Dopo le interviste a Marta e Ileana torniamo a discutere con un’altra donna di Cina, Emanuela Verrecchia.
Emanuela si è trasferita in Asia nel 2007, è un avvocato e lavora in uno noto studio internazionale specializzato in proprietà intellettuale e anti contraffazione.
Oltre ad essere la fondatrice di Italiani in Cina, a mio parere il più attivo e animato gruppo di discussione in lingua italiana dedicato alla Cina, Emanuela quest’anno ha cominciato a scrivere per China Files il blog Cina di Frontiera, che raccoglie storie di italiani emigrati in città cinesi di seconda, terza e quarta fascia. A parte tutti questi titoli altisonanti (fondatrice-blogger-moderatrice), Emanuela ha inoltre il pregio di essere una mia carissima amica.
Emanuela, quando sei arrivata in Cina, dove abiti e cosa fai.
Era il giugno del 2008, due mesi prima dell’inizio dell’Olimpiadi di Pechino. All’epoca – e parliamo solo di sei anni fa, non del dopoguerra – se ti trasferivi in Cina o eri considerato un masochista o un eroe da ricoprire di oro, incenso e benefit. Poi le cose sono cambiate molto dal 2010, quando la Cina ha cominciato a non essere più un paese disagiato e la crisi in occidente si è aggravata.
Già dal 2005 ho iniziato a viaggiare almeno tre o quattro volte l’anno in Cina e Hong Kong per lavoro, per studio e curiosità. L’anno prima, a Roma avevo iniziato un corso serale di mandarino e per due estati consecutive ho deciso di immolarmi per la cultura rinchiudendomi un mese intero alla Beiwai, una delle principali Università di Pechino, per studiare il cinese.
Contrariamente ad ogni pronostico mio e dei miei amici, la Cina mi è piaciuta: otto-dieci anni fa Pechino era decisamente spartana, il distretto periferico di Chaoyang in cui si trovava l’università era di una bruttezza inopinabile. Senza comfort, senza charme, anche solo trovare un espresso vero al bar era un’impresa.
Eppure dietro tanta bruttezza, Pechino ha conquistato anche me che sono un’esteta e un’amante delle comodità. Alla fine mi sono quasi affezionata a quelle aule austere, ai dormitori stile ostello della gioventù (bruciata), ai supermercati dove non c’era niente che potessi o volessi comprare.
Nel 2008 ho trovato il coraggio di partire, non tanto perché sia impavida ma perché non sapevo che la mia permanenza qui si sarebbe protratta per anni. In base ai piani e agli accordi con i miei capi, sarei dovuta stare solo sei mesi e poi ritornare alla base (Roma), ma questa è la storia di molti altri stranieri che ho incontrato vivendo qui.
E alla fine va bene così. Vivere in Cina è faticoso, a volte surreale, l’inquinamento ti corrode, ma ogni giorno è una scoperta. C’è un dinamismo incredibile, le cose si fanno, e in tempi brevi, il morale collettivo è alto. E’ un paese che vive il boom, anche se siamo in recessione.
Vivo a Shanghai, nella Concessione Francese. Viali di platani, stradine piene di negozietti, di gente, di ristorantini, di caffè. Sento gli uccellini cantare al mattino, e sotto casa, incontro barboncini che passeggiano con le Nike alle zampe. Sono in una metropoli di venti milioni di abitanti e qui nella Concessione Francese è un po’ come essere in un paese.
Il mio ufficio è al 27° piano di un grattacielo vicino al tempio di Jing’An, su una delle vie principali, la Nanjing Road. Sono avvocato e lavoro per uno studio inglese presente in Cina da circa vent’anni specializzato in Proprietà Intellettuale, che è la materia in cui mi sono laureata nel lontano 1996 e che pratico ormai da circa 17 anni.
Jing’An vista dal mio ufficio
Italiani in Cina, il gruppo LinkedIn che hai fondato anni fa e che curi tutt’oggi, è un gioiellino dove si sviluppano discussioni di rara intelligenza. Come ti è venuta quest’idea, quanto è faticoso gestire un progetto del genere e quali sono le motivazioni che ti spingono a portarlo avanti.
L’idea è nata per caso, in modo molto spontaneo. Non c’era un grande disegno dietro, c’era – e resta – semplicemente il sogno di creare un salotto virtuale in cui dialogare di Cina, al di là dei soliti stereotipi. Mettere insieme le voci di più italiani che vivono qui e che si scambiano consigli di lettura o di viaggio, recensioni su film, frustrazioni, aneddoti, consigli pratici.
Tutto però mirato sulla Cina. Quindi niente annunci fuori tema del tipo: “Da giugno affittasi appartamento a Capalbio” o “Cosa ne pensate della situazione politica in Italia?” Mancava uno spazio sul web che accomunasse italiani che condividono l’aver risieduto in Cina.
Lo scopo del gruppo è capire tutti insieme allegramente la Cina e le sue contraddizioni, oltre che le nostre. Imparare più velocemente. Scoprire e svelare ogni giorno qualcosa di nuovo sulla nostra Cina. Gestire il forum è molto meno faticoso di quanto sembri. Spesso, leggo e scrivo mentre faccio colazione la mattina o la sera quando ho tempo.
Ti dico spesso, scherzando ma non troppo, che si tratta di un gruppo elitario perché è aperto solo a chi ha abitato in Cina almeno sei mesi. Quali sono i motivi di questa scelta?
Sono allergica alle banalità. E sulla Cina se ne sentono e leggono ancora troppe.
Premesso che nessuno di noi espatriati può veramente dire di essere un profondo conoscitore della Cina, volevo che ci fosse una condivisione tra persone che effettivamente la Cina un po’ la conoscono in presa diretta. Ed è forse proprio la maggiore preparazione e consapevolezza dei partecipanti che rende le discussioni diverse da quelle di altri gruppi aperti a tutti, anche a chi, troppo spesso, la Cina non la conosce affatto, ma vuole dire la sua.
I bambini del mio lilong
Come è nato il tuo blog, Cina di Frontiera, e in che modo è connesso con Italiani in Cina (sempre che tu ci veda una connessione)?
La connessione c’è, perché Italiani in Cina (il gruppo LinkedIn) durante questi cinque anni mi ha messo in contatto con molti italiani che vivono in zone remote, alcuni li ho anche conosciuti di persona.
Dal gruppo posso vedere se qualcuno vive in città interessanti per il mio blog, allora apro i miei libri di viaggio, guardo un video su youtube per immaginare com’è la loro vita in questa Cina “di periferia”, dimenticata o comunque snobbata dai media.
Mi sono lasciata guidare dalla curiosità di conoscere le storie di questi italiani e i loro percorsi, sempre affascinanti. Sono ammirata dalla loro capacità di adattamento e dalla loro determinazione. Molti sono gli unici italiani in città di milioni di abitanti nel mezzo del nulla, o sono parte di una sparuta comunità straniera in qualche parco industriale.
Mi piace l’idea di far venire alla luce racconti di vite lontane dai riflettori, svelare storie in cui tutti noi un po’ ritroviamo frammenti di noi stessi, e raccontare una Cina diversa da quella stereotipata.
Casa mia, nella vecchia Concessione Francese
Abiti a Shanghai da tanti anni. Michele Soranzo l’ha definita una “città donna.” Tu come la definiresti?
Non ci ho mai pensato. Il nome Shanghai (上海) letteralmente significa “sopra” (上 = shang) il “mare” (海 = hai). Ma in realtà il mare non si vede, dista circa 40 km dal centro. Ci sono invece i fiumi che hanno segnato il destino di Shanghai.
Il Huangpu, che è quello principale, che vedi illuminato dai led e dai neon dei grattacieli di Liujiazui quando ti siedi a bere un drink su una terrazza degli storici palazzi del Bund.
C’è il Suzhou Creek, un fiumiciattolo di poco più di un centinaio di chilometri che incontra il fiume Huangpu sotto lo storico Garden Brigde, il ponte di ferro che collega lo scintillio del bund a quartieri più popolari e all’imperdibile ghetto ebraico.
[Furio: Ahi che nostalgia, io abitavo a due passi al Suzhou Creek tra galline, cavolfiori e gommisti dalle mani sempre zozze].
E poi c’è – un po’ fuori – il fiume cinese per antonomasia, lo Yangtze o Fiume Azzurro (che azzurro non è) al cui delta Shanghai deve la sua fortuna economica. E’ grazie a questi fiumi e all’oppio che Shanghai è diventata quello che è oggi.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, potrei definire Shanghai la città sul mare che non c’è o la città della confluenza di fiumi, di uomini e di storie.
So che ti piace girovagare per la concessione francese, il centro storico di Shanghai, e scoprire sempre posti nuovi, magari una casa museo o un ristorante tipico. O una casa museo che funge anche da ristorante tipico. Cosa ci consigli?
Consiglio di girare, con o senza meta, ma di girare ed entrare se vedete una porta o un cortile aperto. Io esploro così e l’altra sera, proprio in una stradina vicino casa, ho scoperto un posto splendido che non avevo mai notato prima. Ho chiesto: “Ma quando avete aperto? E’ bellissimo”. “E’ una casa privata,” mi risponde con un sorriso il francese, indifferente al fatto che avessi fatto irruzione nella sua veranda. E riprende a leggere “Orizzonte Perduto.”
La Concessione Francese è un groviglio di continue scoperte, architettoniche e antropologiche. Da brava europea, mi piace ritrovare le tracce del passato e della storia. Tu passeggi, entri in un cortile e ti si apre un mondo non solo invisibile, ma anche inimmaginabile se ti fermi sulla strada.
In primavera stavo facendo per conto mio un itinerario intitolato “le strade della fortuna mutevole”. Ho attraversato il cancello di una vecchia casa azzurrina, non lontano da casa mia. Questa volta, niente violazione di domicilio. C’era un cortile spazioso moquettato di verde e trasformato in un campo di pallacanestro. Ho sentito rumore di pianoforti uscire dalle aule del piano terra. Vado in perlustrazione. In un’aula piena di pianoforti verticali, delle anziane signore suonavano (parola grossa) ognuna il proprio pianoforte, coprendo le note delle altre. Mi sono seduta con loro a uno dei pianoforti e ho cominciato a suonare.
In quanto “aliena”, ho avuto da queste vecchie indomite i miei quattro minuti di attenzione, ma la cosa più bella è che, mentre ancora suonavo, una di loro si siede sullo sgabello accanto a me e comincia a farmi una raffica domande che solo in parte capisco. Quando le rispondo che sono italiana, tira fuori un crocifisso dalla tasca, lo bacia compulsivamente e mi dice che è cristiana. Fervente, direi…
Uno dei miei luoghi preferiti è lo Yongfu Elite. Un’ex residenza consolare, in un giardino incantato, trasformata in un ristorante da un designer e collezionista di Shanghai. Sembra il set di un film di Zhang Yimou. Non aggiungo altro, perché lo dovete vedere voi.
You are very good!
Tre libri per capire meglio la Cina.
Ne ho letti tanti, ne continuo a leggere e comprare e ne avrei molti più di tre da consigliare.
I libri di Tiziano Terzani sono stati per me ottimi compagni di viaggio in questi sei anni d’Asia. La Cina che lui descrive è quella di alcuni decenni fa, ma il suo modo di esplorare la realtà e di cercare la verità resta sempre attuale e motivo di ispirazione. Sulla Cina ricordo “La Porta Proibita” e “In Asia.”
“Cigni Selvatici” è stato il classico romanzo autobiografico mattone facilmente digeribile. Tre storie molto scorrevoli e ben intrecciate: una madre, una nonna, una figlia e il passaggio dall’epoca Qing alla Cina rivoluzionaria.
E poi ho scoperto da qualche tempo i gialli di Qiu Xialong, che mi piacciono molto benché non sia mai stata un’amante del genere. In modo leggero, insegnano tantissimo sulla Cina. Tutto questo attraverso l’ispettore Chen, una specie di ispettore Derrick in formato cinese. Ora sto finendo “Visto per Shanghai” e ritrovo nel romanzo i luoghi e le strade che conosco.
Molte occidentali che abitano in Cina si lamentano del loro rapporto con gli uomini. Le motivazioni sono sempre le stesse: gli stranieri corrono dietro le gonnelle asiatiche e i cinesi sono troppo timidi, insicuri o possessivi. Condividi la mia affermazione o hai un punto di vista diverso? Qual è il tuo rapporto con gli uomini in Cina?
Condivido abbastanza. Credo che il già delicato e precario equilibrio tra uomini e donne, e parlo in generale del pianeta Terra, in Cina vacilli più che mai. Penso che per una mera legge di numeri, la donna occidentale sia penalizzata, a meno che non ami l’uomo asiatico. Mentre l’uomo occidentale in Cina, si trova in una specie di harem senza fine. Sebbene Shanghai sia una città di venti milioni di anime più o meno perse, probabilmente ci sono più “maschi occidentali” a Cuneo o Matera.
Il mio rapporto con gli uomini in Cina non è molto diverso da quello che ho sempre avuto anche altrove (contrastato). Ma credo che sia più un problema di segni zodiacali, congiunture astrali e nodi karmici. Non possiamo mica dar sempre colpa alla Cina!
Oltre all’ineluttabile legge dei numeri (molte donne carine e accondiscendenti per pochi uomini in cerca soprattutto di un’avventura), si paga qui anche l’assenza di stanzialità. Viviamo in un paese in cui pochi di noi fantasticano di rimanere per sempre, anche se, il giorno che lo dovremo lasciare sarà lacerante.
E’ difficile costruire relazioni affettive solide se si è o ci si sente di passaggio. A volte si avviano relazioni a distanza che quasi mai reggono nel tempo, altre volte si crede di aver trovato l’anima gemella, e poi scopri di avere in comune con l’altra persona solo il fatto di vivere in Cina.
Fai l’avvocato in un paese che non è esattamente famoso per il rispetto della proprietà intellettuale. Come vivi quest’esperienza?
Mi ritengo fortunata a fare il lavoro che faccio, sia perché mi è sempre piaciuto, sia perché la Cina è oggi uno dei più interessanti osservatori e laboratori per la proprietà intellettuale. E’ un po’ come fare il medico in un grande ospedale: vedi molti casi ogni giorno.
In questi sei anni di Cina c’è stato un tangibile miglioramento nella gestione della proprietà intellettuale da parte del Governo Cinese. D’altro lato, i contraffattori sono diventati sempre più agguerriti e sofisticati. Sull’argomento c’è ancora molta disinformazione e tanti pregiudizi.
Spesso si entra nel mercato cinese senza strategie mirate e ci si ricorda dei propri marchi, brevetti o domini solo quando ci si scontra con il problema dei prodotti contraffatti, del marchio o del sito internet indebitamente registrato, dell’ex distributore infedele che si spaccia ancora come tale per vendere falsi o del dipendente che sottrae segreti aziendali.
Fare business in Cina senza proteggere la proprietà intellettuale è un po’ come andare a sciare a Cortina in mutande e canotta la notte di Capodanno. E’ scontato che ti becchi qualcosa.
Si potrebbero risparmiare molti soldi e fastidi se chi opera in Cina 1) si informasse bene sulle regole del gioco 2) prevenisse le violazione con piccoli accorgimenti e investimenti nella tutela di tutto ciò che è appetibile e quindi appropriabile da un terzo 3) reagisse in modo deciso e immediato anziché subire la contraffazione, a volte anche per anni, peggiorando solo le situazioni.
Il fiume Li a Yangshuo
Mi hai detto che, dopo il tuo recente viaggio a Yangshuo ti è venuta voglia di lasciare Shanghai, magari per spostarti in una cittadina un po’ più bucolica. Io lo chiamo “mal di Guangxi.” Si trattava di una crisi passeggera o ti sei davvero stancata di Shanghai la bella?
Ora non esageriamo… Io sono più per la vita urbana che bucolica. Ho bisogno del rumore di fondo della città. Però quell’atmosfera bucolica di Yangshuo, come ho raccontato in un mio recente post, ha fatto riaffiorare un pensiero che forse tutti noi abbiamo lì, ai bordi della nostra mente.
Uscire dalla nostra zona di comfort e continuare su un sentiero sterrato la ricerca di noi stessi. Ma non è facile e richiede molto coraggio e convinzione. Se un giorno mi capitasse di fare una cosa del genere, con tutto il rispetto per Yangshuo, che mi è molto piaciuta, penso che preferirei andarmene in Cambogia, in Laos o in India.
[Furio: Concordo, e infatti il mio periodo bucolico ho deciso di passarlo nel Nord della Thailandia, tra Laos e Birmania].
Hai mai pensato di lasciare la Cina? In caso affermativo, dove vorresti trasferirti e perché.
Ovvio che ci ho pensato. Anche parecchie volte. Ma poi tutto è passato.
Un anno fa ho avuto la mia crisi del quinto anno (dicono che sia normale) e speravo di poter essere ricollocata a Londra, dove il mio studio ha la sede principale. Ma dopo un “sì” iniziale, i partner non hanno trovato l’accordo e alla fine sono rimasta qui, prima con rassegnazione, adesso con ritrovato entusiasmo.
Se dovessi lasciare la Cina, mi piacerebbe – dopo un bel sabbatico di viaggi – tornare in Europa, a Londra possibilmente. Ho qualche riserva sull’Italia, che mi sembra ormai priva di slancio e di prospettive. Ma se uno ha la fortuna di fare un lavoro che lo fa viaggiare, l’Italia resta ancora un bel posto in cui vivere e in cui si è vicini alla propria famiglia.
Emanuela, grazie per la bella intervista. Invito tutti a dare un’occhiata alle storie pubblicate su Cina di Frontiera e, per chi è italiano e ha vissuto in Cina continentale per almeno sei mesi consecutivi, ad iscriversi a Italiani in Cina, il gruppo LinkedIn fondato da Emanuela cinque anni fa che, ad oggi, conta circa 1500 membri.
Photo Credits: Photos by Emanuela Verrecchia
Elisabetta esposito dice
Molto interessante, sono una sinologa che lavora nel mondo della ricerca e i vostri posts sono veramente degli ottimi schizzi di Cina
Auroraborealeorientale.wordpress.com
furio dice
Ciao elisabetta, grazie della visita : )
beppe pastormerlo dice
Ciao, sono un italiano che arrivò in Cina nel 1987, come turista. Ben presto ho cominciato a cooperare con un cinese progettando, realizzando ed esportando interruttori automatici ed altre cose elettriche. Attualmente sto cooperando con alcune aziende in tecnologia della luce, con le nuove applicazioni dei LED e della luce 4G che sta entrando in Europa in questi tempi.
Ho passato 26 anni di ” avanti ed indietro “, girando la Cina in lungo ed in largo, e ne sono ancora affascinato. Mi dimenticavo, vivo anch’io a Shanghai, ma presto rientro in Italia/Svizzera e probabilmente chiuderò definitivamente la mia permanenza qui.
Inutile dire che se dovessi raccontare le mie personali esperienze scriverei anch’io 3 libri o qualcuno in più. Un’infinità di esperienze e conoscenze che hanno lasciato profondi solchi nel mio carattere. Condivido comunque pienamente quanto hai scritto e provato.
Scusa un appunto : Shang hai non significa ” sopra il mare “, ma era un grido che facevano 300 anni fa quando vi era solo un villaggio ed i pescatori gridavano ” Shang hai !!!!! ” ovvero ” avanti..al mare ..!!! ” correndo verso il liquido elemento.
Beppe
Furio Fu dice
Ciao Beppe, grazie per l’aneddoto sui pescatori, non si finisce mai di imparare : )
Ho già intervistato due imprenditori italiani (Pinuccio e Gabriele), se ti va di essere il terzo inviami pure una email tramite modulo di contatto: http://www.saporedicina.com/contact/
Stefano dice
Grazie per la bella intervista. Ti seguo sempre con piacere. anch’io penso che, alle volte, i ‘gialli’ danno un’immagine di posti migliore di molti saggi. Ho letto alcuni libri di Qu Xiao Long, come anche i libri di Yu Hua, che pure ho trovato godibili e illuminanti.
Stefano
Furio Fu dice
Ciao Stefano,
su Yu Hua abbiamo pubblicato la recensione di “Brothers” poco tempo fa (http://www.saporedicina.com/brothers-di-yu-hua/)
Io al momento sto leggendo Mr China, che reputo una lettura essenziale per chi voglia fare business in Cina. A questo punto dovrò leggere anche Xialong perché me ne hanno parlato già in tre o quattro