Recentemente è uscito un articolo sul supplemento di Repubblica Business Insider Italia che rende conto delle considerazioni che hanno fatto il direttore e il presidente di Eurasia Group, Ian Bremmer e Cliff Kupchan nel loro annuale rapporto “Top Risks” per il 2018 entrante, riportando che: “In cima alla lista c’è il rischio che una moderna e potente Cina colmi il vuoto lasciato dagli Stati Uniti come potenza leader globale.”
Il processo di modernizzazione della Cina, che secondo molti analisti è attualmente verso la metà del suo percorso, ha le sue radici nel brusco risveglio sperimentato del gigante asiatico in seguito al primo vero incontro-scontro con le potenze occidentali verso la prima metà del XIX secolo.
Nel 1839, il Regno Unito, che all’epoca era senza dubbio la potenza egemone nel mondo, ha costretto l’impero celeste ad aprire le sue frontiere scrivendo definitivamente la parola fine sull’isolamento internazionale in cui la Cina si era barricata prima e durante la dinastia Qing.
Dallo scatenarsi della cosiddetta prima guerra dell’oppio (1839-1842) in poi, si sono susseguite altre spedizioni militari (di cui la più famosa è la seconda guerra dell’oppio) che, pur essendo in un’ottica eurocentrica della storia considerate marginali (infatti non sono nei programmi di studio delle scuole in occidente), hanno segnato il destino della Cina e con essa del mondo intero.
Il fatto che una civiltà che aveva considerato se stessa come il centro del mondo (in cinese Cina si traduce Zhōngguó, 中国, letteralmente “l’impero di mezzo”) e tutti gli altri popoli come barbari e inferiori sia stata sonoramente sconfitta da una nazione molto piccola, molto lontana e con un numero infinitesimo di abitanti (rispetto ai canoni cinesi anche dell’epoca) ha costretto la Cina a ripensare il proprio modello di sviluppo e, seppure con i suoi tempi, a intraprendere l’opera di modernizzazione che è attualmente ancora in atto.
Questa opera di modernizzazione ha seguito un percorso molto lento (data la difficoltà di accettare la propria arretratezza e di dovere raggiungere altre nazioni più sviluppate) per poi subire un’impennata esponenziale negli anni dopo la morte di Mao (1976), con le riforme e l’apertura ad opera di Deng Xiaoping.
Infatti, in realtà, si può parlare di una vera e propria modernizzazione dalla Cina solo a partire dal 1978 che però, come ogni evento storico, non è nata dal nulla ma prende le mosse dagli eventi che l’hanno preceduto.
Lo spartiacque storico fra la Cina medioevale e la Cina moderna sono le cosiddette guerre dell’oppio.
In questo articolo analizzerò questi eventi storici che hanno di fatto limitato pesantemente la sovranità territoriale della Cina per più di un secolo rendendola una semi-colonia in cui, se non tutto il suo territorio, almeno le sue città principali erano sotto il diretto controllo delle potenze occidentali.
Non mi soffermerò in un dettagliato resoconto delle operazioni militari, bensì mi focalizzerò sulle ragioni e le implicazioni che ebbe il cosiddetto “secolo dell’umiliazione” (1839-1949) e sulle conseguenze a breve e medio termine che si estendono fino al giorno d’oggi.
Il percorso iniziato a quel tempo ha determinato le scelte della Cina in campo sociale ed economico contribuendo in modo determinante a modellare quella che è destinata nei prossimi anni a diventare la più grossa potenza economico-militare del pianeta.
Inquadramento storico
La prima traccia documentata dell’oppio appare in Cina in un trattato di medicina della prima metà dell’VIII secolo.
Inizialmente considerato solo come una rimedio naturale, piano piano prese ad essere usato a scopo ricreativo negli ambienti nobiliari più elevati annoverando fra i suoi consumatori alti funzionari e addirittura imperatori.
Dopo la conquista dell’India da parte del Regno Unito l’oppio di produzione cinese venne gradualmente sostituito con quello di provenienza indiana coltivato dagli inglesi che era più potente e in quantità virtualmente illimitata.
Negli anni, questo afflusso di oppio, che veniva scambiato ad un prezzo molto alto, ha provocato un grosso deficit nella bilancia commerciale della Cina rendendo la quantità di argento che usciva per pagare le importazioni (gran parte delle somme erano spese per l’oppio) di gran lunga superiore a quella che entrava grazie alle esportazioni.
Questa era una situazione nuova per la Cina che non solo aveva molto più da esportare che da importare, ma che solitamente gestiva le importazioni tramite un sistema di semi colonialismo conosciuto con il nome di “sistema tributario”, in cui i popoli asiatici assoggettati accettavano la superiorità dell’impero cinese e gli riconoscevano il diritto di reclamare ingenti tributi (molti di essi in beni di consumo) e rapporti commerciali alquanto privilegiati.
A questo si aggiunga che l’uso dell’oppio si stava espandendo a dismisura (nel solo periodo dal 1805 al 1839 è aumentato di ben 10 volte) provocando un deficit commerciale che secondo i calcoli di alcuni storici, impoverì lo stato cinese in misura del 50% solo nelle prime due decadi del XIX secolo, scatenando di conseguenza una grave crisi per la penuria di argento.
Come se non bastasse, questa crisi si aggravò ulteriormente per motivi di carattere internazionale quando dopo il 1820 la guerra di indipendenza e la conseguente guerra civile scoppiata in Messico fece diminuire di molto la produzione mondiale di oro e di argento (ricordiamo che in quegli anni il Messico era responsabile dell’80% della produzione mondiale di argento e oro), generando una carestia di questi metalli a livello globale e facendone innalzare il prezzo.
Il commercio dell’oppio che faceva uscire milioni di dollari in argento (ricordiamo che l’argento veniva usato anche per pagare l’esercito) aveva raggiunto delle dimensioni tali da minare la stabilità politica della corte Qing, soprattutto dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista dei costumi della società.
Tentativi di bandirne l’uso dell’oppio furono portati avanti nel 1716 e nel 1796 ma senza successo poiché osteggiati dalla popolazione, dai militari e da molti funzionari, e si risolsero in un nulla di fatto.
Fu solo nel 1839 che la corte Qing preoccupata delle dimensioni che aveva raggiunto il fenomeno e allarmata dai sempre più frequenti report di scontri armati con ribelli e confinanti persi disastrosamente a causa della scarsa volontà di combattere dei soldati imputata all’oppio, decise di intervenire energicamente e, questa volta, in maniera definitiva.
Il governatorato di Cantone (Guangzhou) fu affidato a un esponente della linea dura contro l’oppio di nome Lin Zexu che iniziò arresti di massa tra i fumatori, confisca di pipe e chiusura di fumerie.
Il vero punto di svolta fu, comunque, quando rivolse la sua attenzione ai mercanti inglesi bloccando i loro magazzini di distribuzione con l’esercito.
In una di queste azioni si fece consegnare una quantità di oppio del valore di 2 milioni di Dollari e la distrusse, decretando il punto di non ritorno nelle ostilità che da quel momento in poi arrivarono all’attenzione dei due sovrani, e si trasformarono in questioni di stato; situazione che fece da preludio alla guerra.
Prima guerra dell’oppio (1839 – 1842)
Alle 14:30 del 4 settembre 1839 una piccola flotta composta da 3 navi guidate da Lord Charles Elliot ha aperto il fuoco, distruggendole, su una flottiglia molto più numerosa di giunche armate cinesi che impedivano l’approvvigionamento di acqua e cibi freschi ai i britannici presenti nella penisola di Hong Kong.
È stato questo il primo atto di una vera propria guerra che si protrasse per circa 3 anni e che terminò con il primo dei cosiddetti “unequal treaties”, il trattato di Nanchino del 1842.
La notizia dello scontro impiegò circa 4 mesi a raggiungere il parlamento inglese che a sua volta si concesse altri 4 mesi per elaborare una risposta riguardo alla necessità di proseguire o meno lo scontro e in che termini.
Fu infatti solo il 9 aprile del 1940 che il ministro degli esteri, Lord Palmerston, convinse la camera dei comuni della necessità di proseguire nello scontro che fu sancita con un voto a favore della guerra, seppure con una maggioranza risicata di soli 9 voti.
Il voto favorevole risultò nell’invio di una nuova flotta che partendo dall’India raggiunse le coste cinesi in poco più di 40 giorni andandosi ad aggiungere a quella già presente comandata da Elliot.
La prima vera occupazione territoriale prese luogo ai primi di luglio 1840 quando dopo soli 9 minuti di cannoneggiamento della flotta inglese effettuati dal porto, in cui entrò senza colpo ferire, circa 3600 soldati britannici presero pieno posseso dell’isola di Zhoushan.
L’isola era strategicamente molto importante in quanto crocevia delle rotte di collegamento per le vie navali tra il sud e il nord della Cina verso Tianjin.
Inoltre, l’isola di Zhoushan rappresentava una formidabile base di partenza per minacciare la conquista del “Gran Canale”, costruito in epoca Ming, che rappresentava la principale via di trasporto di materiali e di grano tra il sud e la capitale.
Di questo episodio quello che stupisce non è la lungimiranza strategico-militare dell’esercito inglese nel scegliere i suoi obiettivi militari (capacità ampiamente dimostrata nella sua opera di colonizzazione globale dell’epoca), ma la totale inadeguatezza e la stucchevole debolezza dell’apparato militare (soprattutto navale ma anche terrestre) dell’impero cinese.
In nove minuti di cannoneggiamento i comandanti inglesi hanno realizzato che i loro timori legati al fatto che si stavano scontrando con una delle più grosse potenze imperiali ed economiche del pianeta erano infondati, e che il loro nemico non sarebbe stato all’altezza nemmeno di impensierirli in qualsivoglia scontro.
Dopo la debacle di Zhoushan gli ufficiali cinesi, terrorizzati più che dalla forza militare inglese dalla reazione del loro imperatore alla notizia della totale sconfitta, cercarono di prendere tempo.
Da un lato cercarono di imbonire Elliot con false promesse, dall’altro inviarono falsi comunicati alla corte Qing sperando in un repentino quanto improbabile rovesciamento delle sorti del conflitto.
Sull’onda delle false speranze nate dalle promesse di grosse concessioni fatte dagli ufficiali cinesi, la flotta guidata da Elliot si ritirò verso Canton, aspettando la risposta dell’imperatore alle loro richieste che, però, non arrivò mai.
Stanchi di aspettare invano, gli inglesi procedettero all’occupazione di Canton dopo aver spazzato via a furia di cannoneggiamenti tutte le difese costiere e imposero di fatto le loro richieste e le loro regole sul principale porto commerciale cinese e, conseguentemente, su tutta la provincia del Guangdong.
Una svolta nella strategia militare dell’Inghilterra avvenne quando Elliot venne rimosso dal suo incarico perché giudicato dalla madrepatria troppo incline alla diplomazia e poco alle azioni militari, tanto da non riuscire a sfruttare appieno le sue schiaccianti vittorie.
Fu così che a metà del 1841 arrivò un nuovo comandante, Lord Pottinger, che con ripetute offensive militari quasi indisturbate dal disorganizzato e male armato esercito Qing, portò a termine varie spedizioni dimostrando per l’ennesima volta la schiacciante superiorità dell’apparato militare inglese.
Di queste imprese sono da menzionare: la rioccupazione dell’isola di Zhoushan (abbandonata da Elliot per favorire una soluzione diplomatica), l’occupazione dell’area presso Tianjin (di fatto minacciando direttamente la capitale), l’occupazione di alcune prefetture del sud est e del porto di Ningbo (altra infrastruttura dall’alto valore strategico in quanto permetteva di controllare una vasta area nel sud est compresa la grande città di Nanchino) e l’occupazione del “Gran Canale”.
Il trattato di Nanchino
Nonostante la sistematica opera di falsificazione della realtà sul campo di cui fu vittima la corte Qing e l’imperatore chiuso nella sua sfarzosa residenza Pechinese (la Città Proibita), l’evidenza dei fatti non potè più essere completamente nascosta.
Soprattutto l’occupazione del “Gran Canale”, che di fatto creò una penuria di approvvigionamenti nella capitale toccando direttamente la corte, non potè più essere dissimulata o ignorata.
Fu così che sulla scia delle pesanti sconfitte subite dall’esercito cinese l’imperatore nominò un plenipotenziario facente parte del suo clan per “fare tutto ciò che la situazione richiedeva” per fermare l’avanzata dei “ribelli” stranieri.
Il pluridecorato anziano generale Yilibu non ebbe altra scelta che concludere un trattato di pace accettando le richieste inglesi.
Il 29 agosto 1842 venne così firmato il primo di una lunga serie di “trattati ineguali”, il Trattato di Nanchino, con il quale gli inglesi ottennero il pieno riconoscimento di tutte le loro richieste.
In breve il trattato conteneva le seguenti condizioni:
1. Liberalizzazione del commercio estero
Furono aperti alle navi mercantili inglesi altri cinque porti (oltre a Canton già in utilizzo prima della guerra) concedendo l’installazione di consolati con il compito di tenere i contatti con le autorità locali e con il diritto esclusivo di giudicare i cittadini britannici in caso di contenziosi giudiziari garantendo loro il diritto di extraterritorialità, tanto cara ai mercanti inglesi.
La scottante faccenda direttamente riguardante l’oppio fu regolata in in modo sottile e nonostante fu omesso un diretto riferimento all’oppio fu concesso agli inglesi di poter commerciare “qualsivoglia merce” (intendendo con questo che non si poteva applicare nessuna restrizione sulla natura dei beni importati) con chiunque, senza dover passare dalla stretta gerarchia che fino ad allora aveva regolato il mercato.
2. Risarcimenti di guerra
L’impero cinese si impegnò a risarcire le spese di guerra e delle perdite commerciali per un totale di 21 milioni di Dollari in argento. Il ritiro parziale dei vari contingenti inglesi di stanza nelle varie regioni conquistate era condizionato all’avvenuto pagamento delle varie rate concordate.
3. Cessione di Hong Kong
Fu questa una delle condizioni più rilevanti e che porta le sue dirette conseguenze fin dentro la storia dell’Asia moderna.
Il porto di Hong Kong fu ceduto al Regno Unito in perpetuo come scalo logistico delle merci provenienti dall’India verso la Cina (di cui l’oppio occupava la parte preponderante) e in pochi anni fu trasformato da un villaggio di pescatori nello scalo mercantile più trafficato dell’intera Asia.
Di nuovo, il resoconto che raggiunse l’imperatore fu a dir poco parziale e parlava degli inglesi che imploravano il grande impero celeste di permettergli di commerciare per impedire che il loro stato andasse in bancarotta e di rispettati alti funzionari cinesi che, nella loro magnanimità, avevano fatto alcune concessioni che comunque sarebbero tornate utili alla Cina stessa.
L’ignoranza in cui venne tenuto l’imperatore è esemplificata da alcuni suoi appunti scritti nel maggio 1942 (che significa dopo più di due anni e mezzo dall’inizio del conflitto e poco prima della firma del trattato) in cui si domandava stupito:
Dove si troverebbe poi questa Inghilterra?
Perchè gli Inglesi ci vendono l’oppio?
Cosa ci fanno gli indiani nel loro esercito?
Come è possibile che abbiano una regina donna e per di più di soli 22 anni? È sposata?
Elliot è veramente tornato a casa?
Furono queste incomprensioni e questa totale mancanza di consapevolezza e di conoscenza del loro nemico, condivise da tutta la corte Qing fino alle più alte sfere, che causarono la pesante debacle dell’impero di mezzo nella prima guerra dell’oppio e che portarono ad una seconda e ancora più distruttiva e umiliante confrontazione armata.
Seconda guerra dell’oppio (1856-1860)
Nel periodo seguente al Trattato di Nanchino le tensioni tra Cina e Inghilterra non cessarono, e nonostante in alcune zone la presenza mercantile inglese pose solide radici le loro aspettative di un rapido e indisturbato sviluppo commerciale nel mercato cinese furono deluse.
Mentre infatti a Shanghai fiorirono le installazioni commerciali inglesi che appena due anni dopo la fine della guerra ammontano già a 200, modellando quella zona della città che oggi viene chiamata Il Bund, e nonostante lo sviluppo di Hong Kong come grosso hub commerciale, Canton e in generale gli altri porti concessi ai mercanti inglesi resistevano a qualsiasi penetrazione rivelandosi ancora più chiusi che nel periodo anteguerra.
Inoltre la cocente sconfitta subita dall’esercito cinese sommata alle scellerate ragioni del conflitto, contribuì a generare un diffuso malcontento e a esacerbare un generale sentimento anti straniero, che era già storicamente presente, generando continui conflitti fra stranieri e cinesi.
L’instabilità politica dell’impero Qing, che si rese evidente nello svilupparsi di numerose rivolte di cui la più importante fu quella di Taiping che di fatto sottrasse al controllo imperiale una grande parte del sud est della Cina, contribuì a diminuire notevolmente la già scarsa capacità e propensione della corte a fare sì che le condizioni pattuite nel trattato (a cominciare dagli ingenti risarcimenti bellici e alla garanzia di libero mercato) fossero messe in pratica.
Non è da sottovalutare il senso di confidenza nella propria superiorità che gli inglesi acquisirono valutando gli esiti della prima confrontazione in cui in circa 3 anni di guerra persero solamente 69 soldati (di cui almeno 39 morti per malaria e tifo) e nessuna nave, contro un numero di caduti militari cinesi compreso fra i 20 e i 25 mila e centinaia di giunche distrutte, senza contare i numerosi forti ridotti in polvere dai cannoni inglesi.
Fu così che nell’ottobre del 1956 il sequestro di una nave accusata di pirateria inscritta nel registro delle pertinenze inglesi di Hong Kong da parte del governatore di Canton fornì il pretesto al governo inglese per l’inizio di una nuova guerra.
Questa volta, con l’aiuto di un contingente francese, la guerra fu portata nel cuore dell’impero e dopo l’iniziale occupazione di Canton le navi inglesi e francesi si diressero verso nord arrivando fin dentro la capitale.
Il contingente anglo-francese si spinse fino a distruggere e saccheggiare una delle residenze imperiali (il palazzo estivo), costringendo l’imperatore alla fuga oltre la grande muraglia per la prima volta nella storia cinese.
La seconda guerra dell’oppio si concluse con il trattato di Pechino siglato il 18 ottobre 1860 (a distanza di 4 anni dall’inizio delle ostilità) che in sostanza ricalcava le concessioni e le richieste del primo trattato ma, ovviamente, allargando l’influenza inglese nei luoghi dei quali aveva preso possesso come Hong Kong, Canton e Shanghai.
Conseguenze a breve e lungo termine delle guerre dell’oppio
1. La caduta della dinastia Qing
La dinastia Qing pur essendo di origini Mancese non fu indenne dal processo di sinizzazione che segnò il destino di tutte le potenze estere (escluse quelle occidentali nel XIX secolo) che presero il potere in Cina.
Come le precedenti dinastie, da quella Han in poi, anche quella Qing fondava il suo potere e le sue scelte sulla visione confuciana della società in cui dominava una rigida forma di gerarchia morale e in cui la legittimità di governo si fondava sul “mandato celeste” che poteva, in determinate condizioni, essere revocato.
I segnali che il “cielo” aveva revocato il suo mandato per una determinata dinastia al potere potevano essere legati a ripetute catastrofi naturali ma anche a disastrose sconfitte militari.
I continui e inesorabili rovesci militari subiti alla fine del XIX secolo negli scontri con gli le potenze occidentali e a seguire anche con il Giappone (1894-1895) convinsero la popolazione che il “mandato celeste” era stato revocato, dando il via a una serie di rivolte che portarono nel 1911 alla definitiva detronizzazione dell’ultimo imperatore, mettendo la parola fine alla secolare monarchia assoluta che ha dominato la storia cinese per millenni fin dai suoi albori.
2. Necessità di intraprendere un percorso di modernizzazione
Le devastanti sconfitte militari subite dall’esercito cinese costrinsero la Cina a ripensare al suo modello di sviluppo a alla necessità di colmare il gap tecnologico con le potenze occidentali.
La scarsa qualità dei loro cannoni e dei loro fucili era da ricercarsi nella incapacità di produrre acciaio di alto livello e di forgiarlo: il paese che si vantava di avere inventato la polvere da sparo fu vittima della potenza distruttrice di quest’ultima a causa della stagnazione nello sviluppo tecnologico.
Questa stagnazione era dovuta in parte alla mancanza di veri competitori in Asia, ma anche e soprattutto all’organizzazione dello stato che, costretta in una rete soffocante di rituali e in una endemica corruzione, risultava altamente inefficiente.
Incontrare l’imperatore era molto difficile e subordinato alla capacità di “oliare” il complicato meccanismo di relazioni gerarchiche costituito dalle schiere di mandarini e di eunuchi (secondo molti i veri detentori del potere) che lo attorniavano, rendendo quasi impossibile per la società civile promuovere (e farsi finanziare) progetti di avanzamento tecnologico e per l’imperatore avere una buona conoscenza del suo regno e della società in generale.
Una delle ragioni della caduta della monarchia è da ricercarsi in questa sua incapacità di riammodernare il paese, caratteristica che fu propria anche della fase repubblicana (1911-1949) e che verosimilmente ne decretò l’insuccesso.
Entrambe queste forme di governo per quanto diverse fra loro (anche se mantennero molti caratteri di continuità) mancarono di capire l’importanza di avviare una industrializzazione del paese che migliorasse le condizioni di vita delle masse e che, allo stesso tempo, lo rendesse competitivo con le potenze occidentali.
Mentre il Giappone con la restaurazione di Meiji iniziò la sua rivoluzione industriale nel 1868 (prima fra le nazioni asiatiche) compiendo un passo decisivo che lo ha portato ad essere per più di un secolo la forza economica e militare di gran lunga predominante in Asia, la Cina non seguì lo stesso percorso e ritardò notevolmente il suo processo di modernizzazione.
Fu solo con l’avvento al potere di Mao, nel 1949, che si iniziarono (fra alti e bassi) a preparare le condizioni per una modernizzazione dell’economia che poi partì definitivamente e prese vigore solo dopo la sua morte con l’apertura e le riforme ad opera di Deng Xiaoping a partire dal 1978.
Nonostante questo ritardo, la necessità di evolvere in una economia industriale e la seguente preparazione e partenza della modernizzazione ha le sue basi nel scioccante incontro con la industrializzata Inghilterra del XIX secolo che mostrò senza ombra di dubbio le potenzialità di poter contare su uno sviluppato e moderno sistema industriale.
Il recente sviluppo industriale della Cina viene visto dal popolo cinese come il riscatto della loro civiltà dal cosiddetto “secolo dell’umiliazione” patito dalla Cina negli anni fra il 1839 e il 1949 quando l’impero celeste divenne di fatto una semicolonia che vide la sua sovranità territoriale pesantemente limitata prima dagli inglesi poi anche dai francesi e dai russi seguiti a breve dai giapponesi: in pratica da le tutte potenze industriali dell’epoca.
3. Influenza sulla politica interna ed estera cinese
Un’altra conseguenza a lungo termine delle guerre dell’oppio è quella che ha avuto sulla politica sia interna che estera dell’attuale stato cinese e sull’attitudine della popolazione verso gli stranieri e verso loro stessi.
Mentre prima dell’invasione la popolazione cinese si considerava di etnia bianca in contrapposizione con le popolazioni più scure del sud-est asiatico, l’arrivo di questi “strani” forestieri li costrinse a ripensare a loro stessi.
Fu in questo periodo infatti che prese piede il concetto di fare parte di una etnia gialla per differenziarsi dai bianchi occidentali.
Nella cultura cinese il colore giallo ha delle connotazioni molto desiderabili in quanto è considerato da sempre un colore quasi sacro.
Solo per citare alcuni famosi esempi l’Imperatore Giallo (Huang Di) e il fiume Giallo rappresentano due icone fra le più care ad ogni cinese, senza contare che nella Città Proibita molte della sale più importanti, durante la presenza degli imperatori, erano addobbate in giallo.
È di questo periodo anche la nascita della denominazione di “cinesi Han” (denominazione nella quale si riconosce il 98% della popolazione cinese) che pur non avendo ben definite basi storiche o etnico-culturali fu adottata per identificare l’unità di un popolo, di una civiltà, in contrapposizione all’invasore straniero.
La retorica iniziata negli anni della prima guerra dell’oppio e che si estende fino ai giorni nostri e che racconta di un eroico popolo che combatte e resiste contro i “diavoli stranieri” che massacrano e distruggono il suolo cinese per imporre l’uso di un veleno mortale e che crea dipendenza e schiavitù, fu di grande aiuto nella Cina Maoista e post-Maoista per generare un senso di appartenenza e di orgoglio.
Il sentimento anti straniero, ma soprattutto anti occidentale generato e nutrito dalle guerre dell’oppio si trasformò in antimperialismo e funse da megafono per la diffusione nella società di una delle virtù di un buon cittadino comunista con caratteristiche cinesi: il patriottismo antimperialista.
Infine, queste guerre, modificarono radicalmente e per sempre l’approccio verso l’esterno del popolo cinese che si rese conto che a volte è necessario imparare dagli altri e non sempre si ha solo da insegnare, una nuova consapevolezza di cui la Cina moderna ha fatto tesoro negli anni dello sviluppo industriale a cominciare dagli anni ottanta.
Conclusione
In conclusione, si può affermare che le guerre dell’oppio indussero un brusco risveglio dal torpore innovativo e sociale in cui la Cina era sprofondata da circa 8 secoli.
Durante la dinastia Tang (618-907) si ebbe un incredibile fiorire culturale e letterario che fu seguito nella dinastia Song (960-1279) da strabilianti invenzioni ingegneristiche come la polvere da sparo e avanzati sistemi di trasporto dell’acqua per l’irrigazione che si andavano ad aggiungere alle altre famose invenzioni cinesi come la bussola, la carta, la stampatrice e la porcellana di epoche precedenti.
A questa vivacità intellettuale è però seguito un periodo di stagnazione iniziato durante la dinastia Yuan (1279-1368) che si protrasse nella dinastia Ming (1368-1644) e che si accentuò in quella Qing (1644-1911).
Le umilianti sconfitte patite nelle guerre dell’oppio hanno per la prima volta nella storia scalfito il senso di superiorità e di incondizionata fiducia in se stessa che ha da sempre nutrito la civiltà cinese offrendo a centinaia di milioni di persone una visione diversa della loro società e di loro stessi piantando il primo seme che, con i tempi cinesi, ha fatto germogliare una diversa consapevolezza sia nelle popolazione che nelle élite di governo le quali hanno iniziato a considerare una dimensione impensabile fino a poco tempo prima: la loro arretratezza.
In questo senso dalle guerre dell’oppio in poi la Cina non è stata e non sarà mai più la stessa, facendo di queste il vero spartiacque fra la Cina feudale e medievale e la Cina moderna che oggi, a distanza di 150 anni, si propone come la potenza economico-militare egemone nel mondo intero.
Photo Credits: Chinese Junk, Victoria Harbour, Hong Kong by . Ray in Manila
Jappo dice
Ottimo articolo (occhio che c’è un typo sull’anno della fine delle guerre dell’oppio con un 19xx al posto che 18xx)
L’esame di Storia delle Relazioni Internazionali della Cina è stato un o dei miei preferiti all’università e tutt’ora il libro “Caos e Governo del Mondo” è in bella vista nella mia libreria.
A parte questo, è un caso che proprio con le dinastie straniere Yuan (mongola) e Qing (mancese; nda: non ho capito come mai nell’articolo venga definita coreana), ci sia stato il declino dell’impero cinese? Sarà che la loro sinizzazione non era avvenuta fino in fondo o il substrato culturale straniero aveva comunque influenzato troppo profondamente il loro modo di governare?
PS Enrico, sono a Nanning fino al 25 febbraio, dubito tu sia in giro da queste parti poiché è il Capodanno Cinese, ma se ci capiti e abbiamo modo di vederci per un boccone o una birra, più che volentieri!
Furio dice
Ciao Jacopo,
ho corretto i typo! Personalmente non sono un grandissimo esperto di storia cinese, quindi editando gli articoli di Enrico sto imparando tanto : )