Spoiler Alert: Quest’articolo è estremamente esplicito e contiene un tasso di sarcasmo non indifferente. Se, per qualsiasi motivo, dovessi sentirti offeso (o offesa) allora ti consigliamo il Manuale delle Giovani Marmotte : ).
Io l’avevo avvisato, Alex. Non c’erano dubbi perché ero stato chiaro e perentorio e, proprio mentre mi trascinavano via in quattro, io ribadivo “Te l’avevo detto mate, ti avevo chiesto di lasciarmi a casa!” mentre tra il frastuono e gli sguardi esaltati riesco a malapena a percepire un “Hai ragione man, non pensavo.”
È un venerdì come un altro nella Perla d’Oriente: differente da tutti gli altri. Avevo pianificato una triste serata in solitaria che alla sesta Suntory mi aveva spinto supino sul divano, scalzo ad un piede e con un filino di bava che colava dall’angolo sinistro della bocca impastata. Lo sguardo vuoto e nero non si era neppure accorto della presenza di Alex, appena rientrato in casa.
Credo che non potesse sopportare di vedermi in un modo così patetico, lo faceva per sé e per la sacralità del venerdì notte. Disse parole precise “Vedrai che uscirai e ti sentirai meglio, non posso lasciarti solo. Siamo al trentunesimo piano, potresti gettarti di sotto. Ah, l’alcol è come sempre free”.
Impietosito dalle continue richieste e dubbioso sulle effettive probabilità di planare nella hall al primo piano chiedo due minuti per sistemarmi. Prepararmi vuol dire sciacquarmi i denti, esibire un’espressione disgustata per l’intruglio di pasta di dentifricio d’importazione e birra scadente, lavarmi le ascelle, lasciar scorrere l’acqua sulla mia testa, fissare il mio sguardo vuoto, maledirmi, indossare una camicia stirata abbottonando diagonalmente ogni bottone all’asola errata e promettere di fronte a Dio di non peccare.
Pochi minuti dopo in un taxi verde che sfreccia per le autostrade di Pudong la testa si svuota e le mie promesse sono solo tracce dei lampioni che scorrono sotto il peso delle nostre anime.
Fra tutti i posti dove trascinare un laowai ubriaco e in depressione decidono di sbattermi al Fusion, dicono tutti “C’è alcol gratis, è gratis tutto”.
Io odio i club, mi fanno stare male, odio la gente dentro, le luci che mi accerchiano e le persone dietro al baracchino dell’appendiabiti che ti sorridono disgustati speranzosi tu abbia lasciato un orologio d’oro della Seconda Guerra Mondiale nel taschino. Era come portarmi all’inferno ma l’alcol era gratis e, nonostante quando l’alcol è gratis è per certo “fake“, ne poteva valere la pena.
Io l’avevo avvisato, Alex. Mi avevano accerchiato in quattro e mi trascinavano nelle segrete del club. Io mantenevo lo sguardo ebbro e fiero ad ogni “No problem, dude” e mi lasciavo deportare sottobraccio.
Pian piano il suono dei bassi si fa più tenue e posso percepirne solo le vibrazioni dritte sulla punta della lingua, poi mi gettano su una panchina e si moltiplicano. Assisto ad un processo di meiosi di bodyguard, come bolle di sapone che fanno plop i cloni appaiono di fronte ai miei occhi, alcuni ridacchiano, altri se ne stanno a braccia conserte, altri ancora aspettano solo di fare il culo a questo laowai, uno solo mi fissa dietro i suoi occhiali tenendo in mano un POS per carte di credito.
Per fortuna sento il fiato corto dei miei compagni d’avventura avvicinarsi, discutono col boss, trattano alzando la voce e sbuffano a turno come locomotive inferocite.
Dico “É il partito” quando poi aggiungo “metteteci la deflazione dello Yuan”.
Poi m’incazzo ed il fatto che sia sbronzo oltre misura non aiuta, ma sono grossi ed io così codardo che neppure riesco ad immaginare di mettermi muso a muso con loro. Almeno non sono solo, ci sono Alex e Gloria, la mia babysitter; poi ci sarebbero anche un altro paio di persone che compaiono e scompaiono a seconda del pezzo messo su dal DJ, ogni tanto chiedo loro scusa, ogni tanto no.
Noi parliamo, trattiamo, discutiamo di diritto internazionale invitando i carcerieri a non creare un pericoloso precedente ma capisco che devo pagare. In quel momento inizio ad immaginare lande desolate di rieducazione culturale nell’entroterra, fisso una grigia cella di cemento armato e riso bianco ogni santo giorno, cerco di figurarmi l’espressione dei miei genitori in diretta a “Chi l’ha visto?”, mi immagino ripetere in un angolo “Che cento fiori fioriscano” all’infinito e sputacchiare accanto semi mal digeriti. E tutto per cosa? Per una misera bottiglia di Champagne.
“C’è alcol gratis, è gratis tutto” avevo voluto capire ed al terzo intruglio di vodka finta e succo acido di mirtilli avevo deciso di dare una svolta alla serata. Ero appoggiato ad un grosso pilone quadrato alto poco più di un metro e mezzo e non c’era neppure il bisogno di spostarmi, quel pilone era l’angolo di un salottino privato con divano e quattro sfigati con fighettine annesse.
“Beh, a me non frega un cazzo” ho detto girandomi e tirando fuori la bottiglia dal secchio colmo di ghiaccio. Lo stroboscopio decorava il momento emanando luce riflessa dai cubetti di ghiaccio ed ogni goccia d’acqua che colava dal fondo della bottiglia diffondeva un prisma che irradiava il mio volto felice per la svolta sociale, per la mia vendetta sul mondo nel nome della gratuità dell’alcol.
Con un unico fluido movimento stappo la bottiglia ed il suono sordo diviene l’urlo di battaglia di tutti noi. Anche a chi non interessa sente di essere parte di qualcosa più grande, di qualcosa di giusto, della santificazione dell’esperienza umana. A me viene il cazzo duro al primo sorso di bollicine quando mi sento un eroe decadente, il promotore di un socialismo alcolico che ci fa alzare a tutti le mani e dire un grosso “Yep” e poi un “Hurrà” e poi tanti clap clap e ancora degli “Yeahhhhhh”.
Penso a quei concitati momenti quando poi mi sbattono su quella panca scomoda. Allora dico “Accetto il mio destino” porgendo i polsi in attesa di farmi ammanettare e magari incappucciare verso una destinazione ignota. Sono pronto a pagare per il mio peccato.
Il tizio con gli occhiali che per statura sembra il più coglione è il capoccia e scuote la testa nervosamente. Gli si formano un paio di rughe rigide che gli tagliano le guance quando irrigidisce la bocca per urlare “No” e poi ancora “Sono 1500 Yuan, paga ora, paga ora. Paga contante o carta? Paga ora!”.
È lì che tutto diviene questione di etica, di correttezza e di soddisfazione personale, e quindi perdo le staffe. Dov’è la prigionia, la punizione per un reietto sociale? Tutto è mercificazione e materialismo? E poi, soprattutto, sono fottuti mille e cinquecento cucuzze del cazzo! Io non glieli do e ringhiando lo metto in chiaro.
Un carceriere alto e smilzo con lo sguardo docile mi da una pacca sulla spalla “Relax, sir” e mi porge una flûte, mi fa l’occhiolino e una smorfia con la bocca “Relax, bottle is yours”. Il tizio con gli occhiali mi ordina di trovare i soldi e ribadisce che la bottiglia l’ho stappata, slinguazzata e la pago, ma è mia.
Incredulo mi lascio cadere a terra seduto sul culo, ho un’espressione stranita. Mi lasciano solo e rimangono soltanto due tizi a sorvegliarmi, lo smilzo e il pelato che mi versa un bicchiere e me lo porge. Non abbiamo abbastanza soldi e non accettano sconti. L’unica soluzione è chiedere a Gloria di tornare al residence e frugare fra le mie mutande dove tengo nascosta la carta di credito. La cosa mi fa sentire tremendamente in colpa perché la costringo a passare una nottata in taxi per tornare a riprenderci; ma Gloria è un tesoro, sa che sto di merda, sa che non mi lasceranno andare via e, se non pago, useranno i miei peli del culo come componenti dei processori degli iPhone giù nelle fabbriche a Shenzhen.
Bofonchio roba del tipo “Io l’ho fatto per tutti, per bere tutti. A me manco piacciono le bollicine, mi fanno allergia! Lo Champagne, poi, mi da la nausea”. Quel venerdì notte passo ore su quella panchina, fra frustrazione e noia di vivere.
In quella notte attraverso tutte le fasi del malato terminale:
Rifiuto: la grande fuga
Non che fossi mai stato un genio del crimine, io, e credo neppure Alex a conti fatti. Dato l’assioma derivato da ogni film e telefilm, giungemmo alla conclusione che doveva esserci una seconda uscita, dovevamo perciò creare un diversivo.
Beh a me scappava da pisciare: ecco trovato il piano. Il fatto che non fossi un mago del crimine si palesò quando impedirono ad Alex di seguirmi ed entrambi i miei carcerieri mi seguirono fino al pisciatoio standomi a venti centimetri di distanza. Come potevo non aver calcolato una cosa del genere, in fondo l’unico prigioniero ero io!
L’uscita effettivamente c’era, sentivo il suono più deciso della calca e la vedevo alla mia sinistra oltre un corridoio lunghissimo ma non ci sarei mai arrivato senza trovarmi un colpo nella schiena (si, ne sono proprio convinto).
Perché poi, dato un profondo senso del pudore, non riuscivo neppure a svuotarmi. Sentivo il loro alito sulle orecchie, rabbrividivo e mi bloccavo. Cupo ritornai al mio posto. “Gli avrei tirato un pugno ad uno mentre ti occupavi dell’altro” sentenziò Alex, “No way, mate”. Non eravamo fatti per quello, non ci chiamavamo Bonnie e Clyde.
Collera: kitemmuort
Sembrava l’eternità ma doveva essere passata solo una quarantina di minuti. “Devi pagare, come paga? Carta? Contanti? Tu paga, paga!” mitraglia ad intermittenza il piccolo tizio con gli occhiali sicuro fra due gorilla in smoking.
Io di contro vorrei delicatamente spaccargli la faccia, urlargli shabi qualcosa e pisciargli addosso una volta steso, mischiando il mio piscio al suo sangue. Ma gli sorrido. “I soldi arrivano, baby” devo dire con sicurezza ed arroganza perché se voglio reggere questo gioco psicologico devo tenermi le palle in mano e stringere trattenendo il respiro. Se soccombo mi trovo a raccogliere col cucchiaino il mio orgoglio giù per Shanxi Road.
“I tuoi soldi del cazzo stanno arrivando, sono sul taxi adesso” gli ritorno dritto sul muso, tanto non mi importa di nulla se non di Dio. E non ci credo in Dio. Gli dico soffice “Kitemmuort” e stampo un ghigno da mezza sega sulla faccia. Almeno perde un po’ della sua freddezza, posso vedere che la mano trema mentre agita il suo POS e ripete nervosamente “You pay! You pay, you’re gonna pay!”. Mi risiedo e mi godo il mio calice di bollicine, in fondo sono il re del più esclusivo dei privè, il carcere del club.
Disperazione: corruzione del blogger dispettoso
Dov’era finita Gloria? Eravamo forse dentro da qualche ora? La sensazione di stare dentro il guscio di una lumaca era dovuto al finto alcol buttato giù un paio d’ore prima, mi sentivo cullato da un immenso vortice che si stendeva come un lieve velo di tristezza. Ci mettiamo in cerchio e raccogliamo i soldi che abbiamo, ma rischiamo solamente di arrivare ad 800 Yuan.
Provo a parlare con lo smilzo e col pelato. Lo smilzo ha una figlia, mi racconta, e sogna di mandarla a studiare fuori, col pelato provo a fare presa dicendogli che andiamo dallo stesso parrucchiere. Lui ride di gusto ma scuote le mani e dice no, non può. Il boss guarda tutto, e con lo sguardo mi fa notare le telecamere piazzate un po’ ovunque.
Non possiamo parlare quindi scriviamo sui nostri telefoni, botta e risposta, io alzo sempre l’offerta e praticamente mi offro di pagare gli studi alle loro prossime generazioni. Potrebbero incassare dei soldi facili e tenerli solo per loro, tornare a casa e comprare dei fiori alle loro mogli. Potrebbero, ma rifiutano. Il rammarico mi aggroviglia lo stomaco quando realizzo di aver beccato gli unici buttafuori con etica di tutta la costa, dimmi cosa ti ho fatto di male, Dio? In quel momento abbandono ogni barlume di lucidità e perdo il controllo, mi butto in ginocchio e li supplico: getto i centoni ai loro piedi, li raccolgo e spaiati li piazzo sulle loro ginocchia.
“Sono pentito, vi chiedo scusa. Non so cosa mi abbia preso, ma lasciatemi uscire da quella porta!”.
Rispondono sempre allo stesso modo, indicano le telecamere e rispondono solo a gesti. Dov’è Gloria? Non resisto un minuto di più in galera, comprendo mio malgrado che il carcere duro non fa per me. Le bollicine vanno giù per la gola e sciacquano il mio malessere quando sbotto e urlo allo smilzo “Tu non sai chi sono io, sono un blogger famoso”, talmente idiota come scusa che perfino Alex si riprende dal torpore e mi supporta “Nel mondo del web è una personalità!”, è un’onda d’urto il mio coraggio “Una mia recensione negativa su Trip Advisor può distruggervi il locale!”.
Ed e lì che il traduttore fa cilecca, non capiscono una parola della mia minaccia. Hanno gli occhi curiosi, cos’ha detto il laowai? Tu l’hai capito questo qui? “Repeat, sir”. Mi riempio il calice ormai stanco, a me neppure piace lo Champagne e lo dico allo smilzo, dico anche che sono metà francese e giuro di non aver mai sentito prima il nome della cantina. Ribadisco che secondo me è una truffa e non sono vere bollicine.
“Sono francese bon dieu!”. Lui si fa una risata e gli occhi gli si chiudono come due trattini. Ogni mio tentativo ci fa ridere tutti di gusto, sembro una caricatura in un film di Stanlio e Ollio. Delirando finiamo a farci selfie, le foto sono uno spettacolo quando le riguardiamo e ci porgiamo auguri reciproci alle famiglie. Di dove sei? Che lavoro fai? Ah bello, ti piace il calcio? Ma soprattutto dove diavolo è finita Gloria? Questa volta se lo chiede anche lo smilzo.
Patteggiamento: il mio avvocato cinese
Intanto ho rotto un bicchiere e me ne hanno portano uno nuovo, mi trattano da sir. Un sir senza soldi e con l’anima sbronza di bollicine, vodka e mirtilli marci. La panchina ha preso la forma del nostro culo e dico ad Alex che dobbiamo svignarcela “Che ci stiamo a fare qua? Scusa mate, sto una merda, dovevi lasciarmi sul divano a commiserarmi. Mi bastava l’amore incondizionato del mio divano e qualche Suntory scadente”.
Lui neppure mi ascolta che sta chiamando il nostro problem solver ed amico Yang “Frega un cazzo che stai dormendo, senti qua,” gli spiega la situazione nei dettagli “Dì che sei un avvocato, parla di leggi, dì qualcosa sull’ambasciata, cazzo dì qualsiasi cosa!”
Se ne stanno al telefono per un quarto d’ora buono e capisco subito che l’idea non funziona: “Devi pagare, tu paga e esci. Mi spiace, non posso fare nulla”. Ho come l’impressione che Yang inizi a parlare come il boss con gli occhiali, che bell’avvocato di merda abbiamo assunto confido ad Alex che annuisce.
Ogni mio tentativo diventa sempre più audace ma finisce con lo smarrire sempre più pezzi della mia dignità. Ogni volta che m’avvicino alla porta, questa notte mi rigetta sulla panca di legno, con la schiena appoggiata al muro e la camicia stropicciata che se ne sta mezza dentro e mezza fuori dai pantaloni. Un po’ come me, un po’ dentro ed un po’ fuori.
Depressione: non rimorchio neppure una puttana
Un défilé di prostitute ci desta del sonno, io e Alex addormentati schiena a schiena ci ricomponiamo. Mi imbarazza starmene lì seduto con una decina di prostitute accanto e quando sono imbarazzato faccio cose stupide. “Ciao, come mai qui?” che bella domanda idiota “Ti va dello champagne? Tanto ormai l’ho pagato!”
Lei neppure mi guarda negli occhi, posso perfino vedere l’espressione indifferente del suo sguardo strizzare disprezzo ad ogni battito di ciglia. Volevo solo essere gentile, io. Starmene lì seduto per ore accanto ad altre persone e non fare due chiacchiere mi pareva maleducato e ci eravamo stufati delle bollicine giù per la gola. Le prostitute se ne stavano composte e disgustate, sistemandosi le gonne corte ed i push-up.
Shanghai preferiva chi vendeva il corpo a chi vendeva l’anima, l’avevo capito in quell’istante fra un sorso di Champagne e un tuffo nei miei pensieri. “Com’è che ci sono le puttane qui?” s’indiavola Alex “Avete le puttane nel locale, chiamiamo la polizia adesso. Facciamo un casino che neppure abbiamo cominciato!”
Senza perdere tempo come sono arrivate vengono fatte andare fuori accompagnate dallo smilzo. Di nuovo un défilé di puttane tristi e disgustate, ognuna a mandare faccine su WeChat e scrivere note su come la loro vita sia noiosa e gli uomini in carcere brutti e poveri. L’amore mi pareva tutto riassunto in quell’immagine.
Dopo svariate ore finalmente entrò Gloria il cui sorriso aprì le porte del paradiso a noi peccatori in purgatorio. Anche lei aveva avuto la sua piccola epopea in taxi da raccontare ma era qui ora, con la mia carta di credito nera, dello stesso colore dell’umore del tizio basso con gli occhiali che subito si era palesato, sempre protetto dai due gorilla. “You pay, now. Pay. Now. Pay. Pay. Pay now. You now.”
Con gli omaggi della casa mi lasciano la bottiglia e di risposta abbraccio lo smilzo ed il pelato a cui auguro fortuna e prosperità alle famiglie. Soprattutto li ringrazio per la gratitudine elogiando la loro complessa moralità.
Purtroppo però l’odore della libertà sa di brodo marcio. Non ho più un soldo e quando apro il portafoglio mi prende una mezza crisi di panico. Ma non è questo il momento, da uomo libero pretendo il diritto di cancellare i miei pensieri. Faccio strada e mi getto nella bolgia, l’unica musica che sento è la trachea che tracanna metà bottiglia alla goccia. Dall’alto mi piove addosso una roba luminosa e tamarra che agito come un immenso fallo. La testa gira troppo quando improvviso un headbanging degno del miglior concerto dei Pantera.
Appoggio la bottiglia alle mie spalle, bella dritta sul palco, mi giro intorno e vedo Alex infilare la lingua nella bocca di una ragazza che lo aggroviglia come una piovra, poi lo lascia e Alex tonfa a terra come un corpo senza vita, incrocia le gambe e lascia cadere la testa in avanti. Sembra in preghiera, un bonzo in meditazione nel mezzo di un club di Shànghǎi. Fra la folla accesa c’è lui esanime, come tutti poi del resto.
Vedo Gloria che è esausta e continua a gettarmi sigarette in bocca sperando che non perda del tutto il lume della ragione, queste luci mi danno alla testa e digrigno i denti alle persone. Faccio per afferrare la mia bottiglia e il movimento va a vuoto perché la mano non pesca nulla. Mi giro e non c’è più nulla. Dove stava la bottiglia c’è un vuoto d’aria come quello che mi prende in quel momento.
La sigaretta me la risucchio e la faccio salire dritta fra gli occhi, poi la butto fuori maledicendo il mondo, Shanghai, il tizio con gli occhiali che mi passa accanto, Alex che prega, Gloria che mi prega, io che faccio schifo, io che voglio l’amore, il fiume Li che è troppo lontano, maledico ogni singolo martedì della settimana, il mio capo, le equazioni di secondo grado che ho appena imparato a fare, le puttane, le emoticon, le bollicine, Dio, spergiuro sulla mia vita ed i miei fallimenti e sulla dannata scelta inopportuna di avermi tirato giù dal mio divano. Avevo chiesto solo quello in fondo, “Lasciatemi sul divano”.
Mi calmo. Inspiro. Espiro. Gloria mi fissa, “È tutto ok” le dico. Però mento ed esigo vendetta, nessuno ruba la mia bottiglia. Le sorrido, le sorrido di gusto quando le indico spingendo in avanti il naso una bottiglia di Champagne alle sue spalle. Puzza di déjà vu. Anche lei sorride, forse di paura o di follia ma questo non lo saprò mai.
Sorridiamo entrambi perché qui, nella Perla d’Oriente, anche la notte ha la data di scadenza. Tutti sorridono, io ladro in depressione, Gloria e le sue sigarette ed Alex svenuto in preghiera in mezzo alla gente che ci balla attorno, noi sorridiamo. Noi e forse tutto il resto di questa fogna, ma questo noi non lo sapremo mai.
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Angelo dice
Racconto delirante come possono essere I pensieri do uno ubriaco perso.. :D non male cmq
Marco dice
che poi io non ho capito perche’ non hai semplicemente chiesto ai tuhao del tavolo a fianco se te la offrivano… una cosa come “dici di essere tanto ricco e poi ti fai problemi per 1500rmb?” e per non perdere la faccia magari te ne offrivano un’altra di bottiglie solo per poter dire di aver fatto le elemosina ad un laowai sfigato :P
Jake dice
Non sono sicuro di aver capito bene l’articolo. Ma cos’è, quella nuova truffa con la quale una ragazza ti addesca per poi portarti in un bordello, farti sesso a piacimento e poi farti circondare da cinque o sei energumeni che, avendoti colto in flagrante a consumare un reato, ti costringono a pagare tot soldi minacciando di denunciarti alla polizia?
Ne avevo sentito parlare da qualcuno, a Shanghai appunto.
Io dico che in Cina se si cercano avventure “particolari” occorre SEMPRE farsi accompagnare da un amico fidato del posto (uomo), soprattutto per le prime volte e nei posti che non si conosce. E’ l’unica maniera per evitare guai.
fabio dice
intendi che la ragazza ti fa fare sesso e poi arrivano gli energumeni che vogliono soldi? ho sentito gente che è stata fragata così 7 volte di fila in una settimana…
Furio dice
Bella domanda… di ‘sta truffa ne parla anche Qiu Xiaolong nel romanzo “Red Mandarin Dress”, dove l’ispettore Chen Cao finisce in un KTV e, appunto, tentano di fargli pagare cifre assurde per un rapporto sessuale peraltro nemmeno consumato. Il romanzo è del 2007, e sta cosa è successa a un mio amico nel 2005, quindi la truffa non è proprio nuova : )
In ogni caso, nel racconto di Francesco, per quello che ho capito io la situazione è ben diversa: il protagonista è entrato in un club, ha preso una bottiglia di Champagne da un tavolo a caso, l’ha aperta, l’hanno sgammato e l’hanno trattenuto sino a che non l’ha pagata.
Francesco Denis Mariano Trocchia dice
In realtà non è proprio un articolo, direi più un racconto creativo che è il genere di cui mi occupo. :-)
Eh si direi che di quella truffa, per quanto a conoscenza, non ne parli in questa storia; è più semplice di quello che sembra e, come dive Furio, ruota attorno al furto dello Champagne. :-)