Paris mon amour!
Come ho “conquistato” le lingue straniere
Nel mio ultimo post (“Come (non) imparare il francese”) ho raccontato di come sono riuscito nell’impresa d’iniziare l’università senza sapere una parola d’inglese. Ho anche detto di come i miei insegnanti di francese mi avessero traumatizzato, facendomi arrivare a credere di essere negato per le lingue straniere.
Durante i miei cinque anni d’università le cose non sono andate molto meglio. Il mio corso di laurea non prevedeva lezioni d’inglese e, per laurearsi, era sufficiente passare un test a crocette composto da domande di questo calibro:
Completare la frase seguente:
“I want … on the street.”
a) to pee b) was peeing c) pees
Scegliere la risposta corretta.
Nonostante la sua semplicità, il test ho dovuto copiarlo. Ancora me ne vergogno, ma ero proprio ridotto alla disperazione…
In ogni caso ero deciso a lasciare l’Italia per un po’, scoprire il mondo etcetera etcetera. Non essendo troppo coraggioso, ho scelto la Francia: mi dissi che era l’unico paese nel quale avrei potuto capire la lingua. O almeno me lo auguravo.
Il primo giorno a Parigi fu un disastro: rimasi bloccato all’aeroporto Charles de Gaulle perché non avevo idea di come utilizzare la metro (la mythique RER) e, quando finalmente capì come leggere il tabellone, mi persi. Non solo non ero in grado di comunicare in francese, ma non sapevo neanche viaggiare. Un po’ Pozzetto in Ragazzo di campagna e un po’ Fievel sbarca in America. Alla fine riuscì ad arrivare in dormitorio e…
…in meno di due mesi ero in grado di parlare, capire un film o leggere un libro. E tutto questo in francese! Adolfa, la mia vecchia insegnante, sarebbe stata fiera di me (vedi “Come (non) imparare il francese” per conoscere i dettagli della mia guerra psicologica con Adolfa).
E’ chiaro che avendo studiato questa fantastica lingua (da leggere con tono ironico) per otto anni, qualcosa avevo imparato. Il problema era che non avevo mai provato a PARLARLO, il francese. A scuola non era richiesto, l’unica cosa cui Adolfa era interessata era lo spelling.
Ma se non volevo morire di fame o, peggio, di solitudine, in Francia l’uso della parola era necessario.
Nei due anni seguenti ho imparato anche l’inglese e lo spagnolo e adesso posso dire di cavarmela abbastanza bene con entrambe le lingue. Lo so, lo so, il mio accento in inglese conserva un che di Mario Bros ma si sa, a noi italiani l’inglese piace così.
Il fatto divertente è che il tempo totale che ho investito nello studio “tradizionale” dell’inglese ammonta a tre mese, quando sono andato a studiare a Londra (un mese all’anno nel 2007 al 2009, mentre nel 2008 ho passato un mese a Dublino).
Trafalgar Square, London City.
Appena arrivato a scuola, un appartamento di tre piani in Baker Street, fui sottoposto a un test d’ingresso. Visto il mio livello pietoso, mi piazzarono con i beginners, i principianti. Il primo giorno di lezione, appena entrato in classe la cosa che m’impressionò di più fu il cartello enorme appeso al muro:
“Electronic dictionary are not allowed in this classroom.”
I dizionari elettronici non sono ammessi in classe. Pensai:
“Ma chi c*zzo è che possiede un electronic dictionary?” (Eravamo ancora nell’era geologica pre-smartphones).
Ma poi arrivarono cinque ragazze giapponesi, tutte equipaggiate di e-dictionary… il bisnonno dell’iPad!
Fu un’esperienza divertente, soprattutto perché ogni volta che l’insegnante illustrava la differenza tra “bigger” e “biggest” o un altro aspetto della grammatica inglese, le ragazze si esibivano in un suono (o forse sarebbe più esatto definirlo rumore) che a quei tempi mi era inusuale.
“Ohhhhhhhhhhhhhhhh.”
Adesso so che “Ohhhhhhhhhhhhhhhh” è il modo che hanno gli asiatici per comunicare di aver capito, ma nel 2007 ero un po’ confuso, diciamo.
A parte i tre mesi con le Japs, l’inglese l’ho imparato guardando Dr. House in lingua originale, leggendo o parlando con la gente. Niente libri di grammatica…
Con lo spagnolo fu persino più facile: avevo (o dovrei dire, anche se non li vedo da tempo) vari amici hispanoparlantes.
Così mi capitava spesso di sentirli discutere in uno spagnolo fitto fitto, di solito contro il mio volere (HDP!)
Poi un giorno mi ubriacai in compagnia del mio fido compañero RM (così chiamato per le sue origini Regio Montane, in Mexico) e ho iniziato e parlare “spagnolo”. Chiaramente non stavo realmente parlando español, si trattava più di un itañol con termini francesi inframezzati. Un amico mio (rumeno, per la cronaca) diceva spesso che parlavo come il gobbo de Il nome della rosa. E aveva ragione.
Ma con il tempo ho migliorato e oggi posso andare in Spagna e affermare:
“Soy Argentino, y vos?” senza che nessuno si accorga che non nato esattamente nello stesso quartiere di Batistuta. Quanto tempo ho passato sui libri per imparare lo spagnolo? Zero, se si escludono quelli di Marquez, Borges y Allende.
Ma arriviamo al mandarino.
Come “fallire” con il cinese
Visto il mio successo con le lingue, pensavo di arrivare in Cina e imparare il mandarino allo stesso modo in cui ho imparato l’inglese o lo spagnolo: guardando film, facendo domande, andando in giro con i locali, per osmosi insomma. Mi sbagliavo.
Sarà che il cinese è troppo lontano dall’italiano, oppure perché capita spesso di ritrovarsi con decine di caratteri che si pronunciano tutti qi, ji o xi, suoni che il mio orecchio non riesce a distinguere. Ad esempio, per ricordare e imparare a distinguere zìxíngchē (自行车, bici) e chūzūchē (出租车, taxi), ci ho messo sei mesi…
Aggiungici una fonetica che non ha niente in comune con le lingue latine (se si esclude la parola mama, che si pronuncia allo stesso modo); caratteri che hanno la stessa pronuncia ma significati differenti a seconda del tono (per i profani, in italiano il tono ci da un’idea dell’emozione che proviamo – rabbia, gioia, etc, – in cinese invece il tono influenza il significato, così incontri parole come shí che significa “tempo” o “dieci” e altre come shì che significa “mercato”, “essere” e altre 10,000 cose) e una grammatica scivolosa che all’inizio sembra facile ma ogni volta che pensi di averla domata, ti sorprende con un nuovo utlizzo le particelle 了 (le) o 得 (de).
Una leggenda che gira tra i ragazzi che stanno appena iniziando con il cinese recita più o meno così:
“Il cinese è difficile da pronunciare ma non ha grammatica.”
Yaaaarp, whatever.
Se vuoi farti un’idea dell'”inesistente” grammatica cinese, controlla la definizione di “了” (le) sulla Chinese Grammar Wiki (in English).
Nel 2010 avevo persino seguito un corso di cinese di sedici settimane (no, non erano quattro mesi perché le settimane di corsi erano inframezzate tra viaggi vari). Il corso dovevo seguirlo per contratto ma devo dire che l’idea mi piaceva assai.
Mi sbagliavo di nuovo. A giudicare dai risultati, il corso è risultato più o meno inutile. Non che io sia esente da colpe: sono troppo indolente e allergico all’autorità per conformarmi al volere di un’insegnante.
A parziale scusante, chi ha organizzato il corso avrebbe potuto fare molto meglio. Uno, anziché insegnarci parole astruse e vocabolario tecnico sin dalle prime settimane (“cd-rom”, “riunione di lavoro” e m*nchiate simili), avrebbero potuto focalizzarsi sui termini di cui si ha bisogno per sopravvivere appena arrivati in Cina: ordinare un pollo o una bottiglia d’acqua, chiedere dov’è il bagno, etcetera. E’ difficile trovare la motivazione per memorizzare “disco duro” in cinese (硬盘, yìngpán, per i curiosi), sapendo che la notte prima avresti tanto voluto mangiare pesce ma sei riuscito a malapena ad ordinare un peperone ripieno di carne di maiale…
Ma c’è di peggio. Siccome mi avevano piazzato in questa classe “speciale” composta solo da europei e americani, si poteva tranquillamente andare avanti a parlare in inglese, che tanto ti capivano tutti.
Il consiglio migliore che posso dare a chi ha intenzione di studiare mandarino in una scuola cinese è quello di scegliere una classe piena di coreane, giapponesi e russe. Non solo per un fatto puramente estetico (hayyyy le coreane), ma anche perché difficilmente parlano inglese e il cinese diventa l’unica lingua in comune (se parli già coreano è un problema tuo haha).
Finito il corso, invece di continuare a studiare ho pressoché abbandonato il cinese, dicendomi che prima o poi l’avrei imparato per osmosi.
Invece è passato più di un anno e non posso dire di essere migliorato molto. Sì, ho sviluppato un po’ l’orecchio e riconosco un sacco di caratteri perché li vedo continuamente per strada. Chiaramente non ho idea di cosa significhino, la qual cosa è abbastanza paradossale: capita spesso che sia in grado di leggere intere frasi senza capire una sola parola. E poi mi sono dimenticato tutta la (poca) grammatica che avevo imparato durante il corso, i miei toni fanno pena e di sostenere un discorso in mandarino proprio non se ne parla.
Capire una giornale, una canzone o un film… lasciamo stare.
Questa situazione mi fa rabbia. Penso che vivere in Cina sia, per certi versi, una benedizione, e che se non imparo il cinese adesso che sono qua in futuro lo rimpiangerò. O forse è solo una questione di ego, Furio vs Mandarino…
In ogni caso, ho messo a punto un piano per imparare il cinese… piano che illustrerò nel prossimo post!
Photo Credits: Photos by Sapore di Cina