“Non esistono molte scorciatoie in natura. Le strade che a prima vista appaiono come scorciatoie sono mere deviazioni (mascherate come meno lavoro),” Seth Godin.
Oggi voglio parlare di Remembering the Hanzi, un metodo alternativo per imparare a scrivere e ricordare il significato dei caratteri cinesi.
Se non ne hai mai sentito parlare, prima di continuare a leggere quest’articolo ti consiglio di dare un’occhiata alla mia recensione del metodo.
Sette ragioni per cui dovresti evitare Remembering the hanzi (se il tuo scopo è quello di imparare il cinese velocemente)
- Remembering the Hanzi fornisce solo il significato dei caratteri. Il metodo prevede che pronuncia e toni si apprendano solo in un secondo momento. Tra l’altro il libro non tiene conto della struttura grammaticale del cinese, che bisogna comunque imparare se si vuole riuscire a comunicare in mandarino (non credere a chi ti dice che il cinese non ha grammatica).
- Nel cinese moderno la maggior parte degli aggettivi, nomi e verbi sono composti da due o più caratteri. Quindi conoscere il significato originale di un carattere può risultare inutile visto che la nuova parola ha spesso un significato diverso. Ecco un esempio che faccio spesso: anche se 小 significa “piccolo” e 心 significa “cuore,” la combinazione 小心 significa “fare attenzione.”
- A causa della natura del metodo e del numero di caratteri che dovrai imparare, sarai costretto ad associare un solo significato per carattere. Non solo, il significato dovrà essere quello suggerito da Heisig (il creatore del metodo). Anche se questa limitazione appare necessaria se si vuole evitare di confondere i caratteri in un secondo momento, si tratta di uno svantaggio non da poco (tieni conto che i caratteri cinesi – soprattutto quelli più comuni – possono assumere un significato diverso a seconda del contesto).
- Molti caratteri sono facili da ricordare, magari perché li vedi ogni giorno, perché hanno una forma particolare o perché ti ricordi il contesto nel quale li hai imparati. Purtroppo se decidi di seguire il metodo descritto in Remembering the Hanzi dovresti imparare ogni carattere tramite una storia. Infatti i caratteri più semplici fungono spesso da primitive per quelli più complicati (ad esempio 木+目+心=想). L’ingegneria inversa richiede un’immaginazione disciplinata, non c’è spazio per l’improvvisazione!
- Supponiamo che tu abbia creato la tua bella storia. Ti troverai spesso costretto a ricostruirla nella tua mente per ricordarti il significato del carattere. Questo processo può durare decine di secondi. Ti sembra naturale? Bene, perché neanche a me. Qualcuno si sentirà in dovere di spiegarci che, dopo aver ripetuto e rivisitato il carattere decine o centinaia di volte, sarai in grado di ricordare il significato del carattere istantaneamente. Uh? Are you kidding me? Ma il vantaggio principale del metodo non era quello di evitare le tediose ripetizioni necessarie per imparare un carattere?
- Si può fare un ragionamento simile per la scrittura dei caratteri: chi impara a scrivere tramite Remembering the Hanzi di solito è più lento. Il metodo fu inventato negli anni settanta, nell’era geologica pre-smartphones. Oggigiorno ci sono, a mio avviso, strumenti più efficaci per imparare a scrivere, Skritter in primis.
- Ho lasciato la ragione più importante per ultima. Più parlo con ragazzi e ragazze intenzionati a imparare il cinese più mi convinco che la maggioranza di quelli che scelgono di seguire il percorso tracciato da Remembering the Hanzi siano in cerca di una scorciatoia. Ma sei davvero convinto che inventare una storia per ognuno dei 3,000 caratteri presenti nel libro di modo che qualche mese (o anno) più tardi si abbia una conoscenza teorica che non ti permette di comunicare (vedi i primi due punti) sia una scorciatoia? Perché a me suona come un lavoraccio.
Sto davvero affermando che Remembering the Hanzi sia inutile e che tutti i fan di Heisig si siano sbagliati?
No!
Heisig ha avuto una fantastica idea e, quel che più conta, la perseveranza per realizzarla. Quando non era che uno studente di giapponese a Tokyo ebbe le palle di sfidare tutti i dinosauri (i professori di giapponese) per difendere il suo metodo sino a vedere la prima versione del suo libro pubblicata.
Tra l’altro Remembering the Hanzi rappresenta una fantastica tassonomia dei caratteri cinesi e lo raccomando a chiunque ami i caratteri cinesi per la loro intrinseca bellezza (invece che considerarli come un ostacolo tra lui e la lingua cinese), a chi parla già cinese ma vuole migliorare la sua conoscenza dei caratteri (soprattutto per quanto riguarda la scrittura) e a chi si diverte con l’ingegneria inversa.
Imparare il cinese: La via dell’indolenza (undicesimo mese)
Sono ancora in Italia quindi con il cinese sto andando a rilento.
Ho continuato con le mie revisioni giornaliere di flashcard Anki e con ChinesePod.
Dopo un po di esperimenti con Skritter, ho deciso di studiare i caratteri delle liste HSK in modo da darmi un obiettivo a lungo termine.
Per ora sto andando al ritmo di dieci minuti al giorno.
Due mesi di pausa dal cinese e dalla Cina mi sono serviti. Adesso, ogni volta che sento parlare cinese, mi viene una fitta al cuore. Mi manca proprio!
Qual’è il tuo metodo per memorizzare i caratteri cinesi?
Photo Credits: Photos by Sapore di Cina
Agostino dice
Ciao Furio, non ho letto quanto scritto da Pascal. Troppo lungo e a me, in questo periodo, manca tempo. In base alla mia esperienza, ti dò parzialmente ragione. Ho provato molti anni fa il metodo Heisig per il giapponese e, negli ultimi anni, per il cinese. In entrambi i casi l’ho abbandonato perchè, per arrivare a risultati apprezzabili, ci si mette troppo tempo. A mio giudizio impari più in fretta gli ideogrammi e soprattutto la loro pronuncia sia con metodi tradizionali (i vecchi testi) sia con metodi tecnologicamente più recenti (ad esempio Rosetta Stones, ma non solo). Ovviamente usare “Heisig” in parallelo agli altri metodi potrebbe essere un buon “compromesso”. Ma il tempo è quello che è e gli impegni sono tanti: pertanto è necessario “selezionare” gli strumenti/corsi! Heisig partì con il giapponese. A mio giudizio Heisig semplicemente sconsigliò di imparare anche il suono dei kanji perchè, a differenza della lingua cinese, un ideogramma giapponese può avere numerose (anche decine) di suoni diversi (per via del suono ON e KUN ma non solo). Ad esempio: 生 si può leggere in questi modi: い.きる い.かす い.ける う.まれる う.まれ うまれ う.む お. セイ ショウ-. Per il cinese, Heisig, a mio parere, ha semplicemente “tradotto” la sua opera giapponese in quella cinese …. Da qui, per comodità, credo, la riproposizione dello stesso (sbagliato in questo caso) consiglio.
furio dice
Ciao Agostino,
grazie per il commento. Non sapevo che gli ideogrammi giapponesi potessero avere diverse pronuncie.
Può darsi che tu abbia ragione e che alcuni problemi di Remembering the Hanzi siano strutturali in quanto il libro è originariamente pensato per studiare il giapponese.
Matteo Pascal dice
Agostino, il tuo contributo è stato molto interessante, effettivamente così come Furio ignorava le molteplici pronunce dei kanji io ignoravo completamente il fatto che in cinese ogni hanzi possedesse una singola pronuncia… il che spiega come mai l’argomento non fosse uscito prima. In quest’ottica sarebbe stato possibile integrare la pronuncia degli hanzi all’interno dell’RTH (anche se bisogna valutare quanto convenga studiare una pronuncia estrapolata da un contesto). Mi chiedo però se ciò vada realmente a svantaggio dell’uso del RTH, rispetto all’RTK: io come studente di giapponese alla fine dell’RTK dovrò studiarmi circa 5000 pronunce (ovviamente tramite full immersion nella lingua, nei singoli vocaboli utilizzati, non con metodi sistematici o “tassonomici”), mentre per uno studente di cinese le pronunce risulteranno sicuramente di meno, e trovandosi immerso in una lingua che usa solo gli ideogrammi (privo cioè di caratteri sillabici come i kana) l’apprendimento dovrebbe risultare più veloce (almeno relativamente, poi è chiaro come toni e grammatica facciano la differenza).
Matteo Pascal dice
Conosco AJATT ma su certi aspetti è troppo estremista per i miei gusti: posticipare lo studio dei kana rispetto a quello dei kanji equivale a eliminarsi qualunque possibilità di un parziale studio in parallelo durante il periodo del metodo Heisig (a meno di non usare i roumaji, ma è il modo peggiore per cominciare ad imparare il giapponese), vuol dire che quando avrai finito di imparare i 2200 kanji non saprai nemmeno leggere una frase come “Ciao, io sono Matteo”. Ecco, questo è un po’ eccessivo pure per me. :)
E anche la parte delle 10mila frasi non mi convince del tutto, ho paura che trasformi le persone in semplici “risponditori automatici in lingua”, come quelli che citano a memoria i film in inglese ma cadono dal pero quando devono formare una frase originale o un periodo ipotetico, sbagliando tutti i verbi. Però è un aspetto di AJATT che approfondirò in futuro, questi che sto scrivendo sono solo “pregiudizi”…
Ovviamente continuerò a seguirti con piacere, alla prossima, ciao! :)
Furio dice
Non conosco i dettagli perché non studio giapponese. Però mi piacciono i suoi vecchi articoli sugli SRS, specialmente quando parla degli errori più comuni che si commettono quando si inizia con Anki etc
Matteo Pascal dice
Intanto ti ringrazio, è sempre un piacere trovare una persona con cui discutere civilmente pur pensandola in modo diverso… e non è una cosa da dare per scontata. Passo a “contro-risponderti”, consapevole del fatto che su molti punti la pensiamo allo stesso modo (ma non sono d’accordo sulle conclusioni che vengono tratte da queste premesse).
>Se usi Remembering the Kanji stai studiando giapponese, non cinese. Ti confronti quindi con problemi diversi (per un italiano il giapponese ha una pronuncia relativamente facile e una grammatica complicata, con il cinese il problema è l’opposto).
Questo è giusto, una delle ragioni per cui ho scelto il giapponese (almeno come prima lingua, non mi dispiacerebbe, un giorno, entrare anche nel mondo del cinese, non a caso ti ho salvato tra i preferiti nel gruppo dei “siti di lingua”) è la semplicità della pronuncia, il non dovermi scontrare con sillabe identiche per un italiano ma diversissime per un orecchio cinese. Non conosco la grammatica cinese quindi non posso fare un confronto, ma comunque anche la grammatica giapponese se imparata per gradi non è nulla di drammatico… il che andrebbe a sostegno della tua tesi, ovvero “buttatevi subito nello studio della lingua viva e parlata, gli ideogrammi li imparerete da soli con il tempo”. :) Tanto più che nel giapponese i kanji sui testi per bambini o ragazzi sono spesso accompagnati dai furigana, che aiutano in modo naturale ad imparare pronuncia e significato. Cosa non funziona quindi secondo me? L’ho scritto e lo scriverò nei punti successivi, e alla luce di quanto detto qui se vale per il giapponese non penso possa essere tanto diverso dal cinese, anche perchè se un ideogramma ha una certa frequenza, ed è dotato di una certa complessità, la mia capacità di ricordarlo sarà legato solo a questi due aspetti, non alla pronuncia o alle regole grammaticali della costruzione della frase. Anche per i kanji, come per gli hanzi, la parola chiave è spesso solo vagamente legata (o a volte nemmeno questo) al reale significato dell’ideogramma. Ovviamente posso sbagliarmi, ma in questo caso vorrei capire meglio il perchè. :)
>Credimi, tanti pensano che Heisig fornisca una scorciatoia per imparare a parlare il cinese. Demistificare questa credenza è lo scopo principale di quest’articolo
Insisto sul fatto che non abbia senso parlare di “scorciatoia” se non si sa dove si vuole andare; anche il titolo del tuo post mi lascia perplesso: imparare “velocemente” per arrivare dove di preciso? Se voglio andare da Roma a Pechino l’aereo è più veloce del treno, ma se il percorso è Verona – Brescia le cose cambiano radicalmente, perchè bisogna tenere conto del tempo complessivo di viaggio (e con Heisig, abbiamo visto, si perde tantissimo tempo su ideogrammi poco o pochissimo usati, prima di poter dire anche solo “ciao sono Tizio”). Demistificare la credenza che Heisig permetta di imparare il cinese a qualsiasi livello senza nemmeno un prezzo da pagare è invece un obiettivo su cui mi trovi completamente d’accordo, ma bisogna evitare di far passare un messaggio sbagliato, come secondo me emerge dal tuo post.
>Io percepisco le lingue come uno strumento di comunicazione, non come una materia di studio tassonomico come può essere la botanica. Tra l’altro quando non vediamo i risultati (quando non facciamo cioè progressi nel leggere/parlare) tendiamo ad annoiarci ed ad abbandonare la “sfida.” Dici che hai iniziato a studiare il giapponese pochi mesi fa. Ma le lingue asiatiche sono una maratona. Sei così sicuro di riuscire a tenere il ritmo a lungo termine anche senza vedere alcun progresso pratico (cioè nel parlare e nel leggere)?
Quanto scrivi è molto interessante. Mi fa venire in mente il Nome della rosa, la lunga e interminabile descrizione del portale che Eco mise apposta in uno dei primi capitoli per compiere una vera e propria “scrematura” dei lettori, e far passare solo quelli in grado di non abbandonare il libro dopo un simile capitolo. Non è facile accettare il metodo Heisig, è frustrante e se una persona non è motivata potrebbe anche abbandonare la lingua dopo pochi mesi. Ma questo non vale anche se la persona non motivata studia senza il metodo Heisig? Se la motivazione è scarsa, potrebbe comunque stufarsi alle prime difficoltà, che non ho dubbi esistono anche in cinese come in giapponese (difficoltà diverse, forse qui grammatica e lì pronuncia, ma sono comunque difficoltà). Non credo che il fatto di rappresentare una “sfida” rappresenti uno dei reali svantaggi del metodo. Che poi, potrei farti il mio esempio: ho avuto un primo approccio con il giapponese un anno fa e per quanto le frasi fossero semplici ho trovato quasi traumatico scontrarmi con una lingua così diversa, consapevole per di più dei limiti della mia memoria. Ho ripreso lo stesso studio poche settimane fa, con kanji come 名 o 子 che erano ormai fedeli compagni di viaggio, e mi sono trovato molto più a mio agio. Se non sarò costante e mollerò prima di immergermi nella lingua reale scritta e parlata, allora shame on me, direi che me la sono cercata, non è un problema del metodo ma di me che avevo puntato troppo in alto. :)
>associare un carattere a un solo significato può risultare fuorviante. Questo è il motivo per cui io (e quasi tutti i prof di cinese con cui ho parlato, il cui parere conta più del mio) sostengo che un carattere – o una parola – andrebbe sempre imparata in un contesto e non isolatamente.
Anche in questo caso, secondo me un approccio non esclude l’altro. Si tratta comunque di associare più termini italiani tra di loro, cosa che per la mente risulta più semplice dell’associare quel preciso ideogramma a una lista di significati. E con l’abitudine il significato originario di Heisig potrà persino scivolare nel dimenticatoio, man mano che usiamo quel termine con significati completamente diversi. Ma ho bisogno di un metodo per imprimere un ideogramma almeno nella memoria a breve termine, prima che si consolidi in quella a lungo termine. Va bene un qualsiasi sistema mnemonico, di cui parli giustamente in seguito, ma il metodo Heisig ha il vantaggio di essere strutturato e organizzato in modo completo su tutti gli ideogrammi, il che secondo me non è poco.
>Il problema è che c’è una miriade di caratteri che siamo in grado di ricordare semplicemente perché gli vediamo spesso. Perché dovrei pendermi il disturbo di imparare la parola chiave scelta da Heisig (che ha spesso un significato arcaico e per me inutile)?
Il prezzo da pagare è associare un significato in più a un ideogramma che già conosci (sforzo per il cervello: minimo, quanto associare tra loro due termini in italiano; chiamiamolo il “significato Heisig” da aggiungere ai significati reali); il vantaggio è riuscire ad associare alla mente una serie di ideogrammi derivanti che usano quello che già conosci. Ma qui si va davvero nel soggettivo: se per te associare due termini in italiano è più difficile dell’associare un termine in italiano a un complesso insieme di tratti che a prima vista possono sembrare del tutto casuali, allora hai ragione a trovare molti punti deboli in questo metodo. Accetta però che per tanti altri non è così.
>Dieci secondi, quattro secondi… Parlo in termini generali. Capisci che si tratta di tempi soggettivi. C’è chi è più lento, chi più veloce, ma siamo sempre sull’ordine di grandezza dei secondi. Io ci metto 0,0001 secondi a ricordare il significato dei caratteri che conosco ; )
Beh 10 secondi e 4 secondi (che ho dato di massima, per il caso peggiore, per la sola scrittura) non sono proprio la stessa cosa, e non c’entra chi è più veloce o lento, ma solo il livello a cui l’ideogramma è stato assimilato dal cervello: tempo nullo, con o senza Heisig, se il carattere lo conosci bene; tempo di pochi secondi se non lo hai assimilato abbastanza con Heisig (ripeto: Heisig funziona con immagini, non con lunghi racconti: se servono più di questi pochi secondi, al di là della persona, vuol dire che non si sta seguendo correttamente il metodo), tempo infinito se non lo ricordi subito e non usi un sistema di memorizzazione (va bene anche altro oltre ad Heisig, ci mancherebbe, ma con il suo metodo ribadisco c’è un organicità che agli altri metodi manca). Pensa a “sinistra” e “destra” ( 左 e 右 ): grazie ad Heisig non ho mai alcun dubbio su quale sia l’uno e quale l’altro; senza un trucco di memorizzazione non sarebbe andata allo stesso modo, anche se avessi visto questi caratteri 100 volte al giorno; e una volta assimilato il carattere non è detto che la storia di Heisig non scompaia, con il tempo, quando non mi servirà più (ma già adesso vedo che quasi non la devo più usare).
>Che il tempo si “riduca drasticamente” non è mai stato dimostrato. Occhio, non fare l’errore di confondere “il metodo Heisig” con la mnemonica, che esisteva già ai tempi dei greci e romani (Cicerone l’utilizzava per ricordare i suoi discorsi ad esempio).
Ci sono tantissime testimonianze in rete, anche gente che ha studiato senza successo i kanji per anni ma dopo averne ripreso lo studio con Heisig si è trovata enormemente meglio… ovvio che vale il discorso sulla mnemonica, sui trucchi di memorizzazione, ma spesso mancano di un sistema completo che permetta di darsi un piano di studi organico e controllare in modo sistematico i propri progressi.
> I bambini imparano così. Ecco perché non conoscono vocaboli “complicati” e poco frequenti, a differenza degli studenti di latino che sono costretti a imparare termini guerrafondai e altre minchiate simili (e infatti nessuno studente di latino riesce a comunicare nella lingua che studia per cinque anni al liceo… whatever)
Ci sono saggi su saggi che spiegano perchè per la seconda lingua da adulti non si possano applicare gli stessi metodi che si usano per insegnare la lingua madre ai bambini… mi permetto solo un’osservazione: nessuno dopo i licei riesce a parlare in latino perchè viene il latino studiato e trattato per quello che è, cioè una lingua morta, dove non esiste conversazione, e in questo senso è davvero come fermarsi agli ideogrammi di una lingua orientale. Ma se si proseguisse lo studio del latino con anche solo un anno di lingua viva si riuscirebbe a mettere a frutto tantissimo di quanto imparato. Ma… cui prodest?
>Di nuovo, io vedo le lingue come uno strumento di comunicazione e quindi secondo me non andrebbero studiate con metodi che ricordano lo studio della botanica, della zoologia o di qualsiasi tassonomia in generale. Poi dipende anche dai tuoi scopi. Se comunicare non t’interessa e sei solo attratto dall’aspetto tassonomico degli ideogrammi allora sì, il metodo Heisig è probabilmente la strada da seguire ; )
Anche la grammatica, con la sua lista di regole noiose, a qualcuno potrebbe ricordare l’approccio della botanica, e in effetti esiste una scuola di pensiero secondo cui la lingua si deve imparare solo con la full immersion, ignorando qualsiasi libro tratti lo studio della lingua… quello che non capisco è perchè si deve strutturare il dibattito in “metodi in lotta fra loro”… perchè non pensare a un primo noioso studio tassonomico prima di entrare per il resto della vita nel vivo della lingua? Perchè non cercare di prendere gli aspetti migliori di entrambi i metodi? Con la differenza che Heisig è il primo a mettere in chiaro che la sua è solo una premessa a quanto deve seguire dopo… già quanto pretende di insegnare come step successivo la pronuncia commette un mezzo passo falso, e questo lo ammettono quasi tutti i suoi sostenitori, me compreso.
>Praticamente mi stai dicendo:
1) Penso che le lingue asiatiche siano quasi impossibili quindi ci metterò dieci anno a parlarne una.
2) Meglio utilizzare Heisig così ce ne metto otto o nove (tutto da dimostrare!!!)
Mannò, ho sparato numeri così alti per far capire che si parla di uno studio serio della lingua! E per una persona che magari ha già gli impegni di una famiglia, di una vita lavorativa priva di quella lingua (anche se il cinese, caspita, sul lavoro mi servirebbe molto più del giapponese, ci scriviamo praticamente tutti i giorni….) non credo che 10 anni per raggiungere un buon livello della lingua siano una sparata così irragionevole. Almeno per il giapponese, magari il cinese è più semplice di quanto penso. Che Heisig sia un investimento sul futuro, con uno o due anni risparmiati, dici che è tutto da dimostrare: è vero, non esiste uno studio sistematico che lo dimostri, io mi baso sulla mia esperienza personale e su quella di tante altre persone conosciute in rete… ma mi è difficile capire perchè saremmo tutti frutto di un colossale abbaglio, quando vediamo gli effetti positivi su noi stessi per primi.
> Il mio consiglio è invece quello di puntare sulla comunicazione piuttosto che sullo studio tassonomico dei caratteri e vedrai che in un anno potrai già sostenere conversazioni a livello decente. C’è riuscita tanta gente, perché non tu ; ) Buona fortuna con il giapponese e grazie ancora per il lungo commento!
Sono io a ringraziare te, confrontarsi con chi la pensa diversamente è sempre un’occasione per fare chiarezza nelle proprie idee, e magari migliorarsi. :)
Per il giapponese verrà il momento anche della full immersion in conversazione e giapponese reale, ma non sarà il posticipare di ancora qualche mese quel momento a cambiare le cose.
E poi, chissà, spero un giorno di essere qui non solo come curioso occasionale ma come studente di cinese… peccato però scoprire che molti dei miei film preferiti siano in realtà in cantonese, ancora più difficile del mandarino a livello di toni, sigh! :(
Furio dice
Ciao Matteo,
grazie per un altro luuungo commento. Spero che continuerai a seguire il blog anche se stai studiando giapponese : )
P.s. probabilmente lo conosci già, ma te lo dico lo stesso: dai un’occhiata ad AJATT (All Japanese All The Time), a detta di tutti il miglior blog per imparare il giapponese (sopratutto se stai studiando con un SRS come Anki).
Matteo, se nella prima e-mail ti ho risposto punto per punto per evitare che tu o un altro lettore interpretassero in maniera sbagliata quello che ho scritto, adesso non lo farò.
Il motivo è che una discussione basata sul ribattere punto per punto si trasforma presto in qualcosa di vuoto, dove ogni persona si arrocca a difesa delle proprie idee.
E’ un po’ come quando una femminista e una cattolica si mettono a discutere dell’aborto. Dio – o chi per lui – ce ne scampi e liberi : P
Sono d’accordo con te che il titolo dell’articolo non sia stato uno dei più azzeccati. Ma scrivo quattro/cinque articoli a settimana (non sempre qui su Sapore di Cina ovviamente, anzi se non lo conosci dai un’occhiata a http://nonvogliolavorare.it).
Ti assicuro che trovare sempre un titolo corto, accattivante e che rispetti il contenuto dell’articolo è un lavoraccio anche per un editor di professione. Figurati per me ; )
Tu fai l’esempio di “sinistra” e “destra” ( 左 e 右 ) e dici che grazie ad Heisig non hai mai alcun dubbio su quale sia l’uno e quale l’altro.
Anch’io uso la mnemonica per ricordarmi di tanti caratteri, però si tratta più di idee che si affacciano spontaneamente nella mia mente.
Prendi 左 (che significa “sinistra”e in cinese si pronuncia “zuo”). La mia mente lo ha associato spontaneamente a 工作 (che significa “lavoro”e si pronuncia “gongzuo”).
La ragione è che “sinistra”in termini politici mi fa pensare alle lotte di classe (e quindi al lavoro).
Siccome le due parole hanno in comune il fonema “zuo” e il primo carattere di “lavoro” è 工 mi risulta molto facile associare 左 alla sinistra (la cui parte inferiore a destra è appunto 工).
Quindi c’è un’associazione a tre livelli (forma del carattere, significato e pronuncia). Come vedi anche le pronunce possono essere sfruttate in mnemonica, non solo la forma ; )
Buona fortuna di nuovo con i tuoi 3,000 caratteri. Fammi sapere come ti va : )
F.
Matteo Pascal dice
Non mi è mai capitato di trovarmi così in disaccordo con un post… uso Remembering the Kanji da alcuni mesi e le mie impressioni sono state opposte alle tue quasi su tutto. Provo a spiegarmi punto per punto.
>Remembering the Hanzi fornisce solo il significato dei caratteri. Il metodo prevede che pronuncia e toni si apprendano solo in un secondo momento. Tra l’altro il libro non tiene conto della struttura grammaticale del cinese, che bisogna comunque imparare se si vuole riuscire a comunicare in mandarino (non credere a chi ti dice che il cinese non ha grammatica).
Il metodo Heisig fornisce i mattoni per lo studio di una lingua, nessuno è così pazzo da credere che sia uno strumento per imparare una lingua. Anzi, alla fine del libro bisognerebbe avere l’umiltà di ammettere che di quella lingua non si sa ancora NULLA, così come conoscere i simboli delle operazioni matematiche, dal + al segno di integrale, non vuol dire “conoscere la matematica”. Uno sforzo di umiltà faticoso (soprattutto se dopo mesi e mesi di lavoro) ma necessario. Il valore aggiunto si manifesterà soltanto nel lungo periodo (e in questo senso, è verissimo che come metodo non vada bene per imparare “velocemente”). Ma forse Heisig pretendeva di insegnare qualcosa in più degli ideogrammi e al massimo della loro pronuncia?
>Nel cinese moderno la maggior parte degli aggettivi, nomi e verbi sono composti da due o più caratteri. Quindi conoscere il significato originale di un carattere può risultare inutile visto che la nuova parola ha spesso un significato diverso. Ecco un esempio che faccio spesso: anche se 小 significa “piccolo” e 心 significa “cuore,” la combinazione 小心 significa “fare attenzione.”
Il metodo Heisig fornisce comunque un aiuto in più per la memorizzazione dell’intera parola, nel tuo esempio potrei pensare a un piccolo cuore spezzato dopo la prima delusione amorosa, storia forse idiota ma che può essere di aiuto… l’alternativa rimane aiutarsi con la pronuncia o con il semplice “ripetere fino alla nausea”, ma il metodo Heisig permette di avere semplicemente uno strumento in più, senza toglierne altri.
>A causa della natura del metodo e del numero di caratteri che dovrai imparare, sarai costretto ad associare un solo significato per carattere. Non solo, il significato dovrà essere quello suggerito da Heisig (il creatore del metodo). Anche se questa limitazione appare necessaria se si vuole evitare di confondere i caratteri in un secondo momento, si tratta di uno svantaggio non da poco (tieni conto che i caratteri cinesi – soprattutto quelli più comuni – possono assumere un significato diverso a seconda del contesto).
In tutte le lingue esistono vocaboli che assumono significati diversi a seconda del contesto, e per kanji e hanzi il contesto è dato dalla parola di appartenenza. DI che pene stiamo parlando? Ma con l’allenamento ci si abitua ai vari significati dello stesso ideogramma, per quanto diversi tra loro, e alla fine si tratta di creare un associazione tra parole in italiano, ben più semplice di un’associazione tra un’altra parola italiana e un ideogramma.
>Molti caratteri sono facili da ricordare, magari perché li vedi ogni giorno, perché hanno una forma particolare o perché ti ricordi il contesto nel quale li hai imparati. Purtroppo se decidi di seguire il metodo descritto in Remembering the Hanzi dovresti imparare ogni carattere tramite una storia. Infatti i caratteri più semplici fungono spesso da primitive per quelli più complicati (ad esempio 木+目+心=想). L’ingegneria inversa richiede un’immaginazione disciplinata, non c’è spazio per l’improvvisazione!
Questa critica non l’ho proprio capita. Se un ideogramma lo conosci già, puoi non impararne la storia ma solo la parola chiave (che ovviamente già conosci) e le massimo 2 o 3 immagini associate, facili da ricordare perchè legate alla parola chiave. Dov’è quindi il problema?
>Supponiamo che tu abbia creato la tua bella storia. Ti troverai spesso costretto a ricostruirla nella tua mente per ricordarti il significato del carattere. Questo processo può durare decine di secondi. Ti sembra naturale? Bene, perché neanche a me. Qualcuno si sentirà in dovere di spiegarci che, dopo aver ripetuto e rivisitato il carattere decine o centinaia di volte, sarai in grado di ricordare il significato del carattere istantaneamente. Uh? Are you kidding me? Ma il vantaggio principale del metodo non era quello di evitare le tediose ripetizioni necessarie per imparare un carattere?
Dieci secondi per ricordare il significato??? Secondo me stai utilizzando il metodo Heisig nel metodo sbagliato. Un aspetto su cui Heisig insiste in molti capitoli è quello di creare un’immagine mentale delle proprie storie, in modo che gli elementi base dell’ideogramma saltino subito in mente. Se pensi a “petizione”, deve comparirti al volo il faccione del mago di Oz in mezzo a un prato, massimo 2 secondi, più massimo altri 2 secondi per essere sicuro sul corretto ordine di scrittura. Ovvero, 2 secondi per riconoscere l’ideogramma, 4 in tutto per capire come scriverlo. Metterci di più equivale a dire che non si sta seguendo il sistema nel modo corretto (magari la storia non è all’altezza, Heisig toppa più di una volta in questo senso, e mi è già capitato di dovermi inventare storie diverse dalle sue pur di ricordarmi velocemente un kanji). Non capisco neanche la tua osservazione sulle ripetizioni. Ma… è ovvio che anche con il metodo Heisig dovrai ripetere riconoscimento e scrittura dell’ideogramma fino alla nausea! Davvero qualcuno ha provato a convincerti che Heisig=no-ripetizioni? Ma il vantaggio sta nel numero totale di ripetizioni necessarie per imparare l’ideogramma, che con Heisig si riduce drasticamente. Poi è chiaro che dipende da persona a persona, ma io ho una memoria pessima, 6 stagioni di Lost e dimentico ancora i nomi dei protagonisti, e dopo quasi trent’anni di scrittura alfabetica ancora confondo il 5 e la R quando scrivo (…ti rendi conto!?); ho cominciato il giapponese pensando che sarebbe stato un disastro, eppure con il metodo Heisig ho imparato velocemente ideogrammi estremamente complessi, ben più di un ridicolo “5”. Alcuni kanji, come il già citato 願, so per certo che non li avrei mai imparati neanche dopo 200 ripetizioni. Ciò nonostante mi faccio tutti i giorni le mie 100/150 ripetizioni dei kanji imparati finora, sia in lettura che in scrittura, non è pensabile applicare l’Heisig senza ripetizioni.
>Si può fare un ragionamento simile per la scrittura dei caratteri: chi impara a scrivere tramite Remembering the Hanzi di solito è più lento. Il metodo fu inventato negli anni settanta, nell’era geologica pre-smartphones. Oggigiorno ci sono, a mio avviso, strumenti più efficaci per imparare a scrivere, Skritter in primis.
Gli strumenti sono diversi, ma per fare le stesse cose. Heisig consigliava un mazzo di carte, una penna e un quaderno, oggi abbiamo tutto in versione digitale (non conosco Skritter ma sembra simile a Obenkyo, e ovviamente uso Anki). Il risultato rimane lo stesso. Abbiamo il notevole valore aggiunto delle ripetizioni che possono essere “pesate”, in modo che le carte meglio conosciute compaiano raramente, ma non è certo questa la differenza sostanziale del metodo: nulla in fondo vieterebbe di fare la stessa cosa con carte “fisiche”, organizzando in modo appropriato uno o più mazzi.
>Più parlo con ragazzi e ragazze intenzionati a imparare il cinese più mi convinco che la maggioranza di quelli che scelgono di seguire il percorso tracciato da Remembering the Hanzi siano in cerca di una scorciatoia.
Dipende da dove si vuole arrivare: se l’obiettivo è una conoscenza base del cinese o del giapponese, utile per cavarsela in molte situazioni, in vacanza, o in qualche lettura semplice, il metodo Heisig è l’equivalente di un suicidio linguistico. Molti ideogrammi utili e comuni vengono insegnati dopo la metà del corso! E prima si imparano una valanga di ideogrammi che non si useranno mai! Anche per chi punta a un livello intermedio sarebbe utile pensare di NON usare il metodo Heisig. In sostanza non è detto che sia una scorciatoia, dipende da dove vuoi arrivare. Ma se il tuo obiettivo finale è davvero ricordare tutti o quasi gli ideogrammi, allora il metodo Heisig è effettivamente una scorciatoia… per arrivare a un buon livello di conoscenza della lingua potresti metterci 10 anni senza Heisig, 8 o 9 utilizzandolo… anche solo un anno in meno, non mi sembra affatto da buttare. Soprattutto se come me si comincia tardi nello studio della lingua, con problemi arretrati sull’alfabeto italiano. :P
furio dice
Ciao Matteo,
grazie per leggere il blog e per il lungo commento. Tenterò, per quanto possibile, di risponderti punto per punto. Mi scuso in anticipo se in alcuni punti risulto un po’ “duro” però lo scopo di questi articoli è sopratutto quello di aiutare chi si avvicina al mandarino per la prima volta quindi mi sembra opportuno specificare alcuni punti : )
Il metodo Heisig è molto controverso (basta leggere le recensioni sulla pagina in inglese su Amazon.com per rendersene conto), quindi è normale che nascano discussioni di questo tipo.
Comunque vedrai che alla fine i punti di disaccordo sono meno di quelli che che pensi ; )
Furio.
Matteo: Uso Remembering the Kanji da alcuni mesi e le mie impressioni sono state opposte alle tue quasi su tutto.
Furio: Se usi Remembering the Kanji stai studiando giapponese, non cinese. Ti confronti quindi con problemi diversi (per un italiano il giapponese ha una pronuncia relativamente facile e una grammatica complicata, con il cinese il problema è l’opposto)
Il metodo Heisig fornisce i mattoni per lo studio di una lingua, nessuno è così pazzo da credere che sia uno strumento per imparare una lingua.
Credimi, tanti pensano che Heisig fornisca una scorciatoia per imparare a parlare il cinese. Demistificare questa credenza è lo scopo principale di quest’articolo
Anzi, alla fine del libro bisognerebbe avere l’umiltà di ammettere che di quella lingua non si sa ancora NULLA.
Appunto, che senso ha passare mesi – o magari anni – a memorizzare migliaia di caratteri e poi ritrovarsi ancora senza poter pronunciare una parola?
Io percepisco le lingue come uno strumento di comunicazione, non come una materia di studio tassonomico come può essere la botanica. Tra l’altro quando non vediamo i risultati (quando non facciamo cioè progressi nel leggere/parlare) tendiamo ad annoiarci ed ad abbandonare la “sfida.”
Dici che hai iniziato a studiare il giapponese pochi mesi fa. Ma le lingue asiatiche sono una maratona. Sei così sicuro di riuscire a tenere il ritmo a lungo termine anche senza vedere alcun progresso pratico (cioè nel parlare e nel leggere)?
Questo è il principio su cui ho basato la mia “sfida” al cinese di un anno fa.
Uno sforzo di umiltà faticoso (soprattutto se dopo mesi e mesi di lavoro) ma necessario. Il valore aggiunto si manifesterà soltanto nel lungo periodo (e in questo senso, è verissimo che come metodo non vada bene per imparare “velocemente”).
Questo è il motivo principale per cui ho scritto l’articolo. Però capisci che sono relativamente pochi i lettori che conoscono già il metodo. Quindi mi sono dovuto dilungare in spiegazioni : )
Ma forse Heisig pretendeva di insegnare qualcosa in più degli ideogrammi e al massimo della loro pronuncia?
No. Ma, come già detto, molti percepiscono il metodo Heisig come una scorciatoia all’apprendimento del cinese e non come un metodo strutturato per imparare “solo” a scrivere e riconoscere i 3,000 caratteri più comuni del cinese (o giapponese).
In tutte le lingue esistono vocaboli che assumono significati diversi a seconda del contesto.
Non conosco il giapponese. ma il livello di “significati diversi” che possono assumere le parole italiane non è minimamente comparabile a quello che succede nel cinese. Quindi associare un carattere a un solo significato può risultare fuorviante. Questo è il motivo per cui io (e quasi tutti i prof di cinese con cui ho parlato, il cui parere conta più del mio) sostengo che un carattere – o una parola – andrebbe sempre imparata in un contesto e non isolatamente. Ho scritto vari articoli sul tema quindi non mi dilungo ; )
Questa critica non l’ho proprio capita. Se un ideogramma lo conosci già, puoi non impararne la storia ma solo la parola chiave (che ovviamente già conosci) e le massimo 2 o 3 immagini associate, facili da ricordare perchè legate alla parola chiave. Dov’è quindi il problema?
Se usi il metodo Heisig devi conoscere le parole chiave (SCELTE DA HEISIG) per ogni ideogramma perché il metodo, quando si incontrano caratteri composti, funziona a “mattoni.”
Il problema è che c’è una miriade di caratteri che siamo in grado di ricordare semplicemente perché gli vediamo spesso. Perché dovrei pendermi il disturbo di imparare la parola chiave scelta da Heisig (che ha spesso un significato arcaico e per me inutile)?
Dieci secondi per ricordare il significato??? [..] Ovvero, 2 secondi per riconoscere l’ideogramma, 4 in tutto per capire come scriverlo.
Dieci secondi, quattro secondi… Parlo in termini generali. Capisci che si tratta di tempi soggettivi. C’è chi è più lento, chi più veloce, ma siamo sempre sull’ordine di grandezza dei secondi. Io ci metto 0,0001 secondi a ricordare il significato dei caratteri che conosco ; )
Davvero qualcuno ha provato a convincerti che Heisig=no-ripetizioni? Ma il vantaggio sta nel numero totale di ripetizioni necessarie per imparare l’ideogramma, che con Heisig si riduce drasticamente.
Che il tempo si “riduca drasticamente” non è mai stato dimostrato. Occhio, non fare l’errore di confondere “il metodo Heisig” con la mnemonica, che esisteva già ai tempi dei greci e romani (Cicerone l’utilizzava per ricordare i suoi discorsi ad esempio).
Che la mnemonica (storie, immagini, associazioni etc.) aiuti siamo d’accordo. Io adoro la mnemonica. Leggi quest’articolo ad esempio.
Però mi sembra inutile associare una storia o un’immagine alle centinaia (o migliaia) di caratteri che riesco a ricordarmi spontaneamente. La mnemonica andrebbe utilizzata solo come risorsa estrema. Inoltre contesto lo studio sistematico di caratteri INUTILI per un principiante a cui il metodo Heisig ti sottopone perché non ti aiuta a parlare il cinese sul breve e medio termine (e mi sembra che qui siamo d’accordo).
Ma stiamo un po’ uscendo fuori tema. Il punto dell’articolo non era quello di mettere in dubbio la mnemonica, bensì mettere in guardia gli studenti – specialmente quelli che stanno appena iniziando con il cinese – che pensano che basti mandare a memoria 3,000 caratteri per poter parlare cinesi. Sì, c’è gente che crede sia così facile. E non sono in pochi.
Dipende da dove si vuole arrivare: se l’obiettivo è una conoscenza base del cinese o del giapponese, utile per cavarsela in molte situazioni, in vacanza, o in qualche lettura semplice, il metodo Heisig è l’equivalente di un suicidio linguistico. Molti ideogrammi utili e comuni vengono insegnati dopo la metà del corso! E prima si imparano una valanga di ideogrammi che non si useranno mai!
Questo è il punto chiave del discorso. Il nostro cervello si ricorda solo quello che utilizza mentre “filtra” il resto, considerandolo come informazione inutile. Che senso ha ricordare in maniera artificiale caratteri che al momento sono inutili (e che quindi tendiamo a dimenticare)?
Non sarebbe più utile studiare quello che ci serve ora in modo da non aver bisogno di passare il tempo a ripetere caratteri inutili? Il punto è che se impari caratteri (o meglio parole) che utilizzi quotidianamente, non hai bisogno di ripeterle perché il tuo cervello le classificherà come informazione utile e se ne ricorderà spontaneamente.
I bambini imparano così. Ecco perché non conoscono vocaboli “complicati” e poco frequenti, a differenza degli studenti di latino che sono costretti a imparare termini guerrafondai e altre minchiate simili (e infatti nessuno studente di latino riesce a comunicare nella lingua che studia per cinque anni al liceo… whatever)
Di nuovo, io vedo le lingue come uno strumento di comunicazione e quindi secondo me non andrebbero studiate con metodi che ricordano lo studio della botanica, della zoologia o di qualsiasi tassonomia in generale. Poi dipende anche dai tuoi scopi. Se comunicare non t’interessa e sei solo attratto dall’aspetto tassonomico degli ideogrammi allora sì, il metodo Heisig è probabilmente la strada da seguire ; )
Per arrivare a un buon livello di conoscenza della lingua potresti metterci 10 anni senza Heisig, 8 o 9 utilizzandolo… anche solo un anno in meno, non mi sembra affatto da buttare. Soprattutto se come me si comincia tardi.
Praticamente mi stai dicendo:
1) Penso che le lingue asiatiche siano quasi impossibili quindi ci metterò dieci anno a parlarne una.
2) Meglio utilizzare Heisig così ce ne metto otto o nove (tutto da dimostrare!!!)
Il mio consiglio è invece quello di puntare sulla comunicazione piuttosto che sullo studio tassonomico dei caratteri e vedrai che in un anno potrai già sostenere conversazioni a livello decente. C’è riuscita tanta gente, perché non tu ; )
Buona fortuna con il giapponese e grazie ancora per il lungo commento!