Vivendo in Cina mi sono resa conto di come le esperienze di noi laowai (stranieri) siano in qualche modo simili tra loro o, per lo meno, abbiano molti tratti in comune. Molti di noi si trovano a vivere le stesse esperienze ed emozioni, il che ci rende un po’ tutti parte di una stessa grande famiglia, che è quella degli expats.
La prima volta che ho parlato con Martino, autore di “Laowai un pratese in Cina – Diario di un expat da Chinatown all’Estremo Oriente”, avevo letto solo poche pagine del suo libro e l’ho contattato dicendogli “a tratti mi chiedo se non l’ho scritto io”, perchè le emozioni vissute in quelle poche pagine, sono tutte vive e forti in me, nonostante il mio arrivo in Cina risalga ormai al 2013.
Ricordo ancora l’arrivo all’aeroporto di Pechino, e la sensazione di smarrimento che ho provato insieme all’incapacità di abbandonarlo ed uscire ad affrontare il mondo che c’era là fuori ma poi, come dice Martino, mettendo “un piede davanti a quell’altro”, si affronta la realtà di quello che è l’oggi e si impara, giorno dopo giorno, ad assaporare questa esperienza.
Oggi siamo andati a scovare Martino, che ci racconta com’è vivere da pratese nella Terra di Mezzo.
Ps. Clicca qui per dare un’occhiata al blog di Martino, Martino Express
Ciao Martino, quando e come sei arrivato per la prima volta in Cina?
Sono arrivato per la prima volta in Cina il 4 gennaio del 2015 ed è stato il mio primo viaggio tra l’altro fuori dall’Europa. Non avevo mai fatto un viaggio lungo nemmeno per diletto e la Cina fino a meno di due mesi prima non era nemmeno lontanamente nei miei progetti ed orizzonti.
Invece poi sono arrivato qua, all’inizio dovevano essere 9 mesi per portare a termine un lavoro iniziato da altri e invece adesso sto per festeggiare il quarto anno.
Ai tempi avevo il mio studio di architettura con altri due soci, l’ho chiuso perché gli affari nel mondo dell’architettura in Italia non andavano proprio benissimo e onestamente non ho nemmeno cercato lavoro in Italia.
Ero arrivato un po’ pieno e avevo immediatamente cercato all’estero. Avevo anche trovato in Germania e pensavo mi sarei trasferito lì a partire da dopo Natale, e poi invece la Cina ha trovato me. Il curriculum è arrivato nelle mani di questa società che cercava una persona per un ruolo di artistic supervisor in Cina per cui mi hanno reclutato seduta stante.
Ricordo ancora questo 7 di novembre quando mi sono alzato la mattina con un messaggio che mi chiedeva un colloquio su Skype e la Cina che non esisteva, e alle 5 del pomeriggio che mi hanno detto “il posto è tuo però devi partire immediatamente. Sì o no?” e io ho risposto sì.
In quali città cinesi hai vissuto?
Ho fatto una breve tappa a Pechino giusto per vidimare i documenti perché l’azienda per cui lavoro ha sede a Pechino e poi mi hanno immediatamente dirottato su Guangzhou, dove ho cominciato a lavorare in questo cantiere di un outlet a metà tra Guangzhou e Foshan e dove sono stato per 8 mesi, misurandomi per la volta con quello che vuol dire lavorare nell’edilizia in Cina.
Poi ho fatto una breve pausa a Pechino, perché quando si tratta di aspettare tra un cantiere e l’altro faccio base dove la mia società ha sede, per cui ci sono stato per 6/8 mesi e poi mi sono trasferito a Wuhan dove ho passato più di un anno, ritrasferendomi poi a Pechino immediatamente dopo.
Sono fondamentalmente tre città, anche se io a volte ne conto 4 perché la Pechino che ho conosciuto abitando a Shuangjing per 6 mesi prima dell’esperienza di Wuhan rispetto a quella che ho vissuto dopo, sono state due esperienze completamente diverse per me. Quando sono tornato a Pechino per la seconda volta è stato un partire davvero da zero.
Cosa ti ha dato l’energia per ricominciare da capo ogni volta che cambiavi città?
Onestamente non lo so. Nel senso che è un’energia che mi sono ritrovato addosso in maniera non sospetta e che ha sorpreso anche me.
Ho fatto cinque traslochi in 3 anni e mezzo, in posti anche abbastanza “estremi”. E per uno che ha vissuto da sedentario per quasi 40 anni in Italia a un certo punto il fatto di riuscire a dire “bene, tutta la mia vita sta in dieci scatoloni e spostiamoci da un’altra parte” mi ha dato un certo gusto.
Spostarmi e cominciare a viaggiare anche fuori dalla Cina è stata una cosa di cui ho scoperto di avere bisogno, per cui credo di avere preso fortunatamente il meglio da questa situazione da nomade.
Parliamo un po’ del tuo libro, cosa ti ha spinto a scriverlo?
Tutto è figlio del mio blog: ho aperto martinoexpress.it quando sono partito per la Cina al solo scopo di tenere i miei amici aggiornati rispetto a quello che facevo. Poi ho scoperto che era molto utile per me, perché essendo un vero e proprio diario mi aiutava a fissare tutta una serie di esperienze che stavo facendo in quel momento e di fermarle.
All’inizio mi sentivo sopraffatto da tutta questa novità, per cui il blog è stato utile per me e mi ha molto appassionato ed aiutato.
E poi questa mia passione si è trasmessa in qualche modo, perché la gente, anche attraverso i social, ha iniziato a seguirlo e da uno all’altro è arrivato in mano a questo editore di Firenze che mi ha proposto di farne un libro.
Una buona parte sono contenuti del blog più cose inedite che ho scritto apposta ed è stato una pietra miliare. Anche questa, così come la Cina, è un’esperienza che mi sono ritrovato a fare, non una decisione che avrei preso come iniziativa mia.
Com’è cambiata l’immagine che avevi della Cina da prima della partenza ad adesso?
Io sono di Prato, e credo di aver già detto molto. Nella mia città di origine c’è la più grande comunità cinese d’Italia e comunque l’invasione cinese a Prato e la mancanza d’integrazione ha dato a noi pratesi un’immagine non bellissima, che è stata vissuta come un conflitto.
Quando mi sono trovato a partire l’immagina della Cina che avevo allora era quella di Prato e delle strade piene di gente, sporcizia, enormi stabilimenti in disuso carichi di gente che lavorava tutto il giorno. Io immaginavo che tutta la Cina fosse quello.
Invece mi sono ritrovato a vedere che le cose innanzitutto qua cambiano in maniera estremamente veloce e radicale e vivendole più da vicino, (anche se poi in realtà vivi sempre in una bolla, specialmente non parlando cinese e a volte non sei cosciente al 100% di quello che ti accade intorno) ho cominciato a capire le ragioni di una certa cultura e ho iniziato a confrontarmi in una maniera più diretta. La percezione è cambiata proprio dall’esperienza sul campo.
Ed è cambiata molto! Da questa opinione che avevo all’inizio al fatto che adesso la sento proprio come casa mia, vuol dire che qualcosa nel frattempo è successo.
Hai inizialmente definito il rapporto con la popolazione autoctona come un’ “epidermica difficoltà”. E’ cambiata l’immagine che avevi dei cinesi da allora ad adesso?
Non parlando la lingua e scoprendo che qui i cinesi, anche i giovani, non hanno tutta questa dimestichezza con l’inglese, a volte la comunicazione base è difficile. Poi mi sono reso conto che anche culturalmente parlando è difficile, o per lo meno lo è stato per me, avere rapporti di amicizia con persone locali perché magari hanno un modo di intendere il rapporto con te diverso e più legato alla circostanza, e questo fa si che non è spesso facile entrarci in rapporto personalmente.
Questo è cambiato rispetto all’inizio? Non so quanto sia cambiato. All’inizio la mia difficoltà veniva anche dal fatto di prendere un autobus e rendermi conto che quando tu sali nessuno si sposta per farti posto, è come se tu non esistessi. Adesso su certe cose ci fai più l’abitudine, però con loro andare oltre una certa superficie è ancora molto difficile.
Ci racconti di Tony, che hai citato nel tuo libro descrivendolo come “un vero amico”?
Adesso non ci vediamo più tanto spesso, però è stata una persona con cui bene o male ho vissuto in simbiosi ed è stato il mio punto di riferimento per un anno intero.
Lui era il Project Manager del cantiere di Wuhan ed è stata credo l’unica persona cinese con cui in fondo, credo anche molto per la circostanza di per sé, mi sono trovato a condividere la mia vita oltre a un certo livello.
Lui si è proprio dimostrato capace di capire che sentimento potevo avere io rispetto a determinate cose. Se gli altri ti piazzano davanti le zampe di gallina cotte nel brodo in gelatina e ti fanno “mangia”, come se fosse la cosa più normale del mondo, Tony è uno che ha una cura nei tuoi confronti e che magari un’offerta di questo genere non te la fa perché sa che quando le hai viste una volta e le hai guardate con due occhi così, la seconda volta non te le ripiazza davanti nel piatto.
E’ uno che è veramente capace di immedesimarsi e di conoscere le persone. Il che, per l’esperienza che ho io dei cinesi, non è comune, perché li vedo molto individualisti e che pensano molto al loro pezzettino.
Avere una persona che è capace di guardarti e che si faccia 25 minuti di macchina per portarti a mangiare la pizza perché sa che tu ogni tanto ne hai bisogno, è una cosa che non mi è successa da tutti. Da lui mi sono sentito molto compreso.
In Cina ci si rende conto di aver bisogno di persone per affrontare le piccole difficoltà di tutti i giorni. Quali sono stati i tuoi punti di riferimento?
Dal punto di vista pratico sono stato molto aiutato anche dal lavoro, perché mi hanno messo a disposizione persone che mi potessero aiutare e su questo sono abbastanza privilegiato: abbiamo un organico anche in ufficio che si occupa della logistica e che mi ha dato supporto da Pechino anche quando ero a Guangzhou.
Da un punto di vista di scambio di esperienze è successo più dopo. Adesso ho un rapporto con svariati stranieri che vivono qua da molto tempo e che mi hanno insegnato molto.
All’inizio mi sono trovato in questa condizione per cui mi sono un po’ arrangiato ma forse mi ha fatto anche bene.
La necessità di avere qualcuno accanto si accompagna però anche alla consapevolezza di potercela fare da soli: qual è il tuo rapporto con la solitudine da quando vivi qui?
La solitudine era una cosa che non avevo mai cercato e non mi aveva mai attratto, ma con il tempo ho imparato a conviverci molto bene o perlomeno non ne ho più paura. Ho imparato a stare bene anche con me stesso.
La dimostrazione sta anche nei viaggi: per me era impensabile prendere l’aereo e andare da solo una settimana in Cambogia, Myanmar, Giappone o Indonesia, e invece poi è diventata un po’ la normalità. Se hai l’occasione di andare con qualcuno bene, se no si prende e si va.
La tua esperienza in Cina gravita intorno alle persone quanto al tuo lavoro. Di cosa ti occupi?
Il mio lavoro è fondamentalmente diviso in due parti: quando non ci sono cantieri io sono basato a Pechino dove faccio un lavoro di studio di architettura (progetto outlet villages, centri commerciali, tutti caratterizzati da questo stile falso storico) e quindi faccio un lavoro da architetto anche abbastanza sedentario, mentre quando i nostri clienti ci richiedono una presenza fissa, si parte spesso per un anno e si tratta di fare presenza stabile sul cantiere dove ci sei dalle 8 la mattina alle 7 la sera. E l’esperienza del cantiere in Cina è uno scenario abbastanza estremo, ma in un verso o nell’altro non ci si annoia!
Quali differenze hai riscontrato nell’ambito della tua professione tra Italia e Cina?
E’ completamente diverso. Quello che più caratterizza la mia esperienza qua è da un lato la velocità, poiché vengono prese decisioni da un giorno all’altro e nel giro di un anno cambia radicalmente uno scenario.
Ci sono città che crescono come funghi dal niente in 3 anni, ed è una velocità che in Italia è impensabile, mentre qui è tutto molto dinamico per cui il lavoro se parte, parte velocemente, e questa è una cosa che a me aiuta tantissimo perché io tendo molto ad annoiarmi.
Mentre dall’altro lato però questa velocità è spesso accompagnata da una diffusa tendenza a tirare a fare, perché a volte spinge a un livello per cui uno, spesso per esigenze, si trova a fare un copia incolla di cose già viste o fatte: manca un po’ di tempo per la ricerca.
Questo alla lunga può creare una difficoltà, ma non tornerei indietro: una volta che sei abituato a questi ritmi impari a conviverci. Forse per questa dinamica per cui vivo un po’ in una bolla, non sono consapevole di tutte le cause ed effetto a monte delle decisioni che mi riguardano, però mi sono reso conto che a volte manca un po’ la visione di prospettiva o per lo meno la mia visione è questa: cosa ne sarà di questo che stiamo costruendo qua oggi? Beh, non importa, dobbiamo produrre, dobbiamo fare, perciò facciamolo e facciamolo veloce.
Sei arrivato a Guangzhou senza conoscere una parola di cinese. Ha influito questo sulla tua esperienza in Cina?
“Xie xie, bu keqi, mei wenti, bu zhidao, *#$!&*”. Ma sì, per forza ha influito. E’ l’unica cosa per cui un po’ mi pento e dico magari a Wuhan quando avevo più tempo avrei potuto approfittarne per studiare un po’ meglio la lingua.
Però vedendo l’esperienza delle persone intorno a me quando hai un lavoro a tempo pieno non lo fai. Le persone che sanno il cinese ci sono venute che magari hanno fatto un anno di studio e la loro vita è partita poi qua, però avendo il supporto della lingua già da prima.
Leggendo il libro percepisco un rapporto conflittuale con la Cina, ma dici anche che “l’essere cosciente di stare nel posto dove vuoi essere, dove devi essere e dove è giusto che tu sia (…) ha sempre fatto per me tutta la differenza del mondo”. Perché questo posto è proprio la Cina?
Questo per me è stato un mantra che mi sono io per primo ripetuto tanto nei momenti di difficoltà o nei momenti in cui mi dicevo “ma cosa sto facendo qua?”
Però in qualche modo sono sempre stato cosciente del fatto che il processo che mi ha portato adesso a Pechino, e perciò anche tutte le esperienze precedenti (Guangzhou, Wuhan, eccetera) sono sempre state un pezzetto di risposta a quella che era la mia esigenza in quel momento di esplorare cose nuove.
La Cina è un pianeta a parte da questo punto di vista, non tanto per la differenza o la distanza geografica dall’Europa, perché ci sono posti più distanti dall’Italia o dalla nostra cultura che però sono più simili, più assimilabili, più decifrabili.
Qui hanno social diversi, dinamiche diverse su tutto, c’è veramente una distanza enorme. Credo che questo abbia in qualche modo amplificato la rottura con il mio prima, tutto quello che era stata la mia vita in precedenza. Per me il fatto di stare facendo un’esperienza così totalizzante è stato quello che mi ha convinto che anche nei momenti di maggior difficoltà, era assolutamente la cosa per me: non ho mai avuto un ripensamento.
Io adesso quando parlo di casa mia parlo di Pechino, quando dico “torno a casa” vuol dire che torno a Pechino dopo le vacanze. Questo è per me un bel cambiamento.
Se ti chiedo dove ti vedi tra dieci anni, sarai ancora in Cina?
Tra dieci anni non credo che sarò in Cina a meno di plateali colpi di scena. Il fatto di vivere all’estero in me ha come innescato un cambiamento a livello personale in termini di scoperta del mondo, scoperta di cose nuove. Sarebbe probabilmente avvenuto anche se avessi vissuto in altri posti, ma essendo la Cina molto estrema da questo punto di vista enfatizza un po’ tutto.
Questo processo di uscita dalla comfort zone qua in Cina è stato enorme e improvviso e adesso c’è tanto mondo ancora da vedere e tante esperienze ancora da fare per cui onestamente tra dieci anni non mi vedo in Cina, però non mi chiedere dove perché non ne ho idea, tutto il mondo può essere!
E poi non ho esigenza di partire domani, perché finalmente Pechino è una dimensione dove si può avere una vita completa, è una dimensione che mi piace molto.
Come possiamo continuare a seguire le tue avventure?
Il blog che citavo prima da cui tutto è poi partito in questo momento l’ho messo un pò in sospeso concentrandomi più sull’esperienza dal vivo che sulla scrittura, ma magari poi comincerò a riprenderlo in mano. Al momento lo uso soltanto per registrare le esperienze di viaggio che faccio e che continuo a condividere.
Per il resto, e la cosa è abbastanza paradossale tenendo conto che qua in Cina sono bloccati tutti dalla Great Wall, grazie alle vpn faccio abbastanza utilizzo dei social: su Twitter e soprattutto su Instagram che uso tantissimo e su cui sono ovunque, ancora “martinoexpress”, mi piace condividere sul momento le cose che mi succedono.
Credo che condividere con gli altri sia anche un buon modo per tenersi al passo con la propria esperienza ed essere coscienti di tutte le cose che si fanno, perché qua ti rendi conto che un anno contiene tantissime cose e il tempo scorre in maniera completamente diversa. Condividere mi aiuta a registrare tutti i momenti significativi che ancora ci sono.
Grazie Martino per questa bella intervista, aspettiamo presto aggiornamenti sulle tue prossime avventure!
Photo Credits: Photos by Martino Express