Fare pipì in strada…
Le barbarie quotidiane
Da dove comincio? Dagli uomini della capitale che in estate vanno in giro con le magliette arrotolate all’altezza dello sterno per ventilare lo stomaco prominente; le vomitate a spruzzo dei giovani in vacanza sulla Pijiu Jie (Via della Birra) di Qingdao; l’igiene (?!) delle cucine dei ristoranti tra scoli a cielo aperto, pattumiere di dimensioni epiche e pesci decapitati sul suolo umido della veranda; gli scatarramenti sonori generalizzati a un po’ tutta la Terra di Mezzo; i genitori che incoraggiano la prole a pisciare sul marciapiede; il rutto libero in ufficio o gli adepti di Schwarzenegger che si presentano in palestra a petto nudo e lasciano una pozza di sudore a brillare su ogni panca?
Il traffico
A Pechino si perdono pure i tassisti. E allora gridano: “Zai nar, zai naaar!” Dove, dooove! E a te non resta che scuotere la testa e pensare “Chi me l’ha fatto fare di trasferirmi in Cina?” Dopo tre telefonate in centrale e un’occhiata presbite alla mappa, sembrano illuminarsi ma, per non sbagliare, si riversano comunque sul terzo anello. Il risultato è invariabilmente lo stesso: taxi a perdita d’occhio, traffico che scorre a passo d’uomo e una miriade di clacson misti a imprecazioni a comporre la colonna sonora pechinese.
Ogni volta che mi scopro imbottigliato in una carovana di taxi, penso allo zio di Johnny Stecchino. Il thhhhhraffico! Altro che Palermo caro zio… Il traffico in Cina fa paura.
Se poi sei un pedone, amen. Le precedenze funzionano così: Tir batte Camion. Camion batte Bus. Bus batte auto. Auto batte Scooter. Scooter batte Triciclo carico di casse di fagioli. Triciclo carico di casse di fagioli batte Bici. Bici batte Pedone obeso e sudato. Pedone obeso e sudato batte me… quando si dice essere a valle della catena alimentare.
Gli autisti, quando ti adocchiano in mezzo alla strada, accelerano, suonano il clacson e puntano diretto verso di te… bersaglio mobile.
Jan An Road, Shanghai, sabato pomeriggio.
L’inquinamento
Quando la respiri per la prima volta, l’aria di Pechino sa di rancido e ti domandi se hai fatto la scelta giusta, a firmare quel contratto per una ben nota multinazionale. E non importa se da trent’anni ti sputtani lo stipendio in Marlboro rosse o se i tuoi polmoni sono ancora vergini: dopo un paio di mesi hai la tosse del fumatore.
Tre giorni dopo essere atterrato ho comprato un paio di scarpe da corsa a cento kuai. Pensavo di avere anche fatto un buon affare, ma dopo venti minuti di allenamento all’aria aperta mi sono ritrovato con i polmoni in fiamme e le ginocchia fottute dalla suola economica.
Quando ho lasciato Pechino, la situazione è migliorata un po’ ma se ti piace la verdura e prendi il treno per Shanghai, non guardare fuori dalla finestra: in molti punti la campagna è morta, l’insalata che ci coltivano grigia da far paura. Quando vivevo in Europa, mi sentivo colpevole a mangiare patate fritte per due giorni di fila – sono un salutista frustrato,- qua in Cina mi vengono i sensi di colpa a mangiare più di mezza lattuga al giorno.
La mancanza di privacy
Sarà che in Cina sono tanti. O magari anche il diritto alla privacy è, come lo stato sociale, un concetto tutto europeo destinato all’oblio, sepolto sotto i colpi d’ascia della globalizzazione e del sovraffollamento urbano. Sta di fatto che quando arrivi dall’Europa, qua ti senti quasi nudo. Intellettualmente, si intende. L’esperienza inizia già in aereo, dove i cinesi si sentono titolati a sbirciare in maniera spudorata sullo schermo del tuo computer. Fissarli con sguardo minaccioso non funziona, sono troppo intenti a decifrare i documenti a cui stai lavorando.
Le situazioni che ti portano a pensare che il concetto di “diritto alla privacy” in Cina sia qualcosa di diverso da quello che concepiamo in Europa sono innumerevoli. Un esempio a caso: l’ospedale. Arrivato in ospedale per fare gli esami del sangue, mi sono avvicinato a uno sportellino all’entrata, che aveva tutta l’aria di essere quello dove noi di solito paghiamo il ticket, o al massimo un ufficio informazioni. Per tutta risposta, la signora allo sportello a tirato fuori un ago, afferrato il mio braccio e riempito tre boccette di sangue lì, davanti a una fila di pazienti.
I barbieri
Parrucchieri cinesi.
Tutti maschi. Terribili. Li puoi dire quello che vuoi, portarti Yao Ming come interprete o mostrarli la foto della tua prima comunione dove avevi quel taglio che ti piaceva tanto. Invariabilmente, tenteranno di scolpirti i capelli alla Jacky Chan, stile di cui vanno fierissimi! Non provare a discutere, non funziona. Si emozionano e finisce che ti tagliano un’orecchia. E poi, chiudersi la camicia quando mi tagli i capelli sembra troppo, eh?
Cinque ragioni per amare la Cina
I mercati
Mercanti cinesi.
“kuai kuai kuai!” si sente ripetere come un mantra per le strade di Pechino, dov’è non c’è UN mercato: Pechino è un mercato. Mercato del lusso in Piazza Xidan, Wang Fu Jing o al Village di San Li Tun; dell’antiquariato a Liu Li Chang; dei prodotti contraffatti al Mercato della Seta di Guo Mao o allo Ya Shou; mercato contadino nelle strade secondarie che pullulano di paesani arrivati di notte in sella al loro cavallo e costretti a scappare all’arrivo della polizia; mercato del sesso nei centri massaggi a luci rosse.
I trasporti
Dei treni ho già detto in un post precedente. Per fare un confronto con l’Italia, basti pensare che collegano tutti i centri più importanti (compresa Lasa, la capitale tibetana), sono economici e sempre in orario. Le città principali sono quasi tutte dotate di reti metropolitane modernissime. Dove non c’è ancora, come ad Hangzhou, la metro è in costruzione e il sistema di autobus pubblici è comunque efficace.
Di notte, il mio mezzo di trasporto preferito sono i taxi: gli trovi ovunque, i prezzi sono accessibili (circa dieci euro per un’ora di corsa) e in due anni di Cina non c’è mai stato un tassista che abbia tentato di fregarmi. Bisogna solo stare attenti a non salire su un taxi pirata, che si possono riconoscere per la mancanza di insegne “ufficiali.”
Il senso di sicurezza
Ho viaggiato attraverso la maggior parte delle province di questo paese, spesso da solo; ho attraversato alle quattro del mattino i vicoli di Shanghai, Pechino, Chengdu, Nanjing e Gunagzhou; ho avuto alterchi in diverse discoteche con cinesi gelosi (e rompiballe) per questioni di donne; ect etc…
Non sto cercando di passare per Indiana Jones, so che tutto ciò non implica niente di realmente pericoloso. Il punto è che, nonostante stia girovagando per le strade di Cina da un bel po’, non mi è mai capitato niente: non ho mai assistito a uno scippo; nessuno ha mai tentato d’intimidirmi per una monetina (chi è passato nei pressi della Stazione Centrale di Milano sa di cosa sto parlando, tanto per citare un posto a caso); persino le risse nei locali rappresentano un fatto sporadico, se ne paragoniamo la frequenza a quella dei pub europei.
Non sto dicendo che la Cina sia il paese delle fate, bisogna stare attenti anche qui. Ma i rischi che si corrono sono perlopiù legati alle classiche truffe turisti dalle quali ci si può difendere con un po’ di buonsenso.
Non so se sia a causa della massiccia presenza della polizia nelle strade, delle pene severe cui sono sottoposti i criminali (soprattutto per chi commette un reato contro uno straniero facendo perdere la faccia alla nazione intera) o dell’onestà quasi ingenua (dal punto di vista di un italiano diffidente perlomeno) con cui si comporta la maggioranza dei cinesi. Quello che so è che oggi mi sento più sicuro in Cina che in qualsiasi metropoli occidentale.
“Poliziotto” a Chengdu, la capitale dei panda.
Il gran casino cinese
Anche se le vacanze in Italia fanno sempre piacere, e che sarebbe riduttivo caratterizzare come “una orda immane e disordinata.” No, le folle ci sono anche a Londra, Parigi e New York. Ma una piazza cinese mi trasmette un senso d’imprevedibilità che non ho ancora provato in nessun altra parte del mondo. Sembra sempre debba succedere qualcosa, una rissa per una ragazza, un incendio per colpa di un venditore di patate arrosto, una rivolta per un’ingiustizia subita. E poi bisogna spingere continuamente, reclamare il proprio spazio personale, stare attenti a non farsi calpestare o investire da un motocarro carico di bottiglioni d’acqua da cinque litri.
Si ha sempre l’impressione ci sia troppa gente, troppo chiasso, troppi vestiti appesi ad asciugare sui fili della luce, troppa merce sui marciapiedi e troppe bici sulle strade. Ma poi non succede mai niente, il traffico si autoregola, le risse non scoppiano quasi mai, qualcuno spegne sempre la scintilla prima che si trasformi in incendio e ognuno continua per la sua strada che domani bisogna alzarsi presto.
Cina, paese che stupisce sempre e comunque, che fa ribollire il sangue nelle vene, che ti fa sentire parte del mondo che sta cambiando, parte della storia.
Venditori di patate arrosto.
Dulcis in fundo… Le donne
Ahhh le cinesi… questa la vediamo in dettaglio un altro giorno ; – )
Photo Credits: Photos by Sapore di Cina
emanuele dice
interessante il discorso sulla privacy,io l’ho visto alla mia fidanzata che aveva puntato lo sguardo davanti a un gruppo che raccoglievano conchiglie;uno sguardo pungente, sotto quella tipica soglia di distanza cui si dice che l’estraneo rompe;silenziosa e curiosa,gli altri a tratti curiosi di essere osservati ma non ce stato scambio di parole.Io non l’avrei fatto perché non è usuale tuttavia,però a più distanza, accettavo questa situazione in virtù delle mie larghe vedute ,pronto a sorbire una nuova cosa se non ritenuta davvero dannosa.
Riguardo a Pechino e grosse città…e beh…sai…non è sicuramente salutare e neppure bello ma con quanta nostalgia ricordo ormai quei movimenti nella Milano degli anni ’80 :-( …ormai spenti tanto che a confronto con le biciclette comunali gialle dove vi vanno solo studenti universitari è una ben pallida situazione