L’eroina di quest’avventura.
Ripubblichiamo questa bella intervista!
Pietro mi ha contattato per avere qualche notizia sulla Terra di Mezzo dopo essere inciampato per caso su Sapore Di Cina. Tra le altre cose mi ha accennato, testuali parole, di “aver avuto la malaugurata idea a trentaquattro anni di prendere una Panda e partire per la Mongolia attraversando l’Iran e l’Asia Centrale.”
Aspetta, aspetta…
…in Mongolia in Panda?
Mi sono incuriosito e ho iniziato a tempestarlo di domande sino a che non ho scoperto che ha anche scritto una cronaca del sul viaggio, Una Panda per l’Eurasia, che si può scaricare gratuitamente sul suo website in formato pdf.
Da buon lettore compulsivo ho caricato il libro sul mio Kindle e l’ho letto in una notte. Questa intervista è il risultato.
Organizzare un viaggio in Mongolia
Pietro alla partenza.
Pietro, tu e il tuo compagno di viaggio Matteo avete attraversato l’Eurasia in Panda lungo i 16000 chilometri che separano l’Italia dalla Mongolia nel contesto del Mongolrally. Ci spieghi un po’ come funziona questa competizione e quali sono le sue finalità?
Innanzitutto grazie per l’interesse dimostrato e per il contributo nella diffusione della follia nel mondo. Il Mongolrally esiste da diversi anni ed è gestito da un’organizzazione inglese, The Adventurist, che organizza altri rilassanti avventure come la corsa di risciò in Indonesia e quella di cavalli in Mongolia. L’ obiettivo è la raccolta di fondi destinati a progetti benefici in Mongolia, una terra difficile, soprattutto se la percorri in Panda.
Il funzionamento è semplice. Ci si iscrive, si capisce di avere fatto una follia, e si decide se andare avanti. Molti si fermano qui. I ragazzi dell’organizzazione sono molto disponibili ma durante la corsa il supporto logistico fornito è davvero minimo e presente solo in Mongolia. Non ci sono nemmeno percorsi prestabiliti, ogni team è artefice del proprio destino.
Le macchine alla partenza.
Quali sono le difficoltà maggiori nel preparare un viaggio del genere?
La difficoltà più sottovalutata è quella di capire cosa si sta facendo, vero che l’incoscienza è una spinta determinante ma partecipare al Mongolrally non è proprio come andare a Rimini senza prenotare.
Io da buon burocrate sovietico quale sono ho dedicato molto tempo alla raccolta di informazioni prima di partire. I visti sono il primo ostacolo con il quale ci si scontra, ogni paese ha le sue regole e nel nostro viaggio abbiamo attraversato più di dieci frontiere, una vera babele cartacea.
Si va dal visto kirghizo, semplicissimo da ottenere, a quello turkmeno le cui pratiche di rilascio includono la scelta di un santo a piacere al quale affidarsi. L’organizzazione offre un servizio rilascio visti ma comunque le date devono essere scelte dai team e non è facile incastrare tutto, un po’ come giocare a Tetris.
Il mezzo giusto è fondamentale, sennò non si arriva. Molti per risparmiare partono con dei rottami che non vedranno mai non dico la Mongolia ma nemmeno la Turchia.
Ma secondo voi loro ci sono arrivati in Turchia?
Il compagno di viaggio è discorso delicatissimo, inutile fare i fighi, mostrare le foto e raccontare imprese mirabolanti (che comunque avvengono). In un viaggio del genere si sclera. E’ un’avventura sfiancante, che mette a dura prova nervi e fisico. Nel mio caso poi è stato abbastanza difficile, io e Matteo ci siamo conosciuti online e abbiamo due caratteri “pesanti.” Devo dire però che ci siamo dimostrati complementari, uno più pratico ed uno più teorico. L’importante è che siamo arrivati, non ce l’avremmo fatta ognuno per conto suo.
Quanto è durato il viaggio e quanto avete speso?
Il viaggio è durato circa quaranta giorni, comprese le soste a Samarcanda, Bucara, Isfahan in Iran (una città stupenda) e la rottura della macchina in Tagikistan. La spesa è soggettiva, conta molto come si affronta il viaggio: c’è chi dorme solo in tenda e chi fa il turista. Se poi si sceglie la rotta nord (Ucraina e Russia) le spese sono davvero ridotte. Noi abbiamo speso circa mille euro a testa solo di visti e circa tremila, sempre a testa, durante il viaggio. Ma ripeto la cifra è soggettiva. Nel nostro pacchetto all inclusive ci sono anche un paio di rotture della macchina. Il mio budget era di cinquemila euro ed è stato rispettato.
I costi della macchina fortunatamente non li conosco essendo la Panda stata fornita da un cliente di Matteo ma è la voce di spesa più “importante,” come già detto affidabilità e risparmio non sono buoni amici. Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere Sergio, meccanico di rally che si è innamorato del progetto e della nostra Panda 4X4 ha fatto una Panda 4X4 2.0.
Matteo osserva la Panda prima della partenza.
Che consigli ti senti di dare a chi vuole viaggiare attraverso l’Asia centrale con un mezzo privato?
Fare testamento… No, scherzo! Consiglio di raccogliere più informazioni possibili almeno per capire dove si sta andando, altrimenti si corre il rischio di trovare un Kalashnikov puntato quando ci si aspettava di trovare un Camogli.
In viaggio attraverso l’Eurasia
Nel capitolo del tuo libro dedicato alla Bulgaria commenti che “anche qui essere italiani apre molte porte (e sarà una costante del viaggio).” Ci spieghi cosa intendi?
Il mondo agli italiani vuole bene. La cosa mi ha colpito molto, verso gli italiani sono tutti ben disposti, anche nel fare “uno strappo alla regola.” I nostri più grandi nemici siamo noi stessi e la nostra voglia di essere accettati nei salotti buoni. I paesi più poveri ci vedono come dei loro, un po’ come qualcuno che ce l’ha fatta ad “uscire dalla periferia.” Abbiamo la povertà nel DNA e non dobbiamo vergognarcene.
(Furio: Sarà per questo che io in Cina ci sguazzo mentre alla Francia non mi ero mai abituato?)
Bisanzio.
Visto che non ho mai visitato nessuno dei due paesi, i tuoi paralleli tra Turchia e Iran mi hanno sorpreso. Potresti riassumere la tua esperienza?
Causa bombardamento mediatico sono partito un po’ prevenuto verso l’Iran, ed una delle cose più belle di questo viaggio è stata la distruzione di ogni certezza. Ovviamente qualcuno risponderà che ci sono stato pochi giorni da turista, verissimo ma non amo i saccenti.
In Iran sono stato durante il Ramadan e non ho sentito così forte il peso della religione, le persone sono splendide e le città iraniane sono decisamente più “moderne” di altre zone, anche europee, visitate. Tutti parlano inglese e non abbiamo avuto nessun problema.
Certo, in città come Qom e Mashad (di notevole importanza per l’Islam sciita) il clima era forse più “religioso” ma come detto mi aspettavo di peggio.
La Turchia invece mi ha fatto l’effetto opposto, non mi aspettavo un paese così religioso. Da Ankara in poi è difficile trovare una birra, le donne sono velate (in proporzione più che in Iran) e l’unico muezzin (colui che chiama alla preghiera i fedeli dall’alto del minareto) che mi ha svegliato in tutto il viaggio l’ho trovato proprio in Turchia.
Lungo le strade ogni area di sosta aveva la sua mini moschea dove pregare (e niente birra), e i minareti svettavano nei quartieri popolari di ogni città. Sono cose che fanno riflettere, sempre che le si voglia vedere.
Bazar di Isfahan, Iran.
Ma quindi queste donne iraniane? (sorry, no photos!)
In parole povere la quintessenza della gnocca! Al confine tra Turchia e Iran ho avuto dieci minuti di sbandamento ormonale. Le donne iraniane sono bellissime e molto civette. Ti guardano da capo a piedi e ti sorridono in un modo che se il diavolo volesse tentarti userebbe quel sorriso. Sono il tipo di donne per il quale un uomo potrebbe perdere la testa (anche letteralmente).
E forse non è un caso che prima della rivoluzione di Khomeini (in realtà anche dopo) le donne dell’Iran abbiano avuto fama di “paradisi musulmani scesi in terra,” consiglio di vedere su Youtube i video in cui vengono mostrare le modalità di “approccio” in Iran. In ogni caso, sia chiaro, l’Iran NON è il paese giusto per avere avventure, prima che qualcuno parta per Teheran felice del suo gnocca-tour…
Propaganda iraniana.
Ci sono paesi che, per chi non c’è mai stato, sono avvolti nel mistero. Ad esempio io non avrei mai immaginato che l’attrazione turistica più importante del Turkmenistan fosse un cratere che brucia da incessantemente da decenni. Ci dici com’è da vicino ‘sto cratere?
In realtà il Turkmenistan è un’attrazione in sé, un paese folle, con leggi folli ed una capitale folle. Asghabad (la capitale) sembra Gotham City, tutta in marmo, e con monumenti che di notte cambiano colore. L’ex presidente era arrivato a far costruire una sua statua che girava su sé stessa seguendo il sole.
Il cratere è in mezzo al deserto, ed è grosso. Sembra la bocca dell’inferno con tutte ste fiamme, e di notte si vede lontano chilometri. Trovarlo non è facilissimo, noi lo abbiamo mancato un paio di volte facendo avanti e indietro per centinaia di chilometri in mezzo al deserto, passando lo stesso posto di blocco innumerevoli volte.
La principale attrazione turistica turkmena.
Tra le ex repubbliche dell’Unione Sovietica, qual’è quella che reca ancora i segni maggiori della dominazione russa?
Domanda insidiosa e di non facile risposta. Il termine “dominazione” andrebbe discusso, magari davanti a della buona vodka. In ogni caso a parte il Turkmenistan, che i russi li ha espulsi e rifiuta di entrare in qualsivoglia organismo regionale, tutti gli altri paesi hanno mantenuto relazioni con la Russia.
Dal Kazakistan, la cui parte settentrionale è a maggioranza russa, al Kirghizistan dove statue e ritratti di Lenin (ma non di Stalin) sono ovunque. Fino al Tagikistan dove l’influenza culturale russa è molto forte.
Geopoliticamente l’Asia Centrale è una regione cruciale per le risorse presenti nel sottosuolo, e la concorrenza tra le grandi potenze è molto forte. Il ritiro americano dall’Afghanistan, previsto per il 2014, non semplifica certo la situazione, come il mostrare le spalle a Mosca del’Uzbekistan ha recentemente dimostrato.
Parlando del Kazakistan a un certo punto dici che “Procedendo verso Qaraganda sembra di essere in una tabula rasa elettrificata,” citazione colta che a un vecchio fan dei C.C.C.P. (e dei C.S.I. poi) come me non poteva sfuggire. Avevate un autoradio sulla Panda? Qual’è stata la vostra colonna sonora?
Se non avessi avuto un autoradio sarei finito in crisi mistica già in Bulgaria. Ma per motivi a me ignoti tale aggeggio tecnologico non leggeva tutti i file della mia chiavetta. Oltre ai C.S.I. (ovviamente) io avevo tanto ska e musica balcanica, Matteo classici italiani come Guccini e De Gregori.
Ma ci siamo anche dilettati ad ascoltare le radio locali (dove esistevano) ed io ho comprato cd strada facendo, nel mondo il trash sembra non avere mai fine. Ma con il procedere del viaggio la colonna sonora è sempre più stata composta da scricchioli della Panda e rumori del motore.
Una delle subdole gallerie tagike.
Tra quelli che hai attraversato, qual’è il paese con le strade peggiori?
A parte la Mongolia che non ne ha (l’asfalto esiste solo per circa 300 km attorno la capitale Ulaan Bataar), direi il Tagikistan. Ad un certo punto siamo finiti in una galleria in costruzione, buia e allagata. Poche volte in vita mia mi sono sentito così a disagio (forse solo un concerto delle Spice Girls potrebbe essere equivalente). Anche se in Uzbekistan si stanno impegnando per vincere questa classifica.
In Europa la Bulgaria straccia tutti, un po’ come se il Barcellona giocasse nella serie B cambogiana.
Leggere la rete stradale di un paese (condizioni e orientamento) dice molto del paese in questione. Ci sono zone che il potere centrale tiene lontano isolandole con strade pessime ed altre al centro di rapporti commerciali internazionali tra stati “amici.”
(Furio: Concordo, ma come al solito i cinesi hanno una maniera tutta loro di risolvere i problemi interni e hanno sviluppato infrastrutture fenomenali per collegare la Cina orientale con il Tibet e lo Xinjiang in modo da poter colonizzare – errrr sviluppare economicamente – queste regioni il più velocemente possibile.)
Un guado sulle (non) strade della Mongolia.
Mongolia e Cina
Pietro, cosa mi dici della Mongolia, paese che viene sempre definito poverissimo?
La parola “povero” ha una connotazione occidentale. La popolazione mongola che non vive nella capitale è semplicemente nomade, anche se a noi sembra povera per via delle difficili condizioni di vita.
La povertà come viene comunemente intesa sta aumentando ora per via del fatto che sempre più persone stanno trasferendosi nella capitale creando dei veri e propri quartieri di gher (le tende dei nomadi). Ora che i nomadi sono privi del loro ambiente naturale si possono definire poveri, ma in un contesto urbano.
Non che fuori dalla città quando d’inverno la temperature arriva a cinquanta gradi sottozero la vita sia semplice ma il problema ha connotazioni diverse. La Mongolia sta diventando un paese vuoto, dove tutti vivono nella capitale suscitando gli istinti rapaci delle compagnie estrattive estere che stanno entrando in possesso di gran parte del suolo mongolo. Sul tema ho scritto qualche articolo per una rivista che si chiama East Journal.
Tornando alle difficili condizioni di vita della popolazione, nella capitale e fuori, esistono diversi progetti benefici e personalmente faccio parte di Soyombo, un’associazione senza fini di lucro, che collabora con diverse realtà mongole.
Concludendo posso dire che un ruolo fondamentale è svolto dai monasteri che per molti bambini sono una vera e propria fonte di sostentamento.
Riporto una frase che mi hai scritto in una delle email che ci siamo scambiati: “Arrivato in Mongolia e non avendo nulla da fare sono finito in Cina… Ecco! Colpo di fulmine!” Spiegaci un po’ perché, dopo aver attraversato mezzo mondo, ti sei innamorato proprio della Cina.
Non è semplice razionalizzare un sentimento, sono entrato in Cina da Erlian, in Mongolia interna. Mi ha colpito subito qualcosa che non so definire, la parola, inadatta, che mi viene in mente è diversità, l’essere in una realtà totalmente altra.
Ma l’amore è nato a Pechino, con le sue pagode ed anche la sua moschea (ho visitato diverse moschee in Cina). Probabilmente sono i parchi quello che mi ha colpito di più. Sono arrivato alle cinque del mattino ed è stato difficilissimo anche solo capire dove mi trovassi, senza parlare della sensazione provata a vedere le strade invase da un esercito di persone con ogni mezzo possibile (auto, bici, carretti). E poi adoro i panda, sono stato due volte a vederli nel centro vicino Chengdu!
(Furio: Beh sei andato sino in Mongolia a cavallo di una Panda, ci manca solo che non ti piacessero…)
Con le persone poi mi sono sempre trovato bene, certo senza mitizzare un popolo intero ma mi stupivo di come “un orso” come me riuscisse a instaurare relazioni sociali con perfetti sconosciuti. In Cina mi sono sentito a casa, ricordo che il giorno prima di prendere l’aereo per tornare in Italia ero al Palazzo d’Estate e ho concretamente avuto il pensiero di restare in Cina. Ma non ne ho avuto il coraggio.
Domanda di rito qui a Sapore di Cina: qual’è il tuo piatto cinese preferito?
Gongbao Jiding (Pollo con arachidi) ed la cucina dello Xinjiang.
A parte la Cina, qual’è il paese che ti ha colpito di più e perché?
Il Tagikistan: un paese poverissimo e fiero. Dove la gente ha fatto del tirare a campare una ragione di vita ma senza arrivare a cercare di “spremere” gli stranieri come in Kirghizistan o in Uzbekistan.
Il Tagikistan ha un’altezza media di 3000 metri e nella regione autonoma del Gorno-Badakhshan non esiste nemmeno la benzina (che fanno in casa). La Panda si è rotta su un altipiano da dove si vedeva la catena dell’Indu Kush, difficile trovare un posto migliore. Il paese ha enormi problemi relativamente al traffico di droga, essendo il lungo confine afghano porosissimo e difficilmente controllabile, al punto che anche i Russi ci hanno quasi rinunciato.
Essere aiutati da delle facce pochissimo raccomandabili con pantaloni mimetici e canottiere mentre nello stereo del loro camion andava musica russa a palla non ha prezzo… Questo è un paese dove voglio tornare!
Confine tra il Tagikistan e l’Afghanistan.
Frontiere
Nel tuo libro parli spesso del fatto che dalle indicazioni per trovare una frontiera si capiscono tante cose dei rapporti tra due paesi confinanti. Cosa intendi?
Intendo che da come le frontiere sono segnalate si può capire il livello di amicizia tra due paesi. Se due paesi confinanti non hanno buoni rapporti tendono a non facilitare gli scambi di persone e merci, o più semplicemente non ritengono importante segnalare dove sia la frontiera. Che ragione ci può essere per andare “di là”?
Mi vengono in mente due esempi: il confine tra Romania e Bulgaria e quello assolutamente impossibile da trovare tra Uzbekistan e Tagikistan, paesi tradizionalmente non amici e tra i quali la tensione resta sempre alta. Spesso le frontiere in Asia Centrale sono sperse nel nulla, e le strade che vi arrivano sono pessime.
Leggendo In Vespa: Da Roma a Saigon del mitico Giorgio Bettinelli, Mr. Vespa, la difficoltà di sdoganare un mezzo italiano nelle varie frontiere sembra essere una costante del viaggio. Voi avete mai avuto problemi?
No, l’unico paese che richiedeva documenti particolari relativamente al mezzo è l’Iran ma basta saperlo prima e organizzarsi. D’altronde abbiamo conosciuto un ragazzo svedese che è arrivato in Mongolia avendo in macchina uno scooter priva di qualsivoglia documento…
Samarcanda, Uzbekistan.
Almeno da questo punto di vista sembra che il mondo abbia fatto qualche passo avanti rispetto a vent’anni fa. Più in generale, qual’è stata la frontiera più difficile da attraversare e perché?
Forse quella uzbeka, per l’alto tasso di ladrocinio dei poliziotti. Quella tagika non era da meno ma i tagiki hanno più stile, sembrava di essere nel remake di Alì Babà e i quaranta ladroni. Come strada quella tra Tagikistan e Kirghizistan, ma d’altronde si trova ad una quota di 4000 metri! Per le pratiche burocratiche assolutamente quella kazaka, una vera porta dell’inferno con tanto di militari con il passamontagna e coltello in mano.
Te la sei sempre cavata con un pallone e un CD di Toto Cutugno o ti è anche capitato di dover pagare qualche tangente ai doganieri o lungo i check point militari disseminati per l’Asia Centrale?
L’idea di caricare la macchina di CD di Toto Cutugno (e di palloni, il pensiero di Matteo ai bambini mongoli) ci ha davvero evitato un sacco di noie.
Ho pagato solo una volta, in Tagikistan ma mostrando all’ufficiale (che era uscito apposta dalla stanza) i soldi che stavo dando al suo sottoposto; stavo creando un caso diplomatico, si sono spaventati tutti. Ma non erano molti soldi, girano leggende di team usati letteralmente come bancomat, soprattutto in Russia, ma il paese dove il fenomeno è più diffuso è il Kazakistan.
Tornando a Toto Cutugno, secondo te qual’è il motivo di tanta popolarità nelle ex repubbliche sovietiche?
Culturalmente gira sempre il peggio.
(Furio: Mi dissocio da quest’affermazione, Toto è un mito ; ))
A parte le frontiere, qual’è stato il momento più difficile del viaggio?
Dire la rottura della Panda in Tagikistan sarebbe troppo facile, forse quella più tardi in Russia. I nervi erano tesi e con Matteo ho litigato abbastanza pesantemente. Se invece parliamo di condizioni oggettive guidare in Mongolia (soprattutto nelle zone montagnose) è un’esperienza devastante, ti fa riconsiderare l’importanza del trasporto pubblico.
Una “strada” mongola.
In Kazakhstan, apprendendo che uno dei concorrenti del Mongolrally è in pericolo di vita dopo essere caduto da dieci metri di altezza a causa di troppo whisky, ti chiedi se una corsa del genere abbia un senso. Ecco, qual’è il senso di un avventura del genere per te?
Forse il senso non c’è. Io posso dirti che per me è stata una spinta ad andare verso luoghi che altrimenti avrei difficilmente visto. Ma non ho la presunzione di dire di avere conosciuto paesi che ci vogliono mesi a visitare.
Una cosa come il Mongolrally da questo punto di vista è delicatissima. Ho visto troppe persone appagate solo dal correre in macchina attraversando frontiere ogni pochi giorni, totalmente incuranti di dove fossero o delle popolazioni che incontravano. Penso la consapevolezza sia fondamentale e proprio per cogliere il più possibile dei luoghi che ho attraversato che ho tenuto un diario, spesso scritto in condizioni improbabili.
A tratti sentivo il bisogno di dissociarmi da altri partecipanti alla corsa, dalla loro maleducazione e insensibilità. Dire che lo avrei fatto in maniera diversa sarebbe ipocrita, i tempi erano quelli e molto di più non si poteva fare. Forse le persone dovrebbero pensare di più a quello che stanno facendo.
(Furio: questo discorso mi ricorda un po’ i ragazzi che partono per l’Erasmus – pace all’anima sua – e anziché cercare di integrarsi nella realtà in cui sono stati catapultati passano il tempo a sbronzarsi in dormitorio. Sì, ho fatto l’Erasmus. Sì, mi sono sbronzato in dormitorio.)
Scoprendo il Kirghizistan…
Viaggiare si può (momento catartico)
Da quando ho aperto il blog in molti mi scrivono per dirmi “Beato che può viaggiare.” Io penso che al giorno d’oggi viaggiare sia abbastanza facile e che sia alla portata di quasi tutti. Il mio pensiero, che potrà forse risultare sgradito ai più, è che tanta gente resta a casa non per mancanza di tempo o risorse, bensì perché ha paura dell’ignoto. Personalmente mi sono sentito più sicuro nei monti Altai al confine tra Cina e la Russia che all’uscita della Stazione Centrale di Milano. Chiedo a te, che hai viaggiato attraverso alcuni dei paesi dipinti come tra i più pericolosi dall’opinione pubblica (Iran! Kazakhstan! Bicicletistan!), di aiutarmi a sfatare il mito che viaggiare è pericoloso.
Tocchi un tasto per me molto dolente, sono una persona poco paziente e certi discorsi mi fanno arrabbiare. La gente fa di tutto per auto rinchiudersi nella sua quotidianità ed avere la giustificazione del “vorrei ma non posso.” Troppo facile, preferisco chi dice che ha la scelto la sua routine, è più onesto.
Mi sembra che più che avere paura dell’ignoto la gente non riesce più a essere autonoma, a osare. Ormai ci hanno rincoglionito creando bisogni che non servono a un tubo. Questa è una delle cose che mi spinge sempre più lontano dal tipo di società in cui sono cresciuto, e vivendo a Londra sto toccando con mano il cuore e il cervello di questo mondo fatto di eterni bambini ma senza l’innocenza e l’incoscienza che dei bambini sono proprie.
Molti dicono che per viaggiare servono tanti soldi. Non è vero. Dipende sempre dalla capacità di adeguarsi e rinunciare al superfluo. Relativamente alla sicurezza ti capisco bene. A Pechino, come detto, mi sono sentito a casa.
Non credo esistano posti particolarmente pericolosi (a meno che non si tratti di paesi in guerra) ma penso che esistano posti con regole non scritte più o meno simili a quelle alle quali siamo abituati e nei quali ci sentiamo più “sicuri.” Serve una buona dose di osservazione, buon senso e tanto rispetto. Viaggiare è bello e nei posti brutti ci vanno tutti, perché sprecare l’unica vita che abbiamo?
Cielo di Mongolia.
A trentaquattro anni hai mollato tutto per imbarcarti in un viaggio in Mongolia. Che lavoro facevi quando hai deciso di partecipare al Mongolrally? Dove hai trovato le motivazioni e il coraggio per un’impresa del genere?
Facevo un lavoro super sicuro con tanti benefit, di quelli che le mamme vogliono per i figli: lavoravo in Telecom. Dopo anni che mi ripetevo che volevo fare il Mongolrally ho colto la prima occasione propizia, una pesantissima crisi sentimentale-lavorativa (mai mischiare lavoro e altro). Trovato un accordo economico con l’azienda ho iniziato ad organizzare il viaggio. Sono fatto così, sono un mulo, se mi ripeto che voglio fare una cosa la faccio, a pentirsi c’è sempre tempo.
Come ti ha cambiato questo viaggio?
Mi ha reso ancora meno volenteroso di integrarmi nel mondo in cui vivo (Furio: Adoro questa frase!), spero che sia l’inizio di un percorso che mi porti lontano. Ho sete di conoscere il mondo e chi lo abita, sono un laureato in Storia con un pessimo rapporto col tempo. Mi sembra non basti mai. Non riesco ad immaginarmi in un ufficio per tutta la vita, io devo vivere!
Spesso sono proprio le persone a noi più care quelle che tentano di contrastare i nostri sogni. Lo fanno, spesso inconsciamente, per proteggerci e per paura che quando torneremo non saremo più gli stessi (cosa verissima tra l’altro). Sarei interessato a conoscere la tua esperienza da questo punto di vista.
Vivo solo da molto quindi la famiglia non influisce nelle mie scelte, e di amici non ne ho molti ma ammetto che a volte mancano. Io faccio sempre di testa mia anche se a volte chiedo una marea di consigli.
La vera difficoltà è quando la vita che vuoi non si incontra con la persona che vorresti.
Il tetro arrivo del Mongolrally.
Se potessi tornare indietro, rifaresti il Mongolrally?
Col senno di poi no. Farei lo stesso viaggio ma mettendoci almeno un anno. Ma se l’ho fatto significa che volevo farlo e, come ho già detto, è un buon modo per darsi una mossa.
Pietro, grazie per la disponibilità e ci vediamo presto a Bangkok ; )
Si, prossima meta il Sud-Est asiatico, per attaccare la Cina da Sud in un’epica manovra a tenaglia. Grazie a te ed a tutti coloro che ci hanno seguito in questa chiacchierata: volere è potere!
Qual’è il viaggio più pazzo che hai fatto o che vorresti intraprendere?
p.s. Per contattare Pietro o sapere qualcosa di più su di lui e sul suo Rally in Mongolia potete visitare il suo blog, Farfalle e Trincee, o la sua pagina Facebook dedicata alla Mongolia e all’Asia Centrale.
[Photo Credits: Tutte le foto sono di Pietro tranne le prime due (il guado e la bambina con la madre in mongolia) per cui ringraziamo Sara Cavatorta.]