Taiyuan
Dedicato agli unici due temerari che, in quattro anni di permanenza, hanno deciso di intraprendere questo lungo viaggio per venire a trovarmi: mamma Mariella e mio cugino Stefano.
Introduzione
Finalmente le continue pressioni psicologiche fatte alla mia famiglia hanno dato i loro frutti: mia madre e mio cugino hanno prenotato il biglietto per venire a trovarmi nella “Terra di mezzo”.
Mi offro di fare loro da guida, e di organizzare il viaggio in tutto e per tutto, per offrirgli un’esperienza indimenticabile e, sicuramente, sono riuscita nel mio intento: non potranno dimenticarla facilmente.
Stefano mi aiuta a progettare un itinerario. Arriveranno a Pechino dove sarò ad aspettarli e ci fermeremo per un paio di giorni, poi proseguiremo il nostro viaggio verso ovest, passando da Taiyuan, Pingyao, Xi’an, Zhangye, Jiayuguan e Dunhuang.
Le premesse sono delle migliori, in un paio di settimane potranno vedere grandi città moderne, “tranquille” cittadine cinesi non internazionali, montagne, grande muraglia, deserto e templi.
Entusiasta all’idea del nostro viaggio, compro i biglietti di treni e aerei, e prenoto i vari hotel. Mi informo inoltre sulle attrazioni principali da visitare, e attendo con impazienza l’arrivo della mia famiglia presso l’aeroporto internazionale di Pechino.
Arrivo
Voglio che tutto vada per il verso giusto, quindi decido che per una volta posso fare lo sforzo di arrivare puntuale, anche se questo mi costa una bella levataccia. Sono in aeroporto appena prima che il volo atterri, e aspetto il tempo delle varie trafile burocratiche dell’immigrazione e del ritiro bagagli.
Li vedo spuntare all’improvviso dalla porta scorrevole dell’aeroporto, con una faccia stanca per il lungo viaggio, ma sorridente. Non sanno cosa li aspetta.
Baci e abbracci, e siamo pronti ad iniziare la nostra avventura. Preleviamo al bancomat e velocemente ci dirigiamo verso i taxi, scansando gli autisti abusivi che cercano di convincerci delle loro tariffe convenienti, senza troppo successo.
Ci mettiamo in coda, e aspettiamo il nostro turno. Dopo aver caricato i bagagli il nostro taxi finalmente parte, e ci lasciamo alle spalle l’aeroporto.
Mentre converso amabilmente con l’autista, vedo lo sguardo perso dei miei ospiti dallo specchietto laterale. Riesco a leggere i loro pensieri, e si stanno chiedendo cosa ci facciano qui.
Ormai l’inquinamento è parte della mia vita cinese, ma in questa giornata estiva una cappa di inquinamento peggiore del solito ci avvolge, e l’afa di agosto rende l’aria ancora più irrespirabile. Benvenuti in Cina!
Nonostante l’autista sembri sapere il fatto suo, arrivati nei pressi dell’hotel ci perdiamo in un intricato labirinto di hutong. Il nostro accompagnatore, a differenza di altri che ci avrebbero semplicemente abbandonato in mezzo alla strada, non si perde d’animo, e prosegue avviandosi in stradine talmente strette, che probabilmente non è mai riuscito ad uscirne. Lo immagino ancora a vagare per quelle strade.
È un omino davvero a modo, e quando ci becchiamo un dito medio da un altro autista senza una ragione, si scusa per la maleducazione del suo popolo, e per il fatto che la mia famiglia abbia dovuto vedere questo appena arrivata nel suo paese.
Finalmente troviamo l’ostello. Paghiamo, ringraziamo, e lo vediamo avviare la macchina perplesso, senza sapere dove andare.
Spiego a mia madre che ho deciso di prenotare il primo hotel in un hutong, che sono le stradine più caratteristiche di Pechino, nonché i miei luoghi prediletti.
Dall’espressione sul suo volto, mi rendo conto che non è stata una buona idea. Gli hutong sono meravigliosi, ma forse avrei dovuto far conoscere loro la cultura e le tradizioni cinesi gradualmente. E invece una signora e un ragazzo di Milano si trovano in una manciata di ore catapultati in un luogo ed un’epoca che non riconoscono.
Con la maniglia dei loro bagagli salda tra le mani, stringono gli occhi per guardare attraverso la coltre di inquinamento, e scrutare con occhi meravigliati quello che li circonda: da un lato un parrucchiere nel bel mezzo della strada che taglia i capelli a un cliente come se fosse la cosa più normale del mondo, dall’altro la proprietaria di un ristorantino che scarica liquami sospetti e dall’odore nauseabondo in un tombino.
Adoro questo posto. Ci facciamo strada tra alcuni cani randagi, ed entriamo nell’hotel.
Alloggi
Prenotare hotel internazionali è contrario al mio spirito di vera esperienza cinese. Decido quindi di prediligere piccoli alberghi, generalmente a conduzione familiare, ma dall’aria dignitosa.
Pechino
Eccoci quindi giunti alla prima tappa del nostro viaggio. Consegnamo i passaporti alla receptionist dell’ostello di Pechino, e ci vengono consegnate le chiavi per una stanza all’ultimo piano. L’hotel non è ovviamente fornito di ascensore.
Ci adagiamo sui letti un momento, ma incalzo la famiglia dicendo che non c’è tempo da perdere, perché abbiamo un programma bello pregno da seguire. Stefano va quindi a fare una doccia prima di incominciare, e allaga la camera.
Il bagno è uno stanzino rialzato all’interno della stanza, e mentre Stefano è in doccia vediamo l’acqua cominciare a scendere lentamente dallo scalino. Mia madre sclera, io non mi scomodo più di tanto.
Prima della seconda doccia mettiamo un asciugamano per terra per limitare i danni, e continuiamo con le docce nel lago creato da Stefano, che probabilmente non si asciugherà mai più.
Mia madre si lamenta dell’hotel, e io le rispondo che questo sarà probabilmente il migliore che le capiterà durante il suo soggiorno cinese. Mi risponde con una risata e capisco che non mi ha presa sul serio. Decido di lasciarla crogiolare nell’illusione che sia solo uno scherzo, almeno fino all’arrivo alle prossime sistemazioni.
Taiyuan
La seconda tappa è Taiyuan, e la famiglia alloggia presso il mio appartamento. Tutto va liscio, eccetto le liti di mia madre con il piano cottura elettrico, che non ha una temperatura media di cottura, ma cuoce a calore molto alto bruciando tutto, o molto basso senza davvero cuocere nulla.
Le sorprese dell’alloggio a Taiyuan ci verranno riservate più tardi, al ritorno dal nostro viaggio nel Gansu.
Xi’An
Prossimo hotel: Xi’an. Il taxi ci scarica da qualche parte in mezzo alla strada senza curarsi del fatto che non abbiamo la minima idea di dove andare.
Giriamo senza meta per una mezz’ora, chiedendo ai passanti e ai portinai dei palazzi, ma nessuno sembra conoscere il nostro hotel.
Provo a telefonare al numero, e qualcuno mi risponde dandomi informazioni poco comprensibili, parlandomi di nord o sud, ovest o est, che mi rifiuto di comprendere. Continuiamo la nostra ricerca, e alla fine ci ritroviamo in un complesso di edifici. Troviamo il nostro, e saliamo al diciottesimo piano, dove apparentemente si trova il nostro hotel.
La reception è uno stanzino dove un signore sta dormendo in un letto mentre, quella che deve essere sua moglie, ci accoglie ed accompagna alla stanza a noi destinata. Qui scopriamo che non abbiamo il bagno in camera.
“Ma sul sito c’era scritto che…” la donnina è già pronta e mi dà una risposta del tutto logica a cui non posso fare obiezioni. Il bagno c’è, ed è proprio come se fosse in camera! Basta uscire dalla stanza per trovarlo, è proprio di fronte alla nostra porta! Scapperà di corsa prima che io possa chiederle se è in comune con gli altri ospiti, ma scoprirò presto la risposta da me.
Vedo mia madre iniziare a porsi alcune domande sulla veridicità della mia esclamazione che l’hotel di Pechino sarebbe stato il migliore.
Dunhuang
Quarta tappa: Dunhuang. È questa l’esperienza peggiore, e mia madre decide inizialmente di rifiutarsi di entrare nella stanza. Si rende ben presto conto di non avere molta alternativa, e ci segue con lo sguardo ormai deluso e tradito.
Il sito internet lo descriveva come “nuovo”. E devo ammettere che mai informazione fu più veritiera: l’alberghetto è talmente nuovo che non ne è ancora terminata la costruzione. Le rumorose ruspe lavorano senza sosta alzando un polverone incredibile, ma la nostra stanza c’è, ed è probabilmente l’unica già ultimata.
Forziamo la maniglia che non si apre e ci rimane in mano, ma qualcuno verrà prontamente ad aggiustarla per noi, che servizio!
Entriamo nella stanza e ci si para davanti un tugurio, il cui pavimento è cosparso di cadaveri di scarafaggi e lunghi capelli neri. Alle nostre lamentele una donna delle pulizie dà una veloce passata al pavimemento e scompare proprio come è arrivata.
Ci rassegnamo e apriamo i letti dalle lenzuola stropicciate, trovandoci all’interno altri lunghi capelli neri. Decidiamo di non porci troppe domande e goderci la bellissima città.
Jiayuguan
Eccoci arrivati a Jiayuguan. La prenotazione di questo hotel è stata faticosa perchè prima non accettavano stranieri, poi sì, ma bisognava richiamare a una certa ora, poi loro non rispondevano, e chi più ne ha, più ne metta.
Ma alla fine abbiamo la nostra prenotazione, e ci presentiamo alla reception lasciando nomi e passaporti.
“Spiacenti, abbiamo provato a contattarla per confermare la sua prenotazione, ma il suo telefono era sempre spento quindi abbiamo dato via la camera”.
Spiego che il telefono mi è stato rubato a Xi’An, e la ragazza ha pietà di me e mia madre, i cui occhi si stavano probabilmente riempiendo di lacrime.
Ci trovano una stanza senza bagno, e mia madre mi impone, con una certa persuasività, di contrattare per un cambio stanza nel caso se ne liberasse qualcuna con il bagno nel frattempo.
Passiamo la prima notte in una stanza accanto ai bagni pubblici, dall’odore nauseabondo, e la seconda in una quasi piacevole stanza con bagno in camera.
Zhangye
Dopo aver litigato con l’autista abusivo per il prezzo esagerato, ci facciamo lasciare all’entrata dell’hotel, e ne varchiamo la soglia.
Gli occhi di mia madre si illuminano e mi guarda piena di gratitudine, pensa finalmente di poter fare una doccia in un ambiente igienico, e senza il rischio che qualche altro ospite dell’hotel faccia irruzione nella stanza. Illusa.
Ci guardiamo intorno, e siamo circondati da acquari colmi di pesci bianchi e rossi, corrimani in oro, e persone vestite bene.
Qui c’è puzza di bruciato! Questo hotel non rispecchia i nostri standard. Mi avvicino alla signorina della reception e mostro la nostra prenotazione. Lei ci guarda perplessa e ci comunica che siamo nel posto sbagliato.
Maledico la tassista che probabilmente ha voluto farmela pagare per la contrattazione agguerrita, e cerco di trascinare fuori mia madre e mio cugino che non accennano a volermi seguire. I piedi ben radicati al suolo, e un timido “magari potremmo fermarci qui…”
Non mi faccio intenerire e proseguiamo.
Via di nuovo sul taxi e arriviamo infine ad un hotel alla nostra altezza. La stanza è sporca, e non è stata ripulita dopo la permanenza dei precedenti inquilini. Ci viene cambiata senza troppi problemi, ed abbiamo un soggiorno tutto sommato tranquillo, in un ostello della gioventù dove mia madre si sente anziana nel partecipare alle visite di gruppo.
Trasporti
In Cina è sempre buona norma prenotare gli spostamenti in treno o in aereo in anticipo, considerato l’enorme numero di persone che si spostano di città in città ogni giorno.
Nonostante tre settimane di anticipo, non riesco a trovare tutte le soluzioni che avevo sperato.
I primi spostamenti sono comodi, e i miei ospiti sembrano ingenuamente volersi abituare a tanto comfort. Facciamo i primi viaggi su un treno veloce, e il successivo su un aereo. Nel mezzo ho inserito giusto un treno lento di un’oretta, per non farli abituare troppo bene.
Treni lenti
Il primo viaggio in treno lento è easy. Stefano fa amicizia con i suoi compagni di viaggio, mostrando loro alcuni Euro, e comunicando in chissà quale lingua. Mariella mi sta vicina e non dà troppa confidenza ai viaggiatori che la scrutano senza troppa discrezione.
Anche il secondo non è poi così male, i ventilatori a sostituzione dell’impianto di aria condizionata e la stufa a carbone per scaldare l’acqua ci fanno sorridere.
Ma è al ritorno da Zhangye che gli tiro il vero colpo basso. Non avendo trovato nessun’altra soluzione, ho comprato tre bei biglietti per un viaggio di 18 ore su sedile rigido in un treno lento. Mi rendo conto che questo sarebbe troppo per chiunque, ma noi, impavidi, saliamo sul treno equipaggiati di mantou ripieni di tonno in scatola.
Ci mettiamo comodi, ma dopo nemmeno dieci minuti iniziamo a litigare per il posto finestrino, che è il più comodo per poter riposare. Stefano ha avuto la meglio per la maggior parte del viaggio.
Con le schiene a pezzi, le orecchie riempite dalle grida dei venditori ambulanti, e gli odori sgradevoli del treno, ci rendiamo presto conto di essere viaggiatori privilegiati: il treno inizia a riempirsi, e i posti a sedere sono presto esauriti.
Iniziano a spuntare sgabellini portatili, e gente che si sdraia nel bel mezzo del corridoio. Qualcuno si addormenta amabilmente sui miei piedi. Mi fa tenerezza e decido di non svegliarlo.
Diciotto ore sono decisamente troppe, e arriva il momento di andare al bagno. In questa operazione non c’è spazio per i sentimenti, bisogna procedere senza pietà, calpestando senza badarci qualsiasi cosa (o persona) ci sia tra te e la tua destinazione.
Mi stupisco che il bagno sia libero, e ci entro. Esco subito, non posso usare quella latrina. Vedo davanti a me la barriera umana e decido che non posso affrontarla di nuovo, quindi entro nel bagno, e ne esco il più in fretta possibile. Eccomi pronta ad affrontare nuovamente quella muraglia di corpi inanimati sul pavimento, sentendo qualche brontolio quando mi faccio spazio tra loro.
Siamo stremati da questo viaggio, ma arriviamo a Taiyuan sani e salvi.
Taxi
Le esperienze che ci capitano durante gli spostamenti sono delle migliori, in un’escalation di emozioni, proprio come per gli hotel.
Arrivati a Taiyuan l’autista del taxi dice che abbiamo troppi bagagli, e ci propone di dividerci in due taxi. Vedo comparire il terrore negli occhi di mia madre, che dice “non mi lasciare!”
Stefano si diverte, e mia mamma sclera, ancora una volta. Per fortuna siamo in Cina, e a tutto c’è soluzione. La lampadina si accende nella testa dell’autista, che carica i bagagli verticalmente senza proferire parola. Si allontana senza chiudere il bagagliaio e sale sul suo veicolo.
Lo guardiamo perplessi e lui ci fa cenno di salire. Dice di non preoccuparci, che è sicuro e l’ha già fatto un migliaio di volte. Saliamo tutti sull’auto con un po’ di preoccupazione, ma insieme.
Il motore si accende e iniziamo a sfrecciare per le strade di Taiyuan con il bagagliaio aperto, impavidi e senza paura di dossi o buche nel terreno. Penso mentalmente a quello che c’è nel bagaglio, e gli dico addio. Arriviamo a destinazione e mi dico che dovrei fidarmi di più dei cinesi, è ancora tutto lì!
Nonostante prediligiamo sempre taxi regolari, non è sempre possibile trovarne, e quindi capita a volte di non avere scelta. Mentre Stefano si diverte a vedermi all’opera, mia madre è allibita dalle feroci contrattazioni con i tassisiti abusivi.
Mi dice che sono diventata una spilorcia a stare in Cina, che contratto come una matta per pochi Yuan. Le spiego che non lo faccio per i soldi, ma per il principio. Lei alza gli occhi al cielo e mi lascia fare.
Nonostante le contrattazioni siano sempre una battaglia all’ultimo Yuan, una volta concordato il prezzo io e l’autista ci mettiamo sempre a chiacchierare come se fossimo vecchi amici, sotto lo sguardo sconcertato di chi ancora non ci comprende, e che siede nei sedili posteriori.
Tricicli e carrettini
Arrivati a Xi’An decido che è arrivato il momento di fargli provare l’esperienza del carrettino. Per fare il giro delle mura mi metto a contrattare con un gruppo di uomini che mi propongono diverse soluzioni, a prezzi altissimi. E questi sono dei duri, non scendono di prezzo.
Concordo con un ragazzo il giro delle mura su una specie di triciclo a due posti, oltre a quello del guidatore. Dice che se ci stringiamo ci stiamo. Io mi fido e mi volto per comunicare la bella notizia.
Capisco dal volto di mia madre che ha già intuito cosa passa nella mia mente, e che non prenderemo il triciclo elettrico.
Continuo a contrattare e prendiamo infine quest’altro carrettino a quattro posti, in cui stiamo comodamente seduti. Per una volta possiamo anche permettercela una follia da vip!
Il carrettino inizia la sua folle corsa, impavido. Semafori rossi, segnali dello stop, pedoni, o sensi unici non possono fermarlo. Noi temiamo per le nostre vite, ma in fondo ci vuole un po’ di adrenalina in questo viaggio.
Scendiamo dal carretto dopo il giro delle mura. Mia madre è invecchiata di dieci anni, mentre mio cugino ci ha preso gusto e vorrebbe fare un altro giro. Mia madre lo dissuade, e lui si accontenta di scattare una fotografia al posto di guida, con l’autorizzazione dell’autista.
Macchina privata
Porto la mia famiglia a visitare il grande Buddha di Taiyuan, e opto per prendere l’autobus, in fondo non dovrebbe essere troppo lontano. Dopo aver cambiato un paio di mezzi, l’autista ci dice che siamo arrivati, e ci indica un’auto.
Le porte dell’autobus si chiudono alle nostre spalle, e noi non capiamo bene cosa fare. Il finestrino dell’auto si apre e qualcuno da dentro inizia a gridare. Starà parlando con noi? Una donna e un bambino si avvicinano al mezzo, aprono la porta ed entrano: non era per noi, penso io.
La donna al volante continua invece a gridare qualcosa di incomprensibile senza sosta, e ci guarda. Scende dall’auto e ci viene a prendere. Ci carica sul mezzo con una certa violenza. Probabilmente ci sta rapendo e venderà i nostri organi al mercato nero. Questo è quello che pensiamo.
Ma chi è questa donna, e cosa vuole da noi? L’auto parte e noi non opponiamo resistenza, siamo troppo scioccati per farlo. Iniziamo ad imboccare stradine deserte, e la vita ci scorre davanti rapida come in un film. Le nostre paure saranno fondate? Eppure gli altri due passeggeri sembrano tranquilli. Forse parte del piano di rapimento.
La macchina si ferma, e con fare rude l’autista ci scarica in mezzo alla strada e fa pagare pochi Yuan per il passaggio. Siamo arrivati all’entrata del grande Buddha, senza sapere bene come.
A passeggio per le strade trafficate
Passeggiando per le strade trafficate di Taiyuan vedo Stefano subito a suo agio nel rispondere ai vari “hello” che gli vengono rivolti, farsi scattare fotografie, e persino firmare un paio di autografi, in quanto scambiato per Cristiano Ronaldo.
Stefano è un vero sciupafemmine in Cina, tanto da averlo sentito nominare con il termine di 鲜肉, carne fresca. “Ehi, è di mio cugino che state parlando!”
Mariella, invece, si imbarazza sotto agli sguardi inquisitori e agli scatti “rubati”. Ma ciò che probabilmente la traumatizza di più durante tutta la vacanza è l’attraversamento selvaggio delle strade.
Inizialmente dimentico di non essere una cinese, e che al seguito ho due laowai freschi e innocenti. Guardo rapidamente a destra e sinistra, e mi lancio in mezzo alla strada senza fermarmi, nè guardare mai indietro.
Queste sono le regole di sopravvivenza per l’attraversamento della strada in Cina, non importa se il semaforo sia verde, giallo o rosso.
Quando arrivo dall’altro lato della strada, mi giro e vedo i due fermi dov’erano, non si sono mossi di un centimetro, e hanno il terrore dipinto in viso. Sorrido e ripenso a quando, appena arrivata in Cina, aspettavo che qualche cinese attraversasse la strada per seguirlo, provocando il suo entusiasmo e la sua ilarità.
Aspettano il momento più adatto all’attraversamento, e passano diversi minuti. Quando finalmente mi arrivano vicino mi chiedono se io sia impazzita ad attraversare in quel modo.
Stefano ride e diventa ben presto più cinese di me negli attraversamenti pazzi, facendo lo slalom tra motorette elettriche con tre o più passeggeri, tricicli e quant’altro.
Nonostante Mariella si fosse fatta prendere alla sprovvista al primo attraversamento, impara ben presto una tecnica infallibile per non rimanere indietro: appena vede un attraversamento avvicinarsi, conficca le unghie nel mio braccio e mi tiene stretta, in modo da attraversare insieme. Sfrecciare tra le macchine con una pazza è sempre più sicuro che restare indietro da sola.
A passeggio tra le strade ci concediamo anche dello shopping, e la cosa più curiosa che quasi compriamo è uno scarafaggio da compagnia. Ci perdiamo infatti involontariamente tra le strade del quartiere musulmano di Xi’An, dove ci imbattiamo in accaniti cacciatori.
Stanno attorno a un tombino, e quando mi avvicino per chiedere cosa stiano guardando, sono infastiditi per la distrazione. Mi avvicino quindi alla proprietaria del negozio in fronte che mi spiega che catturano gli scarafaggi che poi lei vende.
Chiedo cosa dovrei farmene se ne comprassi uno. Non capisce la mia domanda, le pare così ovvio. “为了玩儿”, è per divertirti!
Decido che l’investimento è un po’ troppo costoso per qualcosa che posso cacciare da me al prossimo tombino, e mi allontano.
Pasti
Stefano ha messo le cose in chiaro sin da subito: lui non toccherà altro che tonno in scatola appositamente portato dall’Italia e riso bianco per tutta la vacanza. Decido di illuderlo inizialmente, approfitterò del primo momento di stanchezza per iniziarlo alla cucina cinese.
Consumiamo i primi pasti in ristoranti occidentali, o mangiando secondo le sue richieste finché, una sera, danno a me il compito di uscire a comprare la cena, ecco la mia occasione.
Decido che per fargli apprezzare la cucina cinese sarà necessario procedere gradualmente, e torno a casa con riso e spaghetti saltati, e qualche 肉夹馍, gli hamburger cinesi. Tutto sommato apprezzano, e io penso che siamo già a un passo dalle cavallette. Mi sbaglio.
Nonostante non sia riuscita nello scopo di fargli mangiare cose troppo strane, Stefano ha involontariamente messo in bocca una testa di gallina. Vedo ancora la sua faccia impallidire e sputare la testa di gallina nel piatto davanti ai nostri compagni di viaggio, conosciuti per caso in hotel.
Ma se lo sputo di Stefano non desta particolare stupore tra il pubblico, ciò che fa letteralmente impazzire i cinesi è la forchettina di dimensioni Polly Pocket che Mariella tira puntualmente fuori dalla borsa ad ogni pasto.
È la sua compagna fidata, e senza di lei sarebbe morta di stenti, perché si rifiuta per tutto il viaggio di imparare ad usare le bacchette. Subire gli sguardi incuriositi dei cinesi e i loro commenti come 很可爱, “che carina!” è tutto sommato più semplice che mangiare con due stecchi di legno.
Furto
Questo ho sempre ripetuto a mia madre sin dal mio arrivo in Cina: “se c’è una cosa di cui non devi preoccuparti qui, quella è la sicurezza!” pochi giorni dopo il loro arrivo subisco il mio secondo furto.
Mentre la prima volta riconosco di essere stata punita dal karma per avere rubato ciottoline e bacchette, questa volta è del tutto immeritato.
Dopo aver assistito ad uno spettacolo di giochi di luci ed acqua nel parco della Pagoda della Grande Oca Selvatica di Xi’an, con relativa doccia per le misure prese male durante lo spettacolo, decidiamo di mangiare qualcosa in un fast food.
La mamma è seduta al tavolo, e io lascio ingenuamente il mio telefono lì sul tavolo, senza dire nulla e credendo nella buona fede del prossimo. Mi allontano per una manciata di secondi per ritirare l’ordinazione, e al mio ritorno il telefono è sparito. Inutile illudersi di averlo messo da qualche parte, perché il disco mi comunica immediatamente che è irraggiungibile.
Oltre al nervoso per la perdita di tutti i miei dati, di nuovo, la famiglia non sa che senza 百度地图, la versione cinese di google maps, siamo completamente perduti.
Smarrimento del cugino
Superiamo comunque col sorriso le difficoltà, cercando di goderci al meglio questa bella vacanza. Arriviamo quindi a Zhangye, dove la nostra meta principale sono le montagne arcobaleno.
Ci arriviamo dopo un viaggio in pulmino non troppo traumatico, e ci si parano davanti, belle e maestose, le montagne arcobaleno. Stefano si allontana per un momento per scattare un paio di fotografie, e noi non sappiamo che sarebbe stata l’ultima volta che l’avremmo visto. Almeno per il resto del pomeriggio.
Quando si viaggia in Cina bisogna tenere sempre conto che si sarà circondati da folle rumorose di turisti cinesi, specialmente se si viaggia in estate o durante le feste cinesi.
Iniziamo ad incamminarci seguendo il sentiero, perdiamo Stefano di vista per un momento, ed è fatta.
Iniziamo a cercarlo tra la folla ma ci si parano davanti solo folte chiome di capelli neri. Di Stefano non c’è traccia.
Vedo mia madre preoccupata, e le dico di stare tranquilla, che nell’era tecnologica degli smartphone ritrovarsi non sarà certo un problema. Prendo il telefono e digito il numero. Il silenzio, non squilla nemmeno. Provo con il telefono di mia madre e questa volta parte un disco, che dice che il telefono è fuori servizio. Invio quindi un sms che non sarà mai ricevuto, e procediamo nell’attesa.
Il volto di mia madre si fa pallido, e leggo nella sua mente la spiegazione che sta preparando per la sorella, su come le ha perso il suo primogenito, nonché unico figlio.
Decidiamo infine di abbandonare Stefano al suo destino, immaginandolo diventare un eremita che si aggira tra le montagne colorate con un cappuccio sulla testa, e armato del suo solo bastone da passeggio.
Prendiamo il pullman per la prossima tappa, dando un addio spirituale a Stefano, e augurandogli buona fortuna.
Quando lo avevamo ormai dato per spacciato, ci compare davanti agli occhi sorridente e parlandoci delle foto che aveva scattato e della luce del sole che, filtrata dalle nuvole, non era appropriata al paesaggio.
Così, come se nulla fosse successo. Negli occhi di Mariella il panico scompare immediatamente, e appare la rabbia. Vorrei allontanarmi per non assistere alla cazziata, ma so che Mariella non sopporterebbe la perdita della sua guida turistica, e quindi rimango lì buona buona finché la furia assassina passa, e siamo tutti più uniti di prima.
Abbordaggio della madre
Dopo una giornata di stress sulle montagne, decidiamo di prenderci una pausa e sederci a un tavolino all’aperto mangiando qualcosa e bevendo una birra.
Ordiniamo ma il ristorante non tiene birre fredde. Ci consiglia quindi di andare a comprarle nel convenience store proprio accanto.
Io e Stefano ci allontaniamo solo per pochi minuti lasciando Mariella da sola, e andiamo a comprare le birre. Ci facciamo attirare da bevande e dolcetti, e usciamo infine dal negozio con i sacchetti pieni.
Al nostro ritorno al ristorante non posso credere ai miei occhi. A quello che era il nostro tavolo sono seduti una decina di operai, vestiti con tuta da lavoro. Al centro… mia madre. Fumano insieme e, a quanto pare conversano, non si sa bene utilizzando quale idioma.
L’arrivo mio e di mio cugino non scompone gli operai, che invece ci accolgono ed invitano a sedere… al nostro tavolo.
Ci offrono sigarette e qualche bicchierino di bai jiu, e così mangiamo insieme, forchettina mignon sempre alla mano, come vecchi amici. Ma si allontanano delusi quando confesso che mia madre non ha un account Wechat.
Caccia al topo
Dopo l’esperienza di Zhangye subiamo 18 ore di treno lento, e quando arriviamo a Taiyuan siamo distrutti, tutto ciò che vogliamo è stenderci sul letto e dormire per qualche ora.
Apro la porta dell’appartamento, accendo la luce, e mi accorgo immediatamente che qualcosa non va: qualcuno mi è entrato in casa. Controllo immediatamente che ci siano le cose più importanti, che fortunatamento riesco tutte a trovare, e non mi spiego tutto quel caos.
Un biscotto al centro di ogni cuscino, pacchetti di Pavesini amorevolmente trasportati da Stefano fino in Cina squarciati a terra, peperoncini e biscotti sparsi ovunque sul pavimento, semi di girasole aperti e nascosti con cura sotto alle lenzuola.
Dò la colpa a qualche ubriaco che mi ha voluto fare uno scherzo di cattivo gusto, e vado a letto stanca morta, promettendo vendetta il giorno seguente.
Mi sveglio di buon’ora e sono agguerrita. Vado dalla portinaia del mio piano e le spiego che dei vandali mi sono entrati in casa e hanno saccheggiato le mie scorte di Pavesini. Lei mi guarda con compassione, sorride e mi dice che è stato un topo.
Le chiedo se è pazza e se pensa davvero che io non sappia riconoscere la differenza tra il passaggio di un topo e quello di un umano. Annuisce per darmi il contentino ma si rifiuta categoricamente sia di mostrarmi le telecamere di sicurezza, che di cambiarmi la serratura della porta. Mi allontano sconfitta e frustrata.
Anche se non ce lo diciamo apertamente, iniziamo a prendere in considerazione l’idea del topo, dopo aver trovato sparse per casa palline nere che decidiamo non possono essere escrementi.
Un giorno, rientrando in casa, nell’aria aleggia qualcosa di misterioso e sospetto, e un silenzio troppo silenzioso. Accendiamo la luce della cucina, e il colpevole è lì, immobile dietro al frigorifero, a scrutarci con i suoi occhi neri: un ratto di una quindicina di centimetri, coda esclusa.
Tutto si svolge molte velocemente. Mia madre che grida “il topo!”, mio cugino che inizia a urlare come una femminuccia e salta in piedi sul tavolo, io che pure mi faccio scappare un gridolino stridulo e il topo, probabilmente in preda ad un attacco di cuore per le urla di mio cugino, che schizza fuori dalla cucina quasi investendomi, e si dirige a tutta velocità verso il soggiorno.
Esco dalla porta, e vedo con mio grande sollievo che il mio amico turkmeno è stato attirato fuori dalle urla di Stefania, pensando ovviamente che fossi stata io. È perfetto, lui viene dalla campagna e tira colli alle galline d’allevamento per farne il brodo, un topo non lo spaventerà di certo.
E infatti è così. Gli spiego la situazione quasi con le lacrime agli occhi, disperata. Lui mi guarda e sorride, poi dice “comprati un gatto”, e se ne va chiudendosi la porta alle spalle.
A cosa servono vicini muscolosi se poi non vengono a darti una mano nel momento del bisogno? Decido di andarmene a fare un giro, e lascio la mamma chiusa in camera sua, e Stefano a cercare il topo in soggiorno, dove è stato fatto l’ultimo avvistamento.
Quando torno il turkmeno, probabilmente preso da sensi di colpa, è tornato e sta aiutando Stefano a cercare il topo. Quando entro in stanza li sorprendo a parlarsi a gesti, mimando le zampette del topo e la direzione, perchénon hanno una lingua in comune con la quale comunicare.
Nonostante l’aiuto del valoroso amico campagnolo, del topo non c’è traccia. Le nostre vite, dopo un’accurata igienizzazione della casa, procedono alla normalità. Piazziamo una trappola con del formaggio, e una trappola di colla con sopra pezzetti di mooncake, ma il nostro ospite è troppo furbo, e non si farà beccare.
Inizio a fare ricerche, e scopro che l’inquilino precedente ha subito anche lui visite dal ratto: durante un suo viaggio l’intruso ha fatto di quell’appartamento la sua casa, ed ha assunto tutti gli integratori alimentari che l’inquilino teneva. Tra gli altri potassio e magnesio per migliorare le funzioni cerebrali, e proteine per i muscoli del corpo.
La leggenda di un supertopo dai super poteri inizia a diventare realtà, e io ho sempre più paura. Condivido i miei timori con la portinaia, la quale non sembra curarsene molto, ma tappa i buchi nel soffitto con degli stracci logori.
Qualche giorno dopo trovo nuovi buchi nel soffitto: il topo, che verrà poi soprannominato Fatso, mi sta rosicchiando il soffitto di carton gesso per farsi strada nella casa.
La portinaia non sembra capire il mio stato d’animo, ma decide comunque di mettere del veleno nei buchi, e tapparli con dello scotch.
Il mio collega William, qualche giorno dopo, sentirà puzza di morte provenire dal suo impianto di riscaldamento.
Potrò aver vinto la battaglia, ma la guerra è appena iniziata: nuovi buchi si diffondono come macchie d’olio sul soffitto. Finalmente il manager dell’edificio dà l’ok per rifarmi il soffitto con materiali più resistenti (una lastra di alluminio spessa mezzo millimetro, che si solleva ad ogni folata di vento).
Ma io ancora non sono tranquilla, e continuo a lamentarmi finché il personale dell’ufficio, stanco di ascoltarmi, approva il mio trasferimento al piano di sotto, dove vivo tutt’ora.
Mio cugino si rilassa, e si diverte a prenderci in giro, non sapendo che il topo aveva fatto la tana proprio nel cassetto su cui lui appoggia la testa per dormire, questo fatto lo scoprirò solo in seguito al trasferimento al nono piano dove, tutt’oggi, posso sentire le zampette di Fatso, o del suo fantasma, passeggiare in tutta tranquillità nell’impianto di riscaldamento.
Contrattazioni al mercato della seta
Per la famiglia è ora di lasciare Taiyuan per andare a Pechino, da dove partiranno per tornare in Italia. Io mi sento abbandonata al mio destino, ma ho poche alternative. Li accompagno nella capitale dove ci concediamo dello shopping terapeutico al mercato della seta perché, diciamocelo, ce lo siamo proprio meritato.
Le signorine dall’aria innoqua che lavorano nei negozi sono in realtà delle feroci bestie che ruggiscono al nostro passaggio, in ogni lingua: italiano, inglese, russo, arabo e spagnolo.
Cercano con una certa arroganza di attirarci nei loro negozi per spennarci, ma noi rifiutiamo con gentilezza, sappiamo già quali sono i nostri target.
Pelletteria
Ci dirigiamo in un negozio di pelletteria il cui cartello esposto fuori dice chiaramente che è vietato contrattare. Mariella si rilassa, odia le contrattazioni, ma non ha ancora ben capito come funzioni la Cina.
Stefano sceglie la valigia, e mi lascia lavorare. Io inizio a contrattare, ma la ragazza, magrolina e dall’aria debole, è un osso duro.
Decide di puntare tutto sulla qualità: e io le rispondo che sarà senz’altro falsa. Non crede alle sue parole e se ne va. Mi sento quasi un pò dispiaciuta, quando la vedo tornare armata di accendino. Vorrà mica darmi fuoco?
Prende la valigia e inizia invece a dare fuoco a quella. “Lo vedi?” mi dice con quella purezza di chi in realtà ti sta fregando. “Non prende fuoco, è un materiale speciale!”
Non vedendomi convinta decide di giocarsi il tutto per tutto e punta al cavallo di battaglia. Tira fuori la maniglia estraibile, e la tiene ben tesa con una mano, sospesa a mezz’aria. Poi inizia a saltarci sopra con entrambi i piedi. Sono sconvolta, ma allora è davvero resistente!
Non è il momento di farsi abbindolare. Anche io gioco il mio cavallo di battaglia. Scambio un paio di parole in italiano con mia madre in modo che la ragazza non capisca, e poi la guardo con innocenza dicendole in cinese: “妈妈觉得太贵了!”, la mamma pensa che costi troppo. La mamma resta ignara di quello che sta succedendo sotto ai suoi occhi.
La commessa non si permetterà certo di mancare di rispetto ad un’adorabile signora sulla sessantina.
E invece mi sbaglio. Si gira verso mia madre e le dice in un italiano perfetto “mamma taccagna!”.
Mia mamma mi guarda senza capire cosa stia succedendo, alza gli occhi al cielo e si allontana.
Ottica
Nel guardarmi, anche Stefano ha affinato una sottile dote per la contrattazione. Nel negozio di occhiali decido di lasciarlo libero, alla sua prima vera contrattazione, e devo dire che il ragazzo ci sa fare. Punta un pò al suo fascino alla Cristiano Ronaldo, e riesce ad abbassare il prezzo niente male.
Alle fine dice alla ragazza: “se mi abbassi ancora un pò il prezzo, ti lascio un souvenir”.
Vedo la ragazza sciogliersi di fronte a lui, e concedergli un ulteriore sconto. In cambio del sacchetto con dentro gli occhiali nuovi di pacca, Stefano le lascia una moneta di euro, e lei è felice.
Sembra impossibile, ma a distanza di un anno dal loro incontro, la commessa del negozio di occhiali mi riconoscerà nel suo negozio, chiedendomi se ero la cugina dello 帅哥 italiano, il bel ragazzo.
Mi mostrerà gli stessi occhiali che aveva comprato lui, e mi chiederà se ha messo su un pò di peso perché era un pò troppo magro. Incredibile che si ricordi tutto così bene!
Commiato
Acquisti e regali finiscono in valigia, ed è ora di tornare in Italia. Andiamo in aeroporto, e qui ci mettiamo tutti e tre in coda per ritirare le carte d’imbarco. Mi piacerebbe partire con loro!
Ecco il nostro turno. Stefano presenta il passaporto, e gli viene consegnata la sua bella carta d’imbarco doppia, fino a Milano. Mia madre consegna il passaporto e le viene risposto che non è possibile darle una carta di imbarco doppia fino a Milano, e che a Vienna dovrà rifare il check in.
Mia mamma si rifiuta.
L’assistente di terra non sembra essere interessata al suo rifiuto. Ribatte che non è colpa sua, e che 没有办法,una delle frasi più utilizzate in Cina, non c’è soluzione.
La mamma tenta tutte le carte: prima si arrabbia, poi mostra le lacrime, ma nulla da fare. Quella donna dietro al banco è insensibile a qualsiasi tipo di emozioni.
Dico a mia madre di non preoccuparsi, e che se anche non parla inglese, riuscirà a trovare qualcuno che la aiuterà, nonostante i tempi siano in effetti un pò strettini. Peggioro solo la situazione.
Mia mamma mi gira le spalle e se ne va insieme a mio cugino, promettendomi che non tornerà mai più a trovarmi.
Conclusioni
In Cina raramente le cose vanno come ti aspetteresti, ma è proprio questo il suo bello. È un paese pazzesco tutto da scoprire, e dove imparare a destreggiarsi tra mille imprevisti.
Dopo aver raccontato tutte le nostre disavventure, però, devo raccontare anche un’altra verità: dopo un breve periodo di disintossicazione, Mariella e Stefano mi hanno confessato che non vedono l’ora di tornarci!
Oltre ai treni lenti, agli hotel e al topo, Stefano e Mariella porteranno sempre nel cuore l’adorabile guida che ci ha svelato tutti i segreti sull’esercito di terracotta, il maestro di cerchietti, che ha insegnato a Stefano questa sottile arte che consiste nel prendere i cerchietti lanciatigli con la testa, facendoli atterrare sul collo (è uno sport davvero, ha anche vinto un premio ed è stato menzionato sul giornale!)
Non potranno mai dimenticare la cerimonia del tè insieme al nostro amico e la calligrafia che ci ha regalato, la chef che ha cucinato gli spaghetti di fronte ai nostri occhi mentre mangiavamo un hot pot fumante, o la signora che ha scritto i nostri nomi sui chicchi di riso e dedicato una poesia.
Come dimenticare poi la cena a base di kaoya offertaci da Matteo, il portinaio cinese dell’università in cui avevo precedentemente studiato, e che porta un nome italiano perché non pensava fosse giusto che io avessi un nome cinese, ma lui non ne avesse uno italiano?
Oltre alle persone stupende che abbiamo avuto il piacere di conoscere, ci resteranno impresse nella memoria immagini di paesaggi spettacolari.
La Cina è un posto folle ma meraviglioso, con una ricca cultura tutta da scoprire. E se ti serve una mano per organizzare il viaggio, puoi sempre chiedermi un consiglio. Ti prometto che sarà indimenticabile! Vuoi la prova? Chiedi a Mariella e Stefano!
Photo Credits: TAIYUAN-JINCI-4 by Mark爱生活
leonardo dice
articolo interessante. Mia madre e la mia famiglia mi verranno a visitare per Pasqua ma non gli giro questo articolo altrimenti non verranno più!
Visto che anche noi andremo a Xi’an e parlavi nell’articolo di una guida se hai qualche consiglio da darmi (magari per una guida in italiano visto che mia madre non parla inglese o in inglese così faccio la traduzione) ti ringrazio molto.
Grazie. Leonardo
Giorgia dice
Ciao,
se non lo hai già fatto ti consiglio di sbirciare questi due link:
http://www.saporedicina.com/viaggio-in-shaanxi/
http://www.saporedicina.com/viaggio-a-xian/
Noi abbiamo passato solo 2 giorni a Xi’An e abbiamo visto Torre della Campana, Torre del Tamburo, quartiere musulmano (meraviglioso, vale davvero la pena di perdercisi passeggiando per le strade) con Moscea, Grande Pagoda dell’Oca selvatica e esercito di terracotta.
Marco dice
onestamente io invece trovo un certo autocompiacimento della serie “vi faccio vedere qual’e’ la Cina vera e dimenticatevi tutti gli agi a cui voi ricchi occidentali siete abituati” come se si potesse dire di aver vissuto veramente in Cina solo se si e’ dormito in mezzo agli scarafaggi o ci si e’ fatti 20h in un treno scomodissimo invece di 2h in aereo.
Veramente i tuoi amici ricorderanno quello che pensi tu e non che hanno vissuto in condizioni igieniche precarie senza alcun valido motivo?
Jappo dice
Ciao Marco,
spesso mi trovo d’accordo con i tuoi commenti ma questa volta non così tanto. Se vogliamo, sono rimasto anche io perplesso del fatto che l’autrice non abbia voluto far stare mamma e cugino nell’hotel di lusso cui erano arrivati per sbaglio, ma a parte quello mi pare che l’esperienza che hanno fatto risulta abbastanza normale quando si parla di Cina
Marco dice
probabilmente avendo una decina, abbondante, di anni in piu’ di voi il mio punto di vista e’ diverso.
A 20 anni si sopportano meglio certe cose che non a 40 o 50 ma onestamente non mi sognerei mai di prenotare un albergo dove si corre il rischio di non avere nemmeno il bagno in camera nel caso in cui un amico o un parente dovessero decidere di venire a trovarmi.
Perche’ diciamolo chiaramente che se e’ vero che pensare di programmare tutto perfettamente in Cina e’ quasi un’utopia e’ anche vero certe cose ti capitano solo se vuoi che ti capitino e te le vai a cercare…
Inoltre la vedrei come una mancanza di rispetto verso persone, magari non piu’ giovanissime, che si son fatte 9k km e han speso un bel po’ di soldi per venire a trovarmi.
Non dico che occorra spendere migliaia di rmb per prenotare 5 stelle internazionali ma con anche solo 2/300rmb a notte si trovano soluzioni piu’ che decorose (un banalissimo 7days-inn o hastings che non e’ certo il four seasons ma almeno sai che uno standard minimo lo trovi)
Idem per il cibo, se vedo che una persona non si adatta nemmeno a provare di usare le bacchette mi adeguo e cerco di trovare qualcosa che si adatti ai suoi gusti non continuo con pervicacia a cercare la bettola o lo street food perche’ se non provi il tofu puzzolente con quel suo odore acre che ti fa venire i conati di vomito non puoi dire di essere stato in Cina.
Capitolo spostamenti: che senso ha perdere 1gg in un treno sporco e strapieno quando puoi fare tutto in 5/6h usando l’aereo ed avendo piu’ tempo a disposizione per girare?
quelle 12h passate scomodamente che valore aggiunto danno al viaggio ad una persona che ha un tempo limitato da trascorrere qui (un conto e’ viverci anni e a quel punto perdere un giorno non e’ importante)
insomma la Cina “vera” poteva essere un intermezzo di magari uno o due giorni ma mai mi sognerei di organizzare un’intera vacanza in questo modo ad una persona che non e’ mai vissuta in Cina e non e’ detto abbia lo spirito di adattamente giusto per un’esperienza del genere.
Furio dice
Marco, secondo me dipende molto dal carattere delle persone in questione, indipendentemente dall’età (e a patto di stare bene fisicamente).
C’è chi si adeguerà anche a 60 anni e ricorderà sempre le disavventure in maniera positiva. C’è invece chi una roba così non la sopporterebbe nemmeno a 30 anni (la mia ex, ad esempio)!
Marco dice
leggendo anche solo la prima parte del racconto:
“Dall’espressione sul suo volto, mi rendo conto che non è stata una buona idea”
“Mia madre sclera”
“Mia madre si lamenta dell’hotel, e io le rispondo che questo sarà probabilmente il migliore che le capiterà durante il suo soggiorno cinese. Mi risponde con una risata e capisco che non mi ha presa sul serio.”
“Vedo mia madre iniziare a porsi alcune domande sulla veridicità della mia esclamazione che l’hotel di Pechino sarebbe stato il migliore
mia madre decide inizialmente di rifiutarsi di entrare nella stanza … e ci segue con lo sguardo ormai deluso e tradito.”
questo solo per la parte alloggi, quelle spostamenti e cibo non differiscono di molto, capisci perche’ secondo me c’e’ una sorta di autocompiacimento “vi faccio vedere io come si vive in Cina”?
Ripeto io non mi sognerei mai di far vivere un’esperienza simile ad un amico che minimo ha speso 6/700 euro (tra aerei, visti, spostamenti, etc) per venire a trovarmi e non per questo significa che affitterei camere solo in 5 stelle occidentali o viaggerei solo in prima classe sui bullet train…
Giorgia dice
Ciao Marco,
non abbiamo solo viaggiato scomodamente su treni lenti, abbiamo preso anche voli interni e treni veloci, ma descrivere quella parte del viaggio, non era l’intento dell’articolo.
Come ho scritto, ho dovuto prenotare il sedile sull’ultimo treno lento, perchè non sono riuscita a trovare altre soluzioni, essendo tutto esaurito.
Stessa cosa per gli hotel, ho cercato soluzioni economica ma dignitose, ma quello che si trova poi all’arrivo non è in fin dei conti assicurato, nonostante quello che è scritto sui siti internet degli hotel.
Siamo stati in ristoranti internazionali, ristoranti di buona qualità, e anche bettole.
Per quella che è la mia esperienza, la Cina è tutto questo, mescolato insieme, e non la si può ridurre ad altro. L’intento dell’articolo era quello di presentare in chiave divertente alcuni aspetti della Cina che, per chi non ci è mai stato, possono essere curiosi. Ma con le conclusioni mi sembra evidente che ho voluto dire che la Cina non è solo quello.
Onestamente, mi trovo soddisfatta del viaggio che ho organizzato, e anche la mia famiglia lo è stata. Sono stati felici di vedere posti che sono solitamente esclusi dai tour tradizionali, anche se hanno dovuto sudare un po’ per raggiungerli. E se si sono lamentati di qualcosa, sono stati proprio quei propri tour che abbiamo fatto tramite agenzia turistica, rigorosamente per stranieri.
A presto!
Giorgia
Jappo dice
ma questo articolo è un CA-PO-LA-VO-RO!!!
Tanto di cappello!
PS fra due giorni torno a Pechino dopo un’assenza di quasi due mesi, inframmezzata solo da una breve tappa di duo giorni in cui ho scoperto avere l’ennesimo topo in casa. Vedremo come me la caverò questa volta. La prima volta andò così: http://www.abcina.it/2014/06/30/ospite-indesiderato-storia-dellorrore/
-Jappo
Furio dice
haha ci ho combattuto anch’io, ne ho parlato in uno dei primi articoli 20-30 articoli di SDC: http://www.saporedicina.com/i-ratti-son-tornati/
Jappo dice
ahah, bellissimo articolo! Non l’avevo ancora letto!
Furio dice
: )
Giorgia dice
Dopo i vostri due racconti probabilmente avrò di nuovo bisogno delle pastiglie per dormire che mi ha dato la farmacista dicendomi “tranquilla, sono 100% naturali. Mezz’ora e sei stecchita!”
Furio dice
: )))