Riceviamo e pubblichiamo questo bell’articolo scritto da Enrico Corduas
Premessa
“Il passato è un’indispensabile guida per chi vuol visitare il presente o immaginarsi il futuro. In tutti i miei viaggi mi porto sempre dietro i libri di qualcuno che ha percorso quella strada prima di me. Non solo mi fanno compagnia, ma me ne servo come termine di paragone, come misura di quel che vedo.”
Queste sono le parole di Tiziano Terzani, nella prefazione all’edizione del 1998 de “La Porta Proibita”. Io l’ho ascoltato e, per la mia permanenza cinese, ho portato con me alcuni libri, tra cui il più importante e significativo rimane indubbiamente “La Porta Proibita”.
Per chi parte (o si appresta a partire) per la Cina, la lettura di questa opera, scritta tra il 1980 e il 1984, rimane una tappa obbligatoria. Il perché lo si coglie dalle stesse parole di Terzani del 1998: La “Porta Proibita” è un prezioso termine di paragone.
Per chi, dunque, cerca di comprendere la Cina odierna a partire dagli scritti di Terzani si pone naturale la domanda (di cui al titolo): Cosa è rimasto di quella Cina di cui, in fondo, Terzani è sempre stato profondamente innamorato?
Conviene da subito precisare che a questa domanda non c’è una risposta certa. O meglio, la Cina post Mao ha avuto così tante mutazioni che sarebbe quasi folle cercare una risposta certa a questa domanda.
Tuttavia, con queste necessarie premesse, proverò a ricercare una risposta che rimane necessariamente soggettiva.
Cibo
La risposta si cela dietro l’esperienza che ad ognuno di noi riserva questa strana creatura, chiamata Cina, dove tutto è contraddizione. Durante i miei primi passi, precisamente a Shanghai, ciò che maggiormente mi ha sconvolto è stato il cibo.
Ho sentito odori e gusti inimmaginabili per un occidentale, ho tentato di raccogliere il riso con le bacchette (ben presto arrendendomi), ho smesso ben presto di chiedermi cosa ci fosse in quella zuppa o in quella insalata.
Ma ciò che realmente mi ha lasciato a bocca aperta è stato il modo di stare a tavola dei Cinesi: un enorme centrotavola girevole dove vengono servite tutte le portate e dove ognuno ci ficca le proprie bacchette per prendere le varie pietanze e mangiarle tra, manco a dirlo, rutti e risate accompagnate dal vino, tè caldo o acqua calda.
Insomma, i primi giorni ho dovuto gettare al vento i miei anni di rigida educazione occidentale (non sputare per terra! Non ruttare con la bocca aperta! Non prendere le pietanze con la tua forchetta!) e abituarmi a questo nuovo modo di rapportarmi al mondo.
Questo mi ha proiettato in quella dimensione che mi aveva anticipato Terzani, una dimensione fatta di condivisione e convivialità tra la gente. Una sensazione di freschezza, dolcezza, accoglienza che mi ha subito fatto capire da dove veniva quell’amore appassionato che Terzani provava per questa terra.
Shanghai
Terzani non ha mai dedicato uno scritto a Shanghai. In fin dei conti non poteva non essere così. Shanghai è la “Milano della Cina” come mi dice un cinese vissuto molti anni in Italia, il centro commerciale ed economico della Cina capitalista che rappresenta quello sviluppo che Terzani tanto criticava.
Ho trovato solo un riferimento a Shanghai, sempre nella prefazione del 1998:
“Quel che della Cina appare positivo ai nuovi saggi internazionali […] non è necessariamente positivo per i cinesi delle campagne e dei villaggi dove vive ancora la stragrande maggioranza della popolazione. Le grandi città cinesi vantano oggi centinaia di nuovi grattacieli (molti vuoti ed inutilizzati, come a Shanghai) […]”
Oggi quei grattacieli sono diventati i più alti del mondo, e sono il centro dell’attività finanziaria cinese e globale. Ciò ha, ovviamente, condizionato la crescita di tutta la città. Luci scintillanti, locali all’ultima moda, grandi passeggiate per lo shopping più esclusivo.
Quest’anno, per la prima volta, si è tenuta la settimana della moda che spinge Shanghai a diventare anche capitale della moda. Dunque la città ha perso il suo antico spirito cinese?
No. Assolutamente.
Tuttavia, occorre ricercarlo con più attenzione. L’esempio architettonico è lo Jing’an Temple, un tempio buddista che si erge tra i grattacieli più alti di Shanghai. Il contrasto è forte, simbolico, evocativo. La visita del tempio, tuttavia, mi ha deluso in un primo momento.
C’erano turisti occidentali, per la maggior parte. Il tempio all’interno è solo un rifacimento di quello antico, che sembra a primo impatto più una bella scenografia per le foto degli occidentali, piuttosto che un luogo sacro.
Il perché me lo spiega sempre Terzani, che ha dedicato molte pagine all’argomento. Mao, durante la rivoluzione culturale, ha voluto che i principali templi venissero abbattuti. Voleva che l’unico culto fosse quello per il partito.
Tuttavia, dopo la fine della rivoluzione, il partito ha voluto ricostruirne la maggior parte. Voleva che la religione buddista e quella “maoista” ritornassero in auge. Esse, infatti, insegnavano (e insegnano) la completa obbedienza all’autorità, secondo Terzani.
Ecco dunque perché lo Jing’an Temple, come tutti gli altri templi, è stato ricostruito tra gli anni 80 e 90 del secolo scorso. La mia delusione per la “commercialità” del posto è svanita in un secondo momento.
In una stanzetta, annebbiata dall’incenso, si stava svolgendo un funerale. Monaci recitavano cantilene vecchie chissà quanti millenni. Non ho potuto però assistere a lungo perché la compagna cinese di mio fratello (guida instancabile e indispensabile per la mia permanenza) mi ha tirato per una manica, imponendomi di uscire velocemente dal tempio.
Questo perché, qualche giorno prima, l’indovino (come lo definisce Terzani, quando racconta che un indovino gli disse che se avesse viaggiato nel 1992 con l’aereo sarebbe morto) inteso come intermediario tra l’uomo e Buddha, mi disse che non sarei dovuto stare a lungo in posti dove riposano i morti.
Conclusione
Avevo anticipato che la risposta alla domanda originaria sarebbe stata necessariamente soggettiva. Ho scelto solo alcuni dei posti o degli avvenimenti che più mi hanno colpito.
Quello che è successo al tempio mi ha indotto a pensare che la Cina può occidentalizzarsi fino all’ultimo osso, all’ultimo capello, può diventare anche la più turistica delle mete, ma non perderà mai quel fascino che Terzani riconobbe e di cui si innamorò.
E’ una cultura troppo forte, quasi un mondo parallelo. In fin dei conti l’occidentalizzazione completa di questo posto non è possibile. La Cina di Terzani vive ancora.
Le cose da scrivere sarebbero state ancora tante. Le esperienze, i luoghi, gli odori, i sapori. Se questo articolo ti ha interessato e vuoi contattarmi, puoi farlo all’indirizzo mail [email protected] Sarò felice di risponderti.
Mez dice
Mi trovo d’accordo con quanto scritto.L’unico appunto riguarda l’anno in cui Terzani non mise piede su di un velivolo che fu il 1993 e non il 1992 come erroneamente riportato nell’articolo.
Furio dice
Upss : )
Fabio Lessi dice
A me uno scritto di Terzani sulla Cina che ha impressionato è stato un altro. In un altro libro, non la porta proibita. Come nel passaggio citato qui in cui parla di grattaceli vuoti (ora forse non ha Shanghai, ma che ci sia una bolla immobiliare in Cina è innegabile e grattaceli vuoti li trovi in quasi tutte le città), ricordo che disse (dopo aver polemizzato con uno che gli chiedeva quanto fossero alti i grattaceli in europa) di come i cinesi a suon di costruire il nuovo e abbattere il vecchio si renderanno conto che hanno distrutto la loro stessa cultura e verranno poi in Europa a vedere i nostri di vecchi palazzi (cosa che effettivamente succede). Aggiungo che andando a giro per la Cina non è raro vedere le costruzioni nuove di “vecchi quartieri”, lo stesso great wall in quasi tutte le sezioni con turisti è degli anni 70-80, Shanghai tutta, Suzhou, Yangzhou, le mura di Xi An e così via..
Furio dice
Yep, per molti aspetti è rimasta più “cinese” Taiwan