Mi chiedo se lei, nella mia situazione, avrebbe perso la faccia…
Ripubblichiamo quest’articolo scritto nel 2012, visto che il tema è sempre attuale!
Mentre mi occupo del mio naso che cola senza soluzione di continuità – effetto collaterale dell’arrivo della primavera, – sorseggio il caffè e cancello il solito spam dalla mia casella di posta elettronica, scopro un involontario pesce d’aprile sulla prima pagina di Repubblica.it: Monti alla Cina “Investire in Italia.”
Sorrido e penso a quando, nel pieno della tempesta del debito europeo, ho partecipato all’ultima cena di lavoro dell’anno del Coniglio, la più importante: uno di quei banchetti interminabili che vanno avanti a colpi di discorsi altisonanti, ventisette portate – tra cui spiccano l’anatra laccata e i cetrioli in agrodolce, – e litri di bai jiu, la grappa cinese.
Questa non è la solita tiritera su come non offendere i cinesi durante le cene ufficiali, sul perché non si debbano infilzare le bacchette nel riso (ricordano i ceri mortuari) o sulla necessità di lasciare un po’ di avanzi sul piatto in modo che l’anfitrione non pensi che tu abbia ancora fame e si senta costretto a far portare un’altra zuppa d’uovo e altri dodici calamari.
No, oggi voglio raccontarti cosa succede quando sono i cinesi che, durante un banchetto ufficiale, ti fanno perdere la faccia (面子, mianzi).
Avanti veloce.
Nonostante fosse il gran giorno del banchetto uno dei vicepresidenti, dovendo forse presenziare ad un ancor più importante convegno, si presenta solo alle nove di sera, quando la cena volge ormai a conclusione. Si capisce da come biascica le parole che il grande capo ha bevuto troppo bai jiu e si sente in vena di show.
“Kan kan wo shi laoban,” guardatemi, sono il capo!
Poi mi nota – non è difficile, sono l’unico diavolo bianco in circolazione – e si rivolge a me gridando dall’altro lato della sala. La conversazione si svolge sulle solite note: lui che mi chiede se parlo cinese, io che rispondo “yi dian dian,” così così, lui che mi domanda da dove vengo, io che ribatto “Yidali.”
Mi sto già preparando a quello che seguirà, un “Wo xihuan AC Milan,” mi piace il Milan, o magari un “Wo xihuan Michelangelo,” nel raro caso sia dotato di maggior gusto estetico.
E invece, complice il baijiu che rende tutti più baldanzosi, succede quello che non ti aspetti, non alla cena dell’anno perlomeno. Sempre alzando la voce – ci troviamo ancora a dieci metri di distanza – e con buona parte degli astanti ormai sintonizzati sulla frequenza che trasmette la discussione tra il grande capo e quel diavolo bianco dall’accento un po’ ridicolo, il vicepresidente Yu sorride sornione e poi sbotta:
“Yidali hen qiong, Ouyuan bu tai hao,” l’Italia è povera, l’Euro non serve a niente. Ride, poi conclude in crescendo, questa volta in inglese:
“Everybody wants Renminbi, no one wants Euro anymore!”
Il brusio di sottofondo, incessante sino a quel momento, cessa di botto lasciando spazio a un silenzio attonito.
E lì che mi rendo conto di non abitare più Francia, dove quando il capo mi chiamava le grand tricheur (il gran farabutto), riferendosi all’epica testata di Zidane a Materazzi, ci si rideva su e tutto finiva lì. No, qua siamo a un’altra longitudine.
Secondo il codice cinese il vicepresidente mi ha fatto perdere la faccia.
Chiariamo un concetto: per me sbagliare – e dunque perdere la faccia – è il passo più importante nel processo di continuo apprendimento che chiamiamo vita. O per dirla in latino, io della (mia) faccia me ne fotto.
E poi gli sfottò sono cose che gli emigrati imparano ad accettare: mafioso, falloso, pizzaiolo, catenacciaro, playboy e quant’altro: negli ultimi sette anni ne ho sentite di tutti i colori. Che poi vado orgoglioso di tutti gli epiteti che ci trasciniamo dietro (a parte il mafioso…).
Pure falloso, dirai? Sì, pure falloso. Ti risulta che Gentile per fermare El Diego durante Italia-Argentina ’82 utilizzò la poesia? No! Maradona si fermava solo a calcioni, chiedetelo agli inglesi in gita a Città del Messico.
Tornando alla vicenda del vicepresidente Yu, se la frase “Nessuno vuole più sentir parlare di Euro” l’avesse pronunciata un CEO americano di fronte a una platea di Yankees mi sarebbe scivolata addosso, avrei archiviato l’etichetta “Italiano con le pezze al culo” insieme alle altre (catenacciaro, playboy, Mario Bros).
Il problema è che sono stati i cinesi a prenderla seriamente. Il silenzio successivo all’accaduto, il cambio d’atmosfera da gioviale a teso, gli sguardi a studiare i disegni sul pavimento e le mani ad accendere sigarette di circostanza.
E’ stato quasi come se, all’unisono, tutti abbiano pensato che il capo facendomi perdere la faccia avesse compromesso l’armonia della nottata.
Non sapendo cosa fare per ristabilire questa benedetta armonia rispondo con un neutrale “hao ba,” che si può tradurre più o meno con “ok,” e che vuol dire tutto e niente.
Il vicepresidente Yu, imbarazzato, cambia interlocutore, parla d’altro, ma poi non ce la fa e si avvicina al mio tavolo, mi dedica un brindisi, si siede a parlare con me per dieci minuti. Non arriva mai a scusandosi apertamente – equivarrebbe ad ammettere il suo sbaglio, – ma comunque mi concede l’importanza necessaria a “rendermi” la faccia che mi aveva “tolto.”
Questo spaccato di vita quotidiana non ha la pretesa di descrivere la complessità della cultura della faccia in Asia, che ha radici profonde e richiederebbe una discussione senz’altro più dettagliata di quella che queste ottocento parole buttate giù bevendo il caffè (due tazze, ammetto) possano permettere.
Però spero almeno sia riuscito a far passare il concetto ; – )
Photo Credits: Photos by Sapore di Cina
Jake dice
Anche a me era successa una cosa del genere, anche se fortunatamente non alla cena di lavoro. Ero ad un KTV durante una conviviale di amici vari della mia ragazza di allora (sai, quelle situazioni in cui finiscono per radunarsi come minimo 15/20 persone spuntate da chissa’ dove), e ad un certo punto mi si avvicina uno dei presenti con il pretesto di brindare; dopo aver passato dieci minuti ad espormi tutta sua la paccottiglia di marca che si portava appresso (convinto forse che me ne fregasse qualcosa) ad un certo punto se ne esce con una frase del tipo “so che ora l’Italia e’ povera”, “voi non potreste mai permettervi questa roba” o qualcosa del genere.
Ed io: “Lo so. Infatti dove siamo ora? In Cina, mica in Italia”.
Lui: “E non ti manca l’Italia?”.
“Certo che no. Gli stranieri qui fanno dei bei soldi, non lo sai?”. Abbraccio poi la mia ragazza e aggiungo: “In Italia mica si trovano poi delle ragazze cosi’ belle”.
“E la tua famiglia (家人) cosa ne pensa?”
“Io mica ho bisogno della mia famiglia. Non sono mica cinese”.
Il vederlo andarsene con la coda tra le gambe subito dopo non ebbe veramente prezzo.
Logico che pero’ fare una cosa del genere col tuo capo o anche solo con un collega provocherebbe il tuo licenziamento in tronco immediato…
Furio dice
: )
Rosanna dice
Povero si scrive qiong.
Furio dice
you re right!
Luna dice
Concordo con il primo commento: bellissimo il tuo stile! E utili questi articoli per capire un po’ di più la cultura cinese. Fai bene a riproporli!
Furio dice
: )
Claudio dice
Più che leggereli, li divoro i tuoi articoli come tutto il resto di saporedicina. Che dire, bravi tutti!
Furio dice
: )))
Maddalena Di Tommaso dice
Troppo vero, e se fai finta di non parlare cinese cosa non viene fuori sugli stranieri…dove sono io il razzismo e’ a mille
Furio dice
: )
Marco dice
io non faccio finta, non lo so proprio parlare quindi non so cosa possono dire di noi stranieri… posso pero’ dire cosa dicono molti expat dei cinesi e della cina che, comunque, li ospita e da loro un lavoro.
I cinesi forse non ci ameranno ma anche moltissimi expat non ricambiano (e lo fanno capire senza troppa paura di perdere la faccia).
Beati voi che siete riusciti a impararla questa lingua impossibile (io dopo 8 anni ancora non distinguo i toni)
Furio dice
: )
Davide dice
Sono sempre belli, interessanti e utili i tuoi articoli!
Furio dice
Questo è uno di quelli a cui sono più affezionato : )
Davide dice
Ci credo che sia uno degli articoli ai quali sei più affezionato, e lo capisco.
Il concetto è passato…
Elisa T. dice
Mi piace il tuo stile! E’ graffiante e sintetico, si capisce sempre dove vuoi arrivare. Grande Furio!
Furio dice
: )