovandosi a poca distanza dal Tibet, non mancano bellissimi gompa (in tibetano significa “tempio”) e bianche stupa, intorno a cui girano in ogni momento della giornata vecchi e giovani tibetani in segno di riconoscenza alle divinità (stupa significa letteralmente “fondamento dell’offerta”).
Sono per la prima volta venuto a conoscenza della regione del Khampa in una giornata primaverile, in cui mi chiedevo quale sarebbe stata la mia prossima meta di viaggio in Cina. Ne parlo con un po’ di persone, una telefonata ad un mio amico che vive in Cina da anni e la compagnia è al completo. Siamo in tre, due ragazzi ed una ragazza, numero perfetto.
L’andata si farà in aereo, da Chongqing a Kangding. Il volo della Sichuan Airlines impiega solo un’ora, troviamo il biglietto a 200 Yuan (25 Euro) e, considerando che per il nostro viaggio abbiamo una sola settimana ne approfittiamo, per il ritorno poi si vedrà.
Così si parte. Un’ora di volo e atterriamo su uno dei più alti aeroporti al mondo, a 3.500 metri di altitudine. La piccola e unica pista dell’aeroporto è circondata da montagne e sembra sia stata costruita il giorno prima, forse perché l’aeroporto di Kangding è aperto solo da aprile a settembre.
Appena usciti dall’aeroporto veniamo accolti da molti tibetani; sono lì pronti a venderci un passaggio per la città di Kangding, che si trova mille metri più a valle rispetto all’aeroporto, e ad un’ora di macchina. Scegliamo di prendere l’autobus, più economico della macchina (35 Yuan), e dopo un’ora di curve e aria pulita che penetra dai finestrini, siamo a Kangding.
Primo giorno: Kangding/Litang
La città di Kangding è molto colorata, le piccole case in legno ben adornate potrebbero far pensare di trovarsi in un piccolo paesino svizzero.
Camminando per le strette strade della città sono i volti delle persone a distogliere la nostra attenzione, la città rappresenta l’inizio del Khampa e le sue vie sono un perfetto crogiuolo tra le etnie Han (cinesi) e Zang (tibetani). Dopo esserci persi nei vicoli della città vecchia ci rechiamo nei pressi della piazza principale, per cercare un autista che possa accompagnarci fino a Dege, 德格, città a 30 chilometri dal confine con il Tibet e a tre o quattro giorni di macchina.
Nel primo pomeriggio abbiamo finalmente trovato la guida che cercavamo, Lao Song (il vecchio Song), un tibetano che parla mandarino e che ci guiderà con il suo Suv della Dongfeng nel nostro viaggio alla scoperta del Khampa.
Ci stiamo finalmente addentrando in uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti: il Tibet, ed anche se la mappa ci dice che il Tibet inizia un po’ più ad Occidente, in cuor nostro non vi è alcuna differenza.
Lao Song ci parla dei lama e delle monache tibetana (觉母, juemu). Gli chiediamo perché ai tibetani piacciono così tanto queste piccole bandiere colorate sparse un po’ ovunque (经幡, jingfan); ci risponde che sono un augurio di buon auspicio per chi percorre queste strade così tortuose e poco ospitali e chi si avventura per raggiungere le vette di queste alte montagne.
Dopo circa sei ore di viaggio e aver attraversato le città di Xinduqiao, 新都桥, e Yajiang, 雅江, quest’ultima famosa per essere la patria dei costosissimi funghi matsutake (松茸, songrong), molto amati in Giappone, arriviamo a Litang, 理塘.
Sono le dieci di sera e Litang appare deserta; si presenta all’istante un altro grandissimo problema. Come in ogni regione remota della Cina non sono molti gli hotel che accettano ospiti stranieri. Veniamo respinti da due hotel, riuscendo in fine a trovare un ostello gestito da alcuni signori che, avendo vissuto per lungo tempo in India, parlano un ottimo inglese.
Lao Song ci abbandona per salire in stanza, noi usiamo le nostre ultime energie per cercare qualcosa da mangiare, riuscendo con un po’ di fortuna a trovare un piccolo ristorante tibetano ancora aperto, dove provare la tenera carne di yak.
Secondo giorno: Litang/Ganzi
I 4.000 metri di Litang si fanno sentire già di primo mattino; sapevamo che questa altitudine ci avrebbe creato dei problemi. E, proprio per sopperire alla mancanza di ossigeno, avevo comprato in una farmacia di Chongqing delle pasticche di Rhodiola Rosea (红景天, hongjingtian), una pianta tibetana benefica per chi non è abituato alla vita in alta quota. Così siamo tutti svegli già alle prime luci dell’alba.
Scopro che il nostro ostello è una specie di caravanserraglio per i ciclisti che da qui inizieranno il loro viaggio verso Lasa, gli auguro buon viaggio, usciamo insieme dall’ostello e mi incammino per la città alle sei e trenta del mattino, con un gran mal di testa e una bustina di Oki nella tasca della giacca.
Nonostante Litang sia una città apparentemente anonima la trovo affascinante, la città sorge su un altopiano ed è ovunque circondata da bellissime montagne.
Realizzo di essere arrivato un posto abbastanza remoto quando, seduto in una piccola bottega a mangiare frittelle e burro di yak, mi si avvicinano alcuni tibetani. Iniziamo a parlare in cinese, alcuni sanno qualche parola di mandarino, alcuni si limitano soltanto a guardarmi, incuriositi dal mio modo di mangiare con le bacchette le frittelle tibetane.
Mi chiedono dove abbia imparato “la lingua di Chengdu”; questo mi fa pensare come molti di essi non sappiano neanche cosa sia il cinese: per loro esiste il Khampa e Chengdu.
Incontro gli altri, ci dirigiamo in macchina verso il gompa Erlang, 二郎寺, il più importante tempio di Litang, che sorge su una delle montagne che circondano la città. Dopo una visita al tempio sostiamo nell’infinita prateria poco fuori il centro abitato dove, oltre a molti pascoli di yak, la nostra attenzione cade su grandi tende sparse un po’ ovunque, simili alle yurte mongole.
Il vecchio Song ci spiega del perché ci siano così tante tende; nel mese di agosto la prateria brulica di gente, agosto è il mese delle saima, 赛马, gare tra cavalli simili al nostro palio, in cui gli spettatori, che accorrono da tutta la regione, dormono all’interno di questi grandi tendoni.
Si parte in direzione Ganzi, 杆子, dove pensiamo di arrivare prima di cena. La strada è molto suggestiva, scendiamo e saliamo continuamente, passiamo piccoli canyon, pascoli di yak, gompa e fiumiciattoli. Proprio lungo uno di questi rigagnoli facciamo la prima sosta, incuriositi dal vociare di un gruppo di tibetani che appollaiati lungo il greto del fiumiciattolo rovistano attentamente tra il muschio formatosi sulle rocce.
I signori tibetani sono alle prese con l’accensione del fuoco, le signore cercano un fungo chiamato Cordyceps sinensis (虫草, chongcao). Non avevo mai sentito parlare di questo fungo che a quanto pare cresce solo sull’altopiano tibetano, è rarissimo e se fatto bollire in acqua calda ha numerosi effetti benefici: migliora la funzionalità cardiaca, la qualità del sonno, aumenta l’energia ed è anche afrodisiaco. Un fungo di piccolissime dimensioni, grande quanto un filo d’erba, costa 50 Yuan, ci limitiamo così soltanto a guardarlo, anche perché Lao Song ci dice che possiamo trovarne di più economici.
Ripartiamo sperando di arrivare per pranzo a Xinlong, 新龙, un centro abitato a metà distanza tra Litang e Ganzi. Ma il viaggio è lungo e, non avendo ancora trovato nulla da mangiare, Lao Song ci consiglia di fermarci al lago Tsoka, dove sicuramente troveremo qualcosa.
Il lago si trova a 4.000 metri di altitudine, al suo interno si specchia l’enorme tempio, omonimo del lago: Tsoka gompa, facciamo una breve pausa pranzo e una passeggiata intorno al lago prima che inizi a piovere, poi iniziamo a dirigerci verso Ganzi, dove arriveremo poco prima del tramonto.
Delle città che vediamo durante il nostro viaggio Ganzi è quella più anonima, che più assomiglia ad una città cinese per via dei palazzi quasi tutti uguali tra loro. La regione del Khampa è chiamata “Prefettura autonoma tibetana di Ganzi, 甘孜藏族自治州” dal governo di Pechino
Per ricordare ai cittadini che il governo centrale non si è dimenticato di questa parte della Cina così lontana, all’entrata della città sono presenti due imponenti statue di un lama tibetano ed un funzionario comunista che si congratulano a vicenda.
Terzo giorno: Ganzi/Dege
Alle otto del mattino siamo pronti per partire. La Route 317 (317道), che ci porterà fino a Dege, è lunga e volendo arrivare nel pomeriggio non abbiamo altre alternative se non partire presto.
Il primo gompa (o tempio) che visitiamo è il Gelu, 格露寺, che si erge su una collina. Buona parte del tempio è in ristrutturazione ma godiamo di un’ottima panoramica sulla valle alle pendici della collina dove garriscono numerose bandiere tibetane.
Prima di lasciare il tempio camminiamo intorno ad una possente stupa e scambiamo alcune chiacchiere in inglese con dei monaci tibetani, il tibetano non è una lingua tonale e a detta dei monaci è più facile per loro imparare l’inglese rispetto ai cinesi.
Continuiamo sulla 317, la strada è asfaltata e in un ottimo stato, viaggiando costantemente ad un’altezza di 4.000 metri sono pochi i sali e scendi. Il secondo gompa dove ci avventuriamo è il Dajinsi, 大金寺, che letteralmente significa “Grande Tempio d’Oro”.
Non a caso i tetti dei vari edifici in questo complesso di templi, che più che un gompa assomiglia ad un piccolo villaggio, sono completamente dorati. Alcuni studenti recitano i sutra, donne e uomini curano gli orti e signori anziani siedono all’ombra di grandi alberi.
Usciti dalle mura del tempio ci perdiamo in un’immensa vallata, in lontananza osserviamo alcuni piccoli villaggi ognuno con il suo gompa dal tetto dorato, proviamo a raggiungerli prima di accorgerci che dopo mezz’ora di camminata sono ancora molto distanti da noi.
Conclusa la visita al tempio ci rimettiamo in marcia programmando la prossima tappa a Malaganga, una piccola cittadina con un bellissimo gompa, ma come ci è successo spesso durante il viaggio i nostri programmi non vengono rispettati e ci fermiamo presso un bellissimo tempio, il Tashi Triling Retreat Center 扎西持林, che risulterà essere una delle più belle scoperte di questo viaggio.
Saliamo in macchina sulla collina dove sorge il gompa e cerchiamo di capire cosa c’è al di là del grande portone che ci separa da quello che all’apparenza più che un tempio sembra un villaggio. Una giovane monaca viene ad aprirci e ci da il benvenuto all’interno del cortile, con un viso dall’espressione allegra la ragazza ci racconta di avere studiato inglese e tedesco all’università di lingue di Xi’an, prima di dedicarsi alla vita monastica e trasferirsi nel Khampa.
Il tempio principale del complesso di Tashi è molto grande, alle sue spalle svetta una cima imponente e davanti a noi si apre una vista molto suggestiva sulla vallata, uno dei più bei panorami osservati finora. La giovane monaca ci dice che il tempio è chiuso, tutti i monaci sono impegnati nell’organizzazione della cerimonia inaugurativa di una festa che inizia il giorno stesso, la Amitabha Dharma Ceremony in Saka Dawa, una delle più importanti cerimonie buddiste della zona.
Continua dicendoci che possiamo partecipare alla cerimonia, e se ne abbiamo voglia percorrere prima un breve pellegrinaggio intorno alla montagna che si trova alle spalle del tempio, per trovare il sentiero ci basterà seguire i numerosi fedeli.
Comunichiamo a Lao Song di incontrarci nella valle dove si tiene la cerimonia e iniziamo il nostro primo breve pellegrinaggio tibetano. Cerchiamo il sentiero seguendo altri monaci, ma avendo ancora molto tempo a disposizione prima dell’inizio della cerimonia ci chiedono se vogliamo pranzare con loro presso la mensa.
Il pranzo è rigorosamente vegetariano e si mangia uomini da una parte e donne dall’altra, non siamo gli unici laici ma sono molte le persone che ci raccontano essere arrivate al tempio per lunghi o brevi periodi di studio dei sutra e delle tecniche di meditazione.
Una signora di Shanghai, che attualmente vive a New York, mi regala un libro scritto da un monaco del gampa di Tashi che è stato tradotto in inglese. Casualmente dopo aver ricevuto il libro incontro una giovane monaca che con i suoi Rayban e le cuffie Apple si sta recando verso la cerimonia.
La monaca mi dice che è stata lei a tradurre il libro che ho in mano, e che lei stessa è da poco arrivata al tempio dopo aver frequentato l’università a Manchester. Mi indica come raggiungere il sentiero, mentre lei vedrà la cerimonia in diretta streaming dal suo smartphone e con le sue cuffie bluetooth, mi confessa di esser troppo pigra per tutta quella strada.
La osservo riflettendo quanto antiche filosofie come il buddismo possano convivere con la modernità delle cuffie e del cellulare della ragazza, delle sue abitudini occidentali e la sua scarsa propensione alla fatica del pellegrinaggio, il buddismo è in fin dei conti una filosofia incentrata sull’analisi interiore dell’uomo, e non sul sacrificio fisico e sulle pratiche di rinuncia capaci di garantire la salvezza futura.
Ritrovo i miei compagni di viaggio e finalmente ci incamminiamo verso la cerimonia. Inizia il nostro pellegrinaggio intorno alla montagna insieme ad altri fedeli, loro si fermano spesso sedendosi sull’erba con gli occhi chiusi ed il bracciale di puti stretto fra le mani, oppure per girare intorno alle stupa che incontriamo lungo il cammino.
Per rispetto verso il loro credo non ci sediamo né tantomeno giriamo intorno alle stupa, ci limitiamo a guardarli con ammirazione e camminare dritti verso la valle.
Inizia a piovere, ci ripariamo sotto uno dei tanti ombrelli prima di cercare la macchina di Lao Song e partire per Dege.
Passiamo Malaganga e il lago Xinluhai, 新路海, prima di arrivare a Dege, città che rappresenta il confine orientale dell’attuale regione del Khampa a 30 chilometri dalla città di Changdu, 昌都, dove inizia il Tibet. La piccola città di Dege è famosa per il gompa Yinjingyuan , 印经院, che, insieme al potala di Lasa e al monastero di Labrang nel Gansu è considerato uno dei tre più importanti templi tibetani.
Quarto giorno: Dege/Luhuo
È il quarto giorno di marcia ed inizierà il nostro viaggio al contrario, abbiamo due giorni di tempo per raggiungere Tagong, 塔公, poi saremo noi, senza Lao Song, a preoccuparci di tornare a Kangding. Prima però c’è da vedere il gompa Yinjingyuan e il lago Xinluhai.
La visita allo Yinjingyuan richiede molto tempo, poiché oltre ad essere un luogo religioso, è anche una copisteria, una biblioteca e il luogo perfetto dove incontrare dei veri ‘santoni’ tibetani. Nel primo piano si svolgono le funzioni religiose, nel secondo monaci e laici sono impegnati nel copiare i sutra buddisti che poi sarà possibile consultare nelle biblioteche presso le sale posteriori.
Le loro tecniche di copiatura consistono nel porre una sottile striscia di carta di riso su una lastra di pietra già cosparsa di inchiostro nero dove sono riportati i più importanti testi buddisti di religione, storia, astronomia e filosofia. Dalla terrazza del tempio è possibile godere di un’ottima vista sulla città vecchia di Dege, qui vi sono anche delle piccole stanze al cui interno monaci tibetani benedicono qualsiasi oggetto venga depositato nelle loro mani.
Inizia a piovere, ed in un attimo il terreno diventa completamente fangoso, partiamo direzione Malaganga per la pausa pranzo e per decidere la via del ritorno verso Tagong.
La taverna gestita dai due vecchi signori di Chengdu che affaccia sulla strada statale di Malaganga è il luogo ideale dove bere una buona zuppa mentre consultiamo la mappa per capire che strada percorreremo. Non abbiamo altre scelte se non quella di ripassare per Ganzi, ma questa volta invece di scendere a sud verso Litang continueremo sulla Route 317, che diventerà poi 319, verso Luhuo, 炉霍, per poi scendere il giorno successivo fino a Tagong.
Quinto giorno: Luhuo/Daofu/Tagong
Luhuo, 炉霍, non ha certamente la fama di città fortunata, martoriata da continui terremoti e incendi, l’ultimo proprio nel 2017, la città sorge in quello che dagli abitanti viene considerato un luogo maledetto.
Il terremoto del 1973 e l’incendio del 2010 hanno in parte decretato la fine della vecchia città di Luhuo, dimezzandone la popolazione. A seguito di queste due catastrofi ne risentì soprattutto l’aspetto della città, quasi tutte le vecchie case in legno costruite in collina presero fuoco e le poche rimaste stanno per essere sostituite da palazzine di cemento.
La mattina la passiamo a camminare proprio tra il disordine di questo grande cantiere, dove nonostante tutto non mancano interessantissimi volti di malgari tibetani che con il gregge ed i cavalli al seguito pregano tra le strade in salita della città. Arrivati in cima godiamo di un’ottima vista sull’altopiano, sulla parte nuova della città e le interminabili foreste di larici, comprendendo quanto un incendio possa essere temibile da queste parti.
Dopo la breve scalata mattutina per le vecchie strade di Luhuo siamo pronti per partire verso Tagong, 塔工. Continuiamo a scendere, esattamente come il giorno precedente, c’è molta stanchezza e voglia di arrivare a Tagong non molto tardi, anche perché durante il tragitto non sono molte le tappe in programma.
Solo una tappa è segnata sul nostro taccuino, Daofu: la città del Dalai Lama.
Nonostante il Dalai Lama sia nato in una piccola città di maggioranza tibetana nella provincia del Qinghai, è a Daofu che ha studiato e si è avvicinato alla vita monastica, per questo motivo la città viene da tutti considerata la città dell’ultimo Dalai Lama.
Siamo scesi molto di altitudine, e lo percepiamo dal sole cocente di metà giugno, che a differenza degli altri giorni qui è molto più simile a quello di Chongqing. A primo impatto la città sembra molto moderna e poco interessante, ma basta allontanarci dal corso principale, salire e perderci tra le piccole case e l’aia della città vecchia per cambiare idea.
Continuiamo a girovagare entrando nel cuore religioso della città, sono molti i templi che si susseguono uno dopo l’altro, mi colpisce come senza alcun timore ci sia ovunque appesa una foto del Dalai Lama, cosa che non ci era mai capitata di vedere durante il viaggio.
Camminiamo di tempio in tempio finché un monaco si avvicina verso di noi, il vecchio lama ha un volto sereno e sorridente e sembra che la nostra presenza abbia interrotto il suo momento di ozio a giocare con il piccolo cane che continua a seguirlo ovunque si sposti.
Ci accompagna all’interno del tempio, non parla un buon cinese ma riusciamo a capirci, ma poi quello che ci mostra ha bisogno di poche spiegazioni. Apre una enorme porta di legno e ci mostra l’interno, che una volta era l’alloggio del Dalai Lama, a detta del monaco tutto è rimasto tale e quale a quando il XIV Dalai Lama viveva qui, perfino il bagno.
Usciamo increduli dalla stanza continuando a far domande, ma il gap linguistico non aiuta. Fortunatamente arriva un monaco più giovane che parla un ottimo mandarino, continuiamo con lui la nostra conversazione, la mia attenzione è rapita da una foto, la guardo bene e sono certo che quello nella foto è il Panchen Lama.
Il Panchen Lama è stato per lungo tempo il vice del Dalai Lama, uso il passato poiché il povero Panchen Lama venne invitato a Pechino negli anni ’70 per poi non fare più ritorno in Tibet, nessuno sa più che fine abbia fatto, chi ritiene che sia morto, chi che sia ancora in carcere, sicuramente i tibetani non hanno proclamato un suo vice e ritengono che quello sia stato l’ultimo. Ne parlo con il monaco, è sbalordito, forse non immaginava di trovarsi di fronte a stranieri che sapessero questo storia.
Ci chiede così di lasciare macchina fotografica e cellulari su un tavolo e di seguirlo, rimuove un grande lucchetto da una porta di legno e ci dice di poter entrare. La stanza ed i mobili sono pressoché identici a quelli presenti nella stanza del Dalai Lama, con la differenza che questa è stata la stanza del Panchen Lama.
Finita la visita usciamo dal tempio molto soddisfatti, ripenso a quanto appena visto, i segreti di due misteriosi personaggi nascosti in un luogo così incredibile.
Ci rimettiamo in marcia e stiamo per arrivare a Tagong, le ultime due tappe saranno presso l’immensa prateria di Longdeng, 龙灯草原, e una visita veloce al gompa di Huiyuan presso la città di Baima, 白马.
Arriviamo a Tagong verso le sei di pomeriggio, a 2.800 metri sul livello del mare questa piccola città si estende lungo una vallata che molto ricorda i paesaggi montuosi delle Alpi.
Salutiamo Lao Song che tornerà verso Kangding e ci sistemiamo presso l’ostello Himalayak, nella piazza centrale della città.
Mi sembra di essere improvvisamente tornato nella realtà, i negozi, il cibo e i volti delle persone a Tagong sono assolutamente diversi rispetto a tutto ciò che abbiamo incontrato nel nostro viaggio, nella piazza centrale sono molti gli occidentali che passeggiano, e sono i primi che vedo da quando sono nel Khampa.
Photo Credits: Monastery – Kangding, Sichuan by Axel Drainville
Serena dice
Ciao e grazie se potrete rispondermi. Ho tre settimane ad ottobre e volevo sapere se un viaggio simile è possibile in autunno e se la settimana delle feste nazionali lo possono rendere ancora meno fattibile. Ci piacerebbe muovere da chengdu fino a Yading e proseguire in yunnan fino a deqin. Non ho ancora definito niente, ma intanto vorrei capire quale sia la situazione climatica e purtroppo si trovano poche notizie in rete.
SDC dice
A inizio ottobre direi di sì. A patto che non succeda qualcosa di imprevisto, in quel periodo non c’è ancora la neve (esclusi alcuni passi montani).
Non penso che le feste nazionali siano un grosso problema se si decide di andare in Sichuan Occidentale, visto che non è esattamente una delle mete più popolari
Gianluca Falso dice
Ciao Margherita, scusami se rispondo con tanto ritardo ma sono stato in Cina per lavoro e non ho avuto modo di controllare.
In tre settimane riesci a fare un giro che possa portarti anche fuori dai classici giri turistici, ma per andare in alcuni posti, specialmente se non parli cinese, ti consiglio vivamente un autista/
Guida. Potresti fare Shanghai, spostarti fino a Chongqing seguendo il fiume azzurro e poi continuare nel Sichuan, tre settimane non sono moltissime ma non fermandoti troppo in ogni singolo posto riuscirai senz’altro.
Inoltre ho una folta rete di contatti di autisti e guide che posso passarti, tienimi aggiornato!
Gianluca
Margherita dice
Ciao Gianluca,
posso chiederti qualche informazione in più? Sto pensando di organizzare un viaggio in Cina e sono sufficientemente folle da aver in mente di fare come primo viaggio in Cina lo Sichuan (o almeno parte di esso) e vorrei dedicargli 10/11gg.
Il viaggio che ho letto qui è bellissimo, ma ho paura di non essere in grado di ripeterlo in solitaria, senza sapere una parola in cinese e “alla spera in Dio” come mi pare di aver capito abbiate fatto voi per trovare l’autista. C’è poi lo Sichuan più turistico, ovviamente, Chengdu, Emeishan, Quingcheng, Sigunian, Jiuzhaigou, Huanglong, Le Shan e chissà quant’altra roba!
Che giro consiglieresti? Due dritte in più: viaggio di 3 settimane in settembre (conscia del mid-autumn festival), Shanghai tappa obbligata per ragioni personali, poi oltre allo Sichuan, aggiungerei forse qualcosa tipo Xian/Pechino.
Grazie mille!
Furio dice
Ciao Margherita,
intanto ti rispondo io: Se è la prima volta in Cina e non parli cinese, direi che il giro “più turistico” è forse più consigliato (tra l’altro è ottimo).
Su Xian/Pechino, diciamo che Xian è più di passaggio, poi dipende anche tanto dai gusti personali
Margherita dice
Ciao Furio,
intanto…grazie. Ottimo, allora non rischio con un viaggio estremo e mi dedico allo Sichuan turistico :) Immagino però 10gg siano pochi per vedere quanto ho elencato sopra, nonostante abbia visto che posso comodamente atterrare su Chengdu dall’Europa e quindi potrei guadagnare un giorno di spostamento. Penso alla fine vi scriverò anche per possibili agenzie da contattare…Posso scrivervi via mail per chiedervi qualche consiglio pratico in più o preferisci io continui qui sotto?
Grazie ancora!
Furio dice
Ciao Margherita,
puoi scrivere anche qui!
a presto
F
Gianluca dice
Grazie Franco, per qualsiasi informazione se mai tu sia interessato a ripercorrere lo stesso, o simile, itinerario puoi chiedere a me tranquillamente.
FRANCO MARTOLINI dice
Bellissimo viaggio e bellissimo racconto…