La comunità cinese in Italia – Approfondimento del TG2 – Canale Youtube di Associna
Qual è la tipologia di cinese propenso a emigrare in Italia?
Cinesi in Italia. Oramai sono diventati tantissimi, soprattutto nelle grandi città quali Milano e Roma.
In queste città esistono quartieri esclusivamente abitati da persone di origine cinese, pieni di attività commerciali, residenze, ristoranti, eccetera.
Emblematici sono i casi di via Paolo Sarpi a Milano oppure i dintorni di Piazza Vittorio a Roma, nei quali è possibile osservare una moltitudine di persone cinesi lavorare, camminare freneticamente, consegnare pacchi talvolta enormi in sella alle loro biciclette o su carrelli più o meno di fortuna.
Parlando un po’ di numeri, secondo dati ISTAT al 31 dicembre 2010 i cinesi residenti in Italia erano 209.934, pari allo 0,34% della popolazione italiana. Ovviamente non sono conteggiati i cinesi che si trovano in Italia illegalmente.
Il 90% di queste persone proviene dalla provincia dello Zhejiang, una regione a sud di Shanghai, e specialmente dalla città di Wenzhou e zone limitrofe.
A cosa è dovuto questo fenomeno? Perché così tante persone provenienti da un paese così lontano si trovano, tutte insieme, a migliaia di chilometri di distanza?
Per capirlo bisogna innanzitutto fare un po’ ordine tra le informazioni che abbiamo:
Dobbiamo considerare la situazione politica e sociale cinese alla fine degli anni ’80 e gli anni ’90, quando la maggior parte della popolazione cinese presente attualmente in Italia è emigrata dalla città di Wenzhou e dalle zone limitrofe.
Grazie a queste informazioni possiamo tracciare una sorta di profilo del cinese emigrato in Italia.
Negli anni ’70 e ’80 la Cina è ancora lontana dall’essere quella potenza economica in grado di rivaleggiare con il potere degli Stati Uniti che è oggi; ai tempi la maggior parte della popolazione viveva ancora in condizione precarie dal punto di vista economico e sociale.
Famiglie con due o tre bambini facevano fatica a sbarcare il lunario.
Spesso solamente il padre di famiglia lavorava e la madre rimaneva a casa ad accudire i figli. Le abitazioni non avevano acqua corrente, elettricità oppure gas per cucinare e bisognava arrangiarsi andando a prendere l’acqua in pozzi usati dalla comunità o usando carbone e altri tipi di combustibile per poter cucinare.
La sera i bambini si radunavo nei cortili per guardare le stelle oppure per raccontarsi storie e barzellette, data l’assenza di televisori.
Era un paese estremamente arretrato.
Nelle città più arretrate, come lo era Wenzhou, gli scenari erano peggiori. Se pensiamo che anche ai giorni nostri Wenzhou è considerata una città di terza fascia, possiamo bene immaginare il divario che vi era nei confronti di città quali Pechino e Shanghai.
In questi casi, c’è sempre qualcuno che ha un desiderio di riscatto maggiore dei propri parenti o dei propri concittadini. E questo qualcuno è quello che decide di emigrare all’estero, con la speranza di dare un futuro migliore alla propria famiglia e ai propri cari. Se ci pensiamo bene molte ondate migratorie sono dovute a condizioni economiche precarie nel paese di origine.
E’ un caso molto simile al flusso migratorio italiano verso il continente americano all’inizio del Ventesimo secolo.
Siccome tra i valori culturali e sociali cinesi vi è un forte senso di comunità, una predisposizione quasi naturale ad aiutare persone dello stesso paese o della stessa città, è probabile che si vada alla ricerca di conoscenti e/o parenti già emigrati all’estero che possano fornire aiuto con l’emigrazione.
La scelta in questo caso ricadde sull’Italia, paese in cui erano già presenti cinesi a causa di flussi migratori nei primi anni del 1900 e durante gli anni ’50.
In Italia, per uno straniero che possedeva una bottega, un laboratorio o un ristorante, vi era un sistema per cui era possibile richiedere l’arrivo dalla Cina di un operaio specializzato da inserire nel proprio organico. In questo modo era possibile chiamare legalmente un parente o un amico cinese per andare a lavorare in Italia.
Con questo sistema era possibile realizzare il desiderio di emigrare nel giovane ragazzo cinese ansioso di rivalsa economica e sociale.
Molti di questi ragazzi risultavano già sposati o con figli al momento dell’emigrazione. Ma non era la famiglia intera ad emigrare, la norma voleva che fosse il capofamiglia a farlo.
Dopo un periodo di lavoro in Italia, vi era la possibilità di avviare le procedure per il ricongiungimento familiare e a quel punto il resto della famiglia poteva raggiungere il parente in Italia, a volte emigrando tutti assieme e a volte emigrando uno a uno. Tra l’emigrazione del capofamiglia e il completo ricongiungimento familiare potevano passare anche molti anni.
Questi sistemi erano adottati anche in altri paesi europei. Per esempio ad oggi abbiamo una forte comunità cinese in Francia, segno che non solamente l’Italia è stata meta di emigrazioni da parte di persone cinesi.
In Cina, le persone dello Zhejiang, e specialmente quelle provenienti da Wenzhou, sono viste come persone molto intraprendenti, dedite al commercio e agli affari. Non c’è da stupirsi se sono loro che costituiscono il grosso dell’emigrazione cinese in Italia.
C’è da dire che gli emigrati da città ai tempi più ricche di Wenzhou, quali Shanghai e Pechino, si contano sulla dita di una mano. Probabilmente perché in tali città si respirava già un po’ la sensazione di quello che sarebbe accaduto pochi anni dopo.
Come si mantengono i cinesi in Italia
Abbiamo già detto che i cinesi che erano riusciti ad emigrare in Italia, lo dovevano soprattutto a parenti e conoscenti già presenti in loco.
Tale presenza era dovuta soprattutto ad ondate migratorie precedenti. Questo fatto aveva dato loro la possibilità di aprire ristoranti, laboratori, botteghe e di poter chiamare un parente in qualità di specialista per andare in Italia.
Per un paese come la Cina, il senso di comunità è un concetto molto importante perché fondato su basi culturali solide tramandate di millenni.
Se nella cultura e nella letteratura europea è presente la figura dell’eroe, che da solo combatte e vince le guerre, o sconfigge miriadi di nemici, nella cultura orientale questa figura non è presente.
Nella letteratura cinese non ci sono casi di figure solitarie che decidono le sorti del paese da soli; al contrario, ci sono esempi di comunità, gruppi o squadre che si muovono quasi all’unisono per portare a termine il proprio compito o la propria missione.
Un esempio è il famoso “Viaggio verso Ovest” (西游记), un popolare racconto risalente al 1600 circa nel quale i protagonisti sono quattro, e non uno solo, e si uniscono per compiere un viaggio verso l’India.
Per questo motivo la comunità cinese all’estero è una comunità molto legata e molto forte e per lo stesso motivo, in Cina, a livello sociale, il bene della comunità viene prima di quello individuale.
Lo si evince dall’organizzazione delle aziende cinesi, dal modo di trattare i dipendenti, dal modo di ragionare e di relazionarsi con le leggi e con il governo (ma queste sono altre storie).
Questo forte senso di comunità si traduce, per l’emigrato in Italia, in una fortissima rete di relazioni composta da parenti, amici, conoscenti, che permette a una persona appena giunta in una città come Milano per esempio, di aver subito possibilità di ambientarsi e di trovare subito supporto in attività quali trovare alloggio, trovare lavoro, eccetera.
All’inizio si tratta spesso di alloggi provvisori, magari in appartamenti assieme ad altri emigrati e con scarse condizioni di igiene generali. Anche se probabilmente si tratta di condizioni sicuramente migliori di quelle da cui si proviene.
Anche la questione del lavoro è simile, la maggior parte delle volte ci si ritrova a lavorare nel ristorante del parente oppure in qualche laboratorio tessile gestito da amici o conoscenti.
Questo perché il cinese emigrato in Italia negli anni ’80 probabilmente non è laureato. Sono gli anni in cui la rivoluzione culturale cinese è appena terminata, molti ragazzi di quella generazione non hanno avuto la possibilità di frequentare l’università e hanno cominciato a lavorare molto presto. Inoltre molti di questi provengono dalle campagne e quindi hanno probabilmente un livello di istruzione molto basso.
Dopo qualche anno di duro lavoro e sacrificio e dopo aver accumulato qualche risparmio, vi è la possibilità di iniziare le pratiche per il ricongiungimento familiare, in modo da dare la possibilità ad un parente cinese (di solito il coniuge o il figlio maggiore) di venire in Italia.
Dopodiché, sempre grazie al duro lavoro, ai sacrifici e al ricongiungimento di un familiare, molti cinesi in Italia decidono che è il momento di aprire una propria attività, in modo da essere più autonomi dal punto di vista economico e per accelerare anche il processo di ricongiungimento di eventuali figli o genitori rimasti in patria.
E’ a questo punto che rientra in gioco ancora una volta il forte senso di comunità. Molti italiani si chiedono spesso da dove provengono i fondi per poter aprire così tante attività commerciali e in molti presuppongono ingerenze da parte della mafia cinese o di altri tipi di attività illecite.
La verità è molto semplice. Dato il forte senso di comunità e l’ampiezza della rete di conoscenze e di amicizie che il giovane cinese emigrato in Italia avrà stretto durante il periodo di permanenza nel paese, non sarà difficile per lui ottenere tutta una serie di prestiti che gli permetteranno di aprire l’attività commerciale da lui desiderata.
Tale somma in prestito sarà restituita a tempo debito una volta che l’attività commerciale in questione sarà diventata stabile oppure se qualche altro conoscente o parente avrà bisogna di aiuto per aprire un’attività a sua volta. Il tutto è basato sulla fiducia e sul legame di amicizia dovuto al fatto di essere nella stessa situazione e al fatto di provenire tutti dallo stesso paese se non dalla stessa città o dallo stesso quartiere.
Ovviamente aprire una propria attività e mettere assieme una certa somma di denaro non è possibile solamente grazie ai prestiti degli amici, bisogna aggiungere anche una buona quantità di sacrifici personali e lavorativi.
Questi sacrifici consistono, per esempio, nel non andare in vacanza durante l’estate e nel lavorare ogni giorno della settimana per tutto l’anno, nel mangiare il minimo indispensabile senza concedersi troppi vizi, nel dormire in qualche appartamento condiviso con altri cinesi invece che affittare un appartamento da soli, nello spostarsi a piedi rinunciando a comperarsi un mezzo a motore, nel comprare indumenti a basso prezzo, e così via.
Tenendo conto che la maggior parte dei cinesi emigrati in Italia ha fatto sacrifici simili, se non peggiori, non diventa difficile credere al fatto di poter mettere da parte qualche risparmio dopo qualche anno di lavoro.
Ovviamente i cinesi non sono dei santi: non mancano infatti i casi di cinesi che riuscivano a radunare una buona somma grazie a questo sistema e che poi sparivano con tutto il denaro.
Una volta accumulata la somma necessaria ad aprire la propria attività, si presenta l’inevitabile domanda: “Apro un ristorante, un laboratorio tessile oppure un altro tipo di attività commerciale?”
La risposta a questo quesito arrivava molto spesso dalla comunità stessa. Siccome quella cinese è una comunità molto legata, le varie storie del successo imprenditoriale di alcuni dei suoi componenti venivano facilmente trasmesse ad ogni suo membro.
E così era possibile sapere che in una certa zona, un certo tipo di attività commerciale dava buoni se non ottimi risultati. Con in mano questa informazione diventava allora facile stabilire il tipo di attività da iniziare.
Durante gli ultimi due decenni ci sono stati tutta una serie di periodi in cui la maggior parte degli imprenditori cinesi apriva la stessa tipologia di attività.
C’è stato il periodo del laboratorio tessile vestiario, il periodo del laboratorio nel settore della pelletteria, il periodo dei ristoranti cinesi, il periodo dei ristoranti giapponesi (perché tanto cinesi e giapponesi non sono distinguibili, se non ai più esperti), il periodo delle calzature, il periodo dei bar, il periodo del commercio all’ingrosso.
A differenza dell’imprenditore italiano che ha molte più spese vive (quali il mutuo, le vacanze, la famiglia, l’auto, eccetera), l’immigrato cinese ha un infinitesimo di quelle spese e quindi può permettersi prezzi più concorrenziali e una maniera di gestione più spregiudicata della sua attività.
Questo, unito al fatto che nello stesso lasso di tempo, molti altri cinesi probabilmente hanno aperto o apriranno lo stesso tipo di attività commerciale, porta conseguentemente a tutta una serie di problemi.
Primo fra tutti l’inesorabile calo dei prezzi per quel determinato prodotto o servizio dovuto alla tanta concorrenza. A lungo andare questo declino porta alla chiusura di qualche attività commerciale e alla svalutazione di quel tipo di servizio o prodotto.
Bisogna anche ricordare che l’immigrato cinese proviene da una realtà diversa dal commerciante italiano, una realtà fatta da merci di qualità inferiore o da prezzi totalmente diversi da quelli del mercato locale. Questo perché negli anni ’90 la Cina era uno dei paesi in cui la produzione in serie di vari merci era uno dei traini dell’economia (e lo è ancora oggi).
Nel momento in cui, per il calo dei prezzi, diventa difficile tenere aperta la suddetta attività, il cinese chiude l’attività, si guarda in giro per cercarne un’altra più redditizia e nel giro di poco tempo ne apre un’altra. E’ per questo motivo che negli ultimi anni l’imprenditoria cinese si è mossa per compartimenti e a blocchi.
Futuro e figli: qual è la strada giusta per loro?
A lungo andare con il lavoro e con i sacrifici è possibile che il tenore di vita dei cinesi immigrati possa salire e che i figli raggiungano la famiglia arrivando anche loro in Italia oppure, nel caso di persone giovani, che decidano di avere figli in Italia.
Avere un figlio è sempre una grossa responsabilità, soprattutto quando non si vive nel proprio paese di origine. E’ sempre presente la paura che i figli non capiscano il pensiero dei genitori e che prendano strade troppo diverse dalle loro. Soprattutto considerando la cultura cinese in cui il genitore e la famiglia sono sempre una presenza importante nella vita di ciascuno. Lo si evince dal fatto che fin da piccoli, in Cina, si venga educati al rispetto delle persone anziane, al lasciargli il posto da sedere sui mezzi pubblici e sul come prendersi cura di loro.
Un’altra paura è anche quella legata alla lingua, data la complessità della lingua cinese i genitori hanno paura che il futuro figlio avrà difficoltà a comunicare con loro.
In ogni caso, dopo l’arrivo di un figlio, le strade prese dagli immigrati cinesi sono facilmente elencabili.
Siccome molti immigrati non hanno un background culturale elevato, arrivando magari dalla campagna oppure non avendo lauree o diplomi, i figli sono visti in quel caso come risorsa dal punto di vista lavorativo. Essi sono utili per dare una mano nell’attività commerciale dei genitori e per prenderne le redini una volta un’età più consapevole. In questo modo i genitori si assicurano un futuro in cui hanno i figli al proprio fianco e in cui possano essere supportati da persone fidate.
Seguendo questo tipo di strada, i figli sono molto spesso allevati nell’attività commerciale dei genitori. Tutti noi hanno probabilmente visto qualche attività commerciale cinese in cui erano presenti uno o due figli che scorazzavano all’interno dei locali.
Questi figli vengono mandati alla scuola dell’obbligo ma, non appena terminata essa, smettono di frequentare e cominciano ad aiutare i genitori nelle loro attività commerciali.
In questo modo, molti ragazzi di quattordici o quindici anni si ritrovano a lavorare per aiutare i propri genitori, mentre i propri coetanei italiani continuano gli studi.
Questo modo di fare e pensare è dovuto al fatto che molti giovani genitori cinesi sono cresciuti nella povertà e senza istruzione, con la consapevolezza che il duro lavoro fosse più importante dell’apprendimento scolastico. Molti di questi genitori cresciuti nei campi in Cina, sono stati allevati probabilmente nello stesso modo, in un paese, quello cinese, che riversava in stato di grande povertà in quegli anni.
Da questo, la loro convinzione nel fatto che il lavoro manuale e il guadagno immediato sia più importante dello studio e della tipologia del “lavoro di ufficio”.
I cinesi di seconda generazione cresciuti in questo modo hanno quindi l’occasione di imparare fin da giovani il valore del lavoro e del denaro, di avere più consapevolezza della durezza del mondo. Molti di loro, non appena raggiunta un’età attorno ai vent’anni, si sposano a loro volta e in questo modo portano avanti questa sorta di tradizione.
Questo avviene perché da una parte vi sono pressioni da parte dei genitori per sposarsi presto, dato che era un’usanza in voga ai loro tempi e in ambienti contadini, dall’altra parte questi ragazzi all’età di vent’anni hanno già raggiunto uno status oltre il cui non c’è altro. E’ differente dal ragazzo che frequenta l’università e che vuole rimandare il matrimonio perché successivamente dovrà cercare lavoro.
I figli ventenni dell’immigrato cinese lavorano già da molti anni e quindi non hanno necessità di rimandare il matrimonio perché lavorano già da molti anni.
Nonostante lavorino da anni, però non hanno la possibilità economica di vivere per conto loro e quindi, una volta sposati, si ritrovano a vivere con la propria famiglia, a casa dei propri genitori. In questo modo il nucleo familiare originale rimane unito sotto lo stesso tetto. L’altra prerogativa dello sposarsi presto è quella di avere figli presto, in modo da soddisfare il desiderio dei propri genitori di diventare nonni.
Diventare nonni è una cosa molto importante in Cina, paese in cui la famiglia e l’essere anziano sono tematiche fondamentali. In questo modo i cinesi, una volta diventati nonni, potranno vantarsi con i parenti rimasti in Cina; in un certo è una sorta di dichiarazione del proprio successo.
Essere riusciti a guadagnare bene in Italia (anche grazie al cambio favorevole della valuta), aver avuto addirittura dei nipoti in poco tempo è davvero un ottimo motivo di vanto con i parenti in patria.
Prima dell’avvento di internet, delle mail e di Whatsapp, una moltitudine di immigrati cinesi mandavano lettere pieni di foto dei propri nipoti a parenti o amici rimasti in Cina.
Vi è però un altro modo per crescere i figli in Italia ed è un modo poco adottato in quanto le condizioni di base sono poco presenti nei cinesi immigrati in Italia.
Nel caso vi sia un immigrato cinese laureato che abbia deciso di andare in Italia alla ricerca di fortuna, è probabile che il percorso lavorativo sia lo stesso del cinese proveniente dalla campagna, dato che ai tempi non vi era la totale possibilità di autenticare la propria laurea in Italia per questioni burocratiche, ma vi la una probabilità che l’eventuale figlio sia incanalato verso gli studi piuttosto che al lavoro fin da piccoli.
Questo comporta però maggiori sacrifici da parte dei genitori, in quanto viene a mancare l’aiuto dato dai figli.
Il genitore, che probabilmente ha avuto a sua volta genitori che hanno avuto la possibilità di studiare, farà in modo che il figlio dedichi il suo tempo agli studi e probabilmente farà in modo che egli abbia la possibilità di frequentare l’università in Italia. In modo da poter aver migliori possibilità lavorative ed economiche in futuro, sia per sé stesso, che per il genitore immigrato.
Nella mente del genitore, il fatto che il figlio abbia possibilità che lui non ha avuto è un modo per avere un’occasione di migliorare le condizioni di base della famiglia. In questo modo egli spera che di generazione in generazione, vi sia un miglioramento graduale delle condizioni di base, in modo che i futuri nipoti e pronipoti abbiano la possibilità di crescere in un ambiente familiare più confortevole, anche e soprattutto dal punto di vista economico.
Tutto questo si traduce in sacrifici maggiori da parte del genitore per fare in modo che i figli non debbano lavorare per aiutarli nel loro lavoro. Anche questo modo di vedere le cose è riconducibile all’importanza della famiglia nella cultura cinese e alla consapevolezza che i sacrifici portano di sicuro a cose migliori.
E’ possibile, per un immigrato, ritornare in Cina?
Dopo tanti anni passati in Italia, sorge però un dubbio, ritornare in Cina o no?
Per gli immigrati di prima generazione la risposta è semplice e chiara: sì. Bisogna ritornare per forza in Cina. Molti cinesi, quando pensano che stia per arrivare la loro ora, decidono di ritornare in patria.
In cinese vi è un detto, “叶落归根”, traducibile con “La foglia che cade ritorna alle radici”, che significa che nell’età della vecchiaia si debba ritornare alla propria casa.
I cinesi sanno di voler tornare in patria per trascorrere la loro vecchiaia in un ambiente che conoscono bene e in cui sono cresciuti.
Vi sono però alcuni problemi di fondo che potrebbero rendere difficile la scelta.
Nel caso i figli siano nati e cresciuti in Italia ci sarà sicuramente la volontà di non abbandonare i propri figli che sicuramente avranno una propria vita in Italia. Questo è un caso che si potrebbe verificare qualora il figlio abbia frequentato scuole italiane e abbia amici o addirittura moglie o marito italiani. Sono situazioni in cui i figli sono ben integrati nella società italiana.
In questo caso è probabile che il genitori rinunci a tornare in Cina per poter stare affianco ai propri figli. Soprattutto qualora in patria non vi siano rimasti parenti o amici, cosa che potrebbe verificarsi, superata una certa età.
E’ probabile che a questo punto facciano richiesta della cittadinanza italiana e che rinuncino a quella originaria (i cinesi non possono avere due cittadinanze).
L’altro caso è quello in cui i figli non siano cresciuti in Italia ma in Cina e che quindi abbiano più affinità con il mondo cinese, caso in cui i figli non abbiano imparato perfettamente la lingua italiana e che non si sentano oppure non vogliano integrarsi nella società italiana.
Gli immigrati di questo tipo possono ripartire per la Cina in qualsiasi momento, portando con sé i propri figli e i risparmi accumulati in Italia e con la speranza di aprire una propria attività nel proprio paese. Paese la cui economia è migliorata moltissimo mentre loro si trovavano all’estero e che ora offre molte più possibilità rispetto a quando sono dovuti emigrare.
Per finire, alcune curiosità
Dopo questa spiegazione, è possibile sfatare la leggenda metropolitana più famosa riguardante i cinesi: “Ma i cinesi non muoiono mai? Non si vedono mai funerali cinesi o lapidi nei cimiteri.”
La realtà è molto semplice: in Italia ci sono solamente circa 200.000 cinesi e sono sparsi in tutto il territorio nazionale.
La loro età media è abbastanza bassa perché il flusso migratorio dei cinesi di prima generazione è avvenuto tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, periodo in cui i suddetti cinesi avevano massimo trent’anni in quanto sono i giovani quelli ansiosi di riscatto sociale ed economico.
Questo significa che attualmente, questi cinesi avranno massimo sessant’anni, età in cui è difficile morire di morte naturale.
Escludendo tutte quelle persone anziane che per un motivo o per l’altro ritornano in Cina e considerando l’età media non elevata dei cinesi residenti, si capisce il motivo per cui non è staticamente probabile assistere a un funerale cinese in Italia.
Monte Kantorovich dice
Bellissimo articolo!
Furio dice
: )
paula dice
Bellisima ricerca, un lavoro preciso ma umano. Complimenti.
Furio dice
: )