Una linea di produzione della Comochi.
Qualche settimana fa ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Pinuccio Melis, che iniziò ad acquistare merci in Cina nel 1982.
Pinuccio è il fondatore della Comochi, un’industria chimica con sede a Sanluri, in Sardegna.
Ci racconterà del perché ha iniziato a fare affari con la Cina e ci svelerà i meccanismi dell’import/export, alcuni retroscena della Fiera di Canton e le “lotte” tra gli importatori italiani per accaparrarsi in esclusiva i prodotti chiave del mercato.
Importare dalla Cina negli anni 80
Pinuccio, innanzitutto grazie per avere accettato quest’intervista. Tu sei stato uno dei primi italiani a importare dalla Cina. Cosa ti ha spinto a fare questo passo?
I motivi erano tanti. Ma quello scatenante è stata la mia voglia di ribellarmi ai grossi importatori della penisola. Avevo capito che la differenza tra comprare da un intermediario italiano o da un produttore cinese non era del 10%, bensì del 50 o 60%.
Che difficoltà hai avuto quando hai iniziato a importare dalla Cina?
Era abbastanza facile. Pensa che io, la prima volta che mi recai alla Fiera di Canton, lo feci da solo e senza parlare una parola d’inglese. Per non parlare del cinese.
Appena arrivato trovai un interprete che aveva lavorato otto anni in Vaticano. Però non era un prete, addirittura era buddhista!
Per il resto era tutto programmato. A quei tempi gli importatori europei e americani alloggiavano tutti nei grossi hotel internazionali.
Che prodotti hai trattato la prima volta?
Materia prima. Sopratutto polietilene, il grano per le bottiglie di detersivo. Era difficile perché i cinesi non avevano gli impianti che c’erano in Europa. Con la plastica bisogna stare attenti, magari va bene per fare i secchi ma non le bottiglie.
Quindi ho lasciato perdere. A parte che ormai, visto che stanno invadendo il mercato globale con i loro prodotti, la materia prima se la tengono per loro.
Noi oggigiorno la prendiamo negli Emirati Arabi.
Chiaramente facevamo anche commercio. Un’industria sarda, a meno di non essere la Saras, non può vivere senza commercializzare perché in Sardegna ci sono solo un milione e mezzo di abitanti.
Quindi a parte i detersivi che fabbricavamo, vendevamo anche prodotti affini quali carta igienica, asciugatutto, posate, piatti e stracci per lavare il pavimento.
Pinuccio con il famoso straccio Purex.
L’epopea degli stracci
Quali erano i prodotti chiave nella tua industria?
Siccome la Comochi produce principalmente detersivi, uno dei prodotti più importanti per noi era lo straccio per lavare il pavimento.
Gli compravamo da un produttore di Cicognara, in provincia di Mantova. Si chiamava Romano Siletti. Era un mio coetaneo, anche lui del ’38. Era l’unico che riusciva a importare gli stracci di cotone cinese, tuttora i più consumati in Italia. Mi dissi:
“Pinuccio, devi trovare quello straccio!”
Ci provai per cinque o sei anni ma non riuscì mai a trovarlo.
Di fronte alla Fiera di Canton c’era un bellissimo albergo, il China Hotel. L’ultimo piano ospitava un ristorante francese dove qualche volta andavamo a mangiare.
Una sera, mentre mi stavo sedendo, toccai con il gomito un signore che si stava accomodando nel tavolo di fianco al nostro.
Mi giro e… Siletti!
“E cosa ci fa lei qui?” mi disse.
“Guardi, la stessa cosa che ci fa lei,” gli risposi con un sorriso.
“Ma gli stracci non li trova,” continuò lui indicandomi con l’indice, quasi a enfatizzare le sue parole.
“Eh, li troverò!”
Era la classica guerra per bypassare l’intermediario.
Lui si vantava di avere l’esclusiva ma i cinesi l’esclusiva non la concedono a nessuno. Chiamali fessi!
Il problema era che lo straccio non si trovava nel reparto casalinghi.
E la Fiera di Canton è enorme. Correvo, per me erano due settimane di fuoco!
Quell’anno però fui fortunato. Mi recai come sempre al reparto filato per comprare un taglio di seta alle mogli dei miei dipendenti. Una vecchia tradizione della Comochi.
Fu così che, mentre curiosavo tra gli scaffali di uno stand che commerciava seta, vidi il lembo di un tessuto che conoscevo bene. Lo afferrai tra le mani.
“Questo è il Purex!” esclamai quasi gridando.
“Purex” era il nome che gli italiani avevano dato allo straccio di cotone cinese.
Purtroppo non riuscì ad acquistarlo, loro vendevano solo la seta. Chissà come c’era finito, il Purex, in mezzo alla seta.
Ma mi stavo già abituando a visitare le fabbriche. In fiera di solito trovi un intermediario. Se visiti i produttori puoi spuntare un prezzo migliore.
Non era sempre facile, l’ambiente di lavoro era tremendo, faceva quasi paura.
Comunque il mercante di seta di disse dov’era l’azienda: a Ningbo, una cittadina portuale vicino ad Hangzhou, la capitale della seta.
Per arrivarci dovetti sobbarcarmi otto ore di taxi in una strada sterrata. Ma ne valeva la pena.
Era lì che si trovava l’azienda che produceva lo straccio di cotone per il mercato mondiale.
Pinuccio Melis.
Qual’era la differenza di prezzo tra quello dell’intermediario italiano e quello del produttore cinese?
I cinesi mi fecero pagare la metà.
Suppongo ne ordinasti un bel po’ di esemplari…
Dodici container.
Ma da quaranta piedi, mica da venti!
Giusto per non perdere la faccia. Che importatore sei compri solo un container?
E poi sapevo come smerciarlo tra gli importatori del nord Italia. Milano. Genova. Bologna.
La verità era che Siletti era diventato un po’ prepotente. E poi gli altri commercianti volevano spezzare il monopolio. Quindi riuscì a vendere gli stracci allo stesso prezzo con cui li vendeva lui.
Trattare con i cinesi
Come si conclude un affare alla fiera di Canton?
Noi siamo abituati ad andare veloci, vogliamo concludere subito. I cinesi mi guardavano e ridevano. Un giorno uno mi disse:
“Pinuccio, stai calmo. Vuoi acquistare ad un prezzo migliore? Devi stare calmo. Più calmo di un cinese. Altrimenti vinciamo noi.”
Così imparai a passare i primi giorni della fiera ad indagare su quello che potevo acquistare. Mi segnavo le coordinate degli stand. Poi tornavo per imbastire l’ordine. Ma i contratti gli firmavo solo l’ultimo giorno. Al massimo il penultimo.
In questo modo riuscivo a farmi un’idea chiara su ciascun tipo di prodotto. Riuscivo a capire quali erano le differenze di qualità e di prezzo prima di concludere l’affare.
Ci sono mai stati dei momenti imbarazzanti durante le trattative?
Un giorno mi recai allo stand delle bistecchiere di ghisa per firmare il contratto per un container da venti piedi. Ci trovai un importatore toscano. Lui era ben più “grosso” di me, gestiva il mercato di tutta la penisola.
Tra l’altro eravamo amici.
Il cinese allo stand però non voleva darmi il contratto.
“Torna dopo, il tuo contratto non è pronto,” mi disse.
“Ma sto andando via, non posso tornare dopo!”
Non avevo capito che non poteva darmi il contratto perché il toscano avrebbe visto i prezzi. Non so perché, ma mentre a lui aveva venduto a 12 al pezzo, a me aveva venduto a 10.
Il toscano capisce tutto e s’incazza come una belva, con grande imbarazzo sia mio che dell’intermediario cinese.
Fu colpa mia.
Uno dei prodotti della Comochi.
Consigli pratici per aspiranti imprenditori
Puoi descriverci l’iter delle merci dalla Cina all’Italia?
Per prima cosa devi firmare il contratto.
Poi devi fare il bonifico con lettera di credito. La banca garantisce per te ma i cinesi possono incassare solo dopo che il prodotto è stato sdoganato in Italia.
A questo punto i cinesi iniziano a produrre. Dei dettagli burocratici al momento della spedizione se ne occupano loro.
Una volta che i container arrivano in Italia, generalmente a Genova o Livorno, si passa dalla dogana. A volte si paga un dazio, mentre per altre merci, come la porcellana, serve un permesso speciale.
Hai mai avuto problemi?
Una volta ordinai due container di pinze in legno che non arrivarono mai. Erano finiti a Marsiglia. Non so adesso, ma a quei tempi il porto francese era pericoloso. Sparivano i container.
Dopo due o tre mesi mi arrivò l’assegno cinese, grande come una pagina di giornale. Era il rimborso. Quella volta pagò l’assicurazione.
Un’altra volta mi arrivò un container di merce inservibile. Siccome me ne accorsi solo quando la merce era già in Italia, ci persi i soldi.
Cosa si può fare per evitare casi del genere?
Dopo quella volta imparai a servirmi di un responsabile cinese che al momento di caricare i container controlla la qualità della merce.
Nel caso si accorga che la merce non è idonea ha il potere di bloccare il container, che senza la firma del controllore non può partire.
Infatti se mandano il container senza firma la banca non paga.
Prendiamo il caso di un imprenditore appena agli inizi. E’ possibile importare piccole quantità di merci, diciamo meno di un container?
Sì, ma è più difficile. Dividere un container con altri fornitori significa mettere d’accordo diversi responsabili del controllo qualità e questo può essere un problema.
A volte anche un container può non bastare.
Ricordo che con il ferrosmalto mi snobbarono. Ne ordinai due container ma volevano aumentare il prezzo. Io mi opposi, facondo notare al proprietario di essere un cliente storico. Lui mi soppesò con lo sguardo, poi mi disse:
“Cosa vuoi tu con due container? La signora che è uscita prima di te ne ha ordinato cento. Forse a te neanche te li mandiamo, i container!”
Si trattava di una signora africana. Loro fanno così, firmano contratti di ferro. L’europeo è un po’ diverso come cliente, si sposta per una lira in meno.
Fu allora che capì che il mercato sardo non bastava per far fronte alle loro esigenze. I cinesi avevano deciso di invadere il mondo.
Sento spesso dire che, a causa dell’aumento dei salari e dell’inflazione, l’export cinese sarà soppiantato da quello di paesi più poveri quali Vietnam o Thailandia. Tu cosa ne pensi?
Non sono d’accordo. A parte la manodopera, i cinesi hanno ben altri vantaggi. Una tradizione commerciale lunga millenni, infrastrutture che ti permettono di produrre e trasportare la merce in maniera più veloce e un assortimento di prodotti che nessun altro ti può offrire.
Ad esempio, sei in India fanno cinquanta tipi di tappeti, in Cina ne fanno mille.
E poi, alla fine dei conti, sono ancora i più economici.
La situazione in Sardegna
Quando e perché la Comochi ha smesso d’importare dalla Cina?
Abbiamo smesso d’importare dalla Cina circa dieci anni fa.
In Sardegna, più che da altre parti, ci ha fregato la grossa distribuzione. Hanno distrutto il mercato al dettaglio, quello per cui era nata la Comochi.
Io ho iniziato nel ’58 vendendo alimentari ai negozi. A quei tempi nella sola Sanluri ce n’erano una cinquantita, tutti a gestione familiare.
Mentre collocare i prodotti in questo tipo di negozi era relativamente agevole, la grossa distribuzione non te li compra. Prima di tutto pretende che tu paghi l’affitto per i loro scaffali, e poi preferiscono comprare dai leader del settore, ad esempio Palmolive.
Oggi giorno vendiamo il 90% della nostra produzione industriale alle scuole, le carceri, gli ospedali, gli alberghi, i ristoranti e le aziende agroalimentari, come i caseifici i o gli oleifici.
Quando ho fondato la mia industria speravo che la Sardegna arrivasse a tre milioni di abitanti. Invece si è fermata alla metà, come trent’anni fa. Invece il resto d’Italia è passato da trenta a sessanta milioni di abitanti.
Come mai?
Vuol dire che abbiamo mandato via i giovani.
Comunque in Cina ho deciso di tornarci!
Pinuccio, grazie per la bellissima intervista e buona fortuna con il tuo prossimo viaggio in Cina!
Photo Credits: Photos by Pinuccio Melis
stefano dice
sono stato la prima volta alla fiera di canton nell aprile 1979 con mio padre..e una fiera molto vecchia e nominata anche da matteo ricci nel 1600, a quel tempo durava 1 mese e unica fiera al mondo chiudeva per pranzo ed era chiusa la domenica, nel 1979 cera solo il dong fang hotel il china hotel e stato costruito dopo e forse ora sembra incredibile ma non cerano praticamente negozi ne ristoranti non era possibile comprare a canton nemmeno una mela, la metropolitana e stata fatta negli anni ’90 e nei ristoranti e negli alberghi cera un supplemento del 5% per costruirla, capitava di aspettare anche 2 ore prima di essere serviti al ristorante dell albergo e tante tante volte arrivavano cose diverse da quelle ordinate, pero ogni tanto veniva servito dell ottimo caviale a prezzi bassissimi..molto interessante la tua intervista e interessante quello che dice il sig. pinuccio..un vero pioniere, hasta la vista s
Furio dice
Ciao Stefano,
grazie per la testimonianza. Non era possibile comprare neanche una mela? Certo che i tempi sono cambiati eh?
Le cose diverse da quelle ordinate se non stai attento arrivano anche oggi : P
Tuo padre che tipi di prodotti importava?
September Moon dice
un pioniere sardo! Io mi resi conto di quanto pesasse il ricarico dei grossisti italiani (che sinceramente sospettavo andasse anche oltre il 50-60%) quando avevo il negozio di complementi d’arredo…. oltre ai prodotti dell’artigianato italiano, avevo anche molti oggetti made in cina, per dare una maggiore scelta ai clienti, almeno dal punto di vista della fascia di prezzo, e tante volte per principio non ho acquistato perchè pensavo che costasse troppo in rapporto alla qualità del prodotto, in più facevo il conto di dover aggiungere il mio guadagno… che prezzo finale avrei dato al mio cliente? da pazzi! infatti poi ho chiuso! ahahahah. Ha fatto bene Sig. Pinuccio andando direttamente alla fonte! In ogni caso oggi, come giustamente dice, i piccoli imprenditori se la devono vedere anche con la grande distribuzione…non c’è storia…. devi avere le spalle larghe, e ben coperte, per andare avanti…
furio dice
Ciao September Moon,
grazie per la tua testimonianza : )