Quest’anno ho deciso di trascorrere il capodanno cinese in Sri Lanka. La scelta può sembrare originale, ma non lo è. Oltre diecimila cinesi hanno avuto la stessa idea. E così, sulle rampe di Sigiryia, sull’Oceano indiano a Galle, nelle piantagioni di tè, nel Palazzo Reale di Kandy, nelle grotte di Dambulla o tra le rovine di Polonnaruwa, ho sempre – e dico sempre – incontrato orde di turisti cinesi.
L’impennata del turismo cinese in Sri Lanka non è casuale. E’ il frutto di relazioni diplomatico-commerciali che – di base – sono sempre state buone e che negli ultimi anni si sono intensificate. Nel 2007 sono stati stipulati tra i due Paesi importanti accordi di cooperazione, anche nel turismo. Oggi la Cina è il principale partner commerciale dello Sri Lanka nella regione asiatica.
A settembre 2013, il numero dei visitatori cinesi in Sri Lanka è aumentato del 75.4% rispetto a gennaio dello stesso anno (cito per tutti il Global Times: Chinese tourists flock to Sri Lanka).
Entro il 2016, lo Sri Lanka punta ad attrarre 100,000 turisti cinesi all’anno.
Se per anni il Giappone è stato uno dei partner-chiave che hanno investito in Sri Lanka per costruire infrastrutture, il ruolo centrale è ora giocato dalla Cina, come già sta accadendo in Africa e in altri paesi in via di sviluppo.
Qualche esempio. La China National Petroleum Corporation ha ottenuto dal governo cingalese l’autorizzazione per lo sfruttamento di pozzi petroliferi; la Cina costruirà in Sri Lanka due centrali termiche e potenzierà il porto di Hambantota, dotandolo di tutte le necessarie infrastrutture (costo stimato un miliardo di dollari, finanziato all’85% dalla Cina); nel 2013 è stato inaugurato il Terminal Internazionale per i Container a Colombo (500 milioni di dollari, all’85% detenuto da China Merchants International). Sono inoltre state create Zone Economiche Speciali per attrarre investimenti cinesi. Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, ha investito massicciamente in Sri Lanka e ha siglato accordi con le società di telecomunicazioni locali.
E poi ovviamente ci sono le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti e gli armamenti…
Per incrementare il turismo cinese in Sri Lanka, sono state lanciate campagne e intessute nuove relazioni commerciali. Ad esempio, quest’anno nelle principali città cinesi, giravano cento autobus tappezzati con pubblicità dello Sri Lanka.
Ottenere il visto per lo Sri Lanka è questione di un paio di click, cosa di non poco conto per i cinesi, ancora troppo spesso afflitti da barriere burocratiche per viaggiare all’estero.
Arrivare in Sri Lanka dalla Cina con un volo diretto è possibile con Sri Lankan Airlines. Da Shanghai a Colombo sono circa nove ore di volo con un breve scalo tecnico a Bangkok.
Per i nostalgici dei Duran Duran, ho trovato questa chicca di videoclip, Save a Prayer, girato nel 1982 tutto in Sri Lanka.
Arrivo a Colombo
Ranga si fa trovare agli arrivi con dieci minuti di ritardo: doveva uccidere un uomo sul set. Oltre ad avere un’agenzia di viaggi, Ranga fa la parte del cattivo in una soap opera che va in onda ogni sera su un canale nazionale. Lo aspetto con i miei inseparabili stivali da cowgirl, comprati a Dallas da Wild Bill’s.
Sono le otto di mattina e ci saranno trenta gradi all’ombra. Lui mi saluta con una stretta di mano, mi appende al collo una collana di orchidee fuxia, sistema le mie valige nel bagagliaio, si toglie le scarpe, si mette al volante e inizia a telefonare, cosa che farà per gran parte del viaggio.
Comincio il mio on the road verso Anuradhapura, l’antica capitale buddista, a circa 250 km (quattro o cinque ore di viaggio), a nord di Colombo.
E mentre mi lascio alle spalle Colombo (che vedo solo di striscio dal finestrino), mi chiedo perché l’aeroporto Bandaranaike sia pieno di negozi di elettrodomestici. Come se fosse normale comprarsi un frigorifero, una lavatrice o un ferro da stiro, appena atterrati in Sri Lanka.
Anuradhapura: Offerte di fiori e riso all’albero della Bodhi
Anuradhapura: la prima antica capitale del regno singalese
Se ripenso ad Anuradhapura (Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO), mi ritornano alla mente prima di tutto i suoi colori e il suo misticismo: il bianco abbagliante dei dagoba e degli abiti dei pellegrini, i colori delle bandierine buddiste e dei fiori offerti nei templi.
Anuradhapura: Bandiere buddiste davanti al Ruwanwelisayia
Qui tutto ruota intorno all’albero dell’Illuminazione, il Bodhi Tree, il sacro fico ottenuto per talea dall’albero sotto cui il Budda sarebbe stato illuminato… lunga storia… si dice che sia l’albero più vecchio al mondo: duemila anni.
Anuradhapura: Il Ruwanwelisayia – in questo dagoba si dice sia conservata la scodella delle elemosine del Buddha.
Fondata nel quarto secolo a.C., Anuradhapura resterà capitale fino al 1000. Gli edifici più belli sono stati costruiti sotto il re cingalese Dutugemunu, considerato una figura tra realtà e mito. Anuradhapura è meta di pellegrinaggi di migliaia di buddisti perché ospita luoghi sacri come il Bodhi tree o il Ruwanwelisayia, uno degli stupa più grandi al mondo (e di rara bellezza).
Anuradhapura: dei monaci buddisti adornano il Ruwanwelisayia per una cerimonia.
E’ febbraio, fa caldo, l’aria profuma di alberi di frangipani, il cielo è azzurro e Shanghai mi sembra distante anni luce, non certo nove ore di volo, se non fosse per un gruppo di turisti cinesi seduto a fumare e a parlare ad alta voce su un muro che costeggia lo stupa di mattoni più grande al mondo, il Jetawana. Ci sarebbe un cartello che invita a non sedersi e a non camminare sul muro. Da dietro l’occhiale nero, lancio un minatorio “bu keyi” (non si può!) e ci capiamo… Sorrido alla loro guida, una ragazza cingalese che parla un cinese fluente e dallo sguardo intuisco che li tollera.
Anuradhapura: Il Jetawana, lo stupa di mattoni più grande al mondo
La verità è che i turisti cinesi sono ancora poco bene accetti in Sri Lanka, perché sono chiassosissimi – e questo stride con la discrezione del popolo cingalese – non lasciano mance e spendono poco.
Sigirya: la roccia del leone
Sigirya: la villa di Arcore del re Kasyapa
Il trasferimento da Anuradhapura a Sigirya dura tre ore, per percorrere 150 km. Ma durante il tragitto, mi attraversano la strada nell’ordine: un pavone, uno scoiattolo, un’iguana. E fotografo un elefante al pascolo.
Sigiriya, uno degli otto siti UNESCO dello Sri Lanka, è una delle destinazioni più gettonate e si dice sia una delle otto meraviglie. Il nome significa “roccia del leone”. E’ una città fortificata risalente al V. sec. d.C. che nasce dal delirio di onnipotenza e dai sensi di colpa di un re parricida e un po’ fuori di testa, Kasyapa, che l’abiterà per soli undici anni.
Kasyapa era il figlio maggiore del re di Anuradhapura, ma essendo nato da una escort (all’epoca si chiamavano concubine), il regno sarebbe spettato al fratellastro Moggallana, dal pedigree in regola per la successione. Kasyapa, furioso, strappa il potere al padre, imprigionandolo prima e murandolo vivo dopo. Il fratellastro fugge in India, ma anni dopo, torna sul luogo del delitto e vendica la morte del padre impossessandosi del trono. Kasyapa muore suicida, sgozzandosi pur di non farsi catturare dal fratello. Dopo questa breve parentesi truculenta, la capitale del regno torna ad essere Anuradhapura. E Sigirya – archiviati i suoi trascorsi truci – diventa paradossalmente un tranquillo monastero buddista fino al 1300 o 1400.
Gli affreschi di Sigirya. Quando la fortezza è stata trasformata in monastero, è scattata la censura
Nella sua innegabile follia, va però riconosciuto a Kasyapa il merito di aver lasciato un capolavoro architettonico che, a distanza di 1500 anni, costituisce ancora oggetto di ammirazione, per la sua bellezza e per l’abilità degli ingegneri e architetti che hanno costruito una fortezza su una roccia a strapiombo, adornandola di giardini, fontane e piscine (tuttora funzionanti) e i famigerati affreschi che inaugurano uno stile che, con un paragone un po’ azzardato, assimilerei al calendario Pirelli oggi.
Turisti cinesi a Sigirya
A Sigirya mi sono riproposta di tornare, ma in mongolfiera o in elicottero, come suggerisce la snobbissima Luxe Guide. Per risalire il macigno, occorre arrampicarsi su scale e scalette piene di gradini e di turisti (in gran parte cinesi) e quando arrivi in cima, ti godi il panorama, ma ti sei praticamente giocato i quadricipiti e rischi l’infarto.
I giardini terrazzati del Palazzo reale di Sigirya. Pare che, in mancanza di Canale 5, Kasyapa passasse il tempo a guardare le sue concubine a fare il bagno in piscina
Polonnaruwa e Dambulla
Mentre si è a Sigirya, si visita anche Polonnaruwa e Dambulla, atri due imperdibili siti UNESCO.
Polonnaruwa è stata per 300 anni capitale del regno cingalese. Fondata verso il 1070, è tuttora molto ben conservata. Si visitano rovine in mezzo alla foresta, un po’ come ad Angkorwat, in Cambogia, e ci sono statue di Buddha in tutte le posizioni.
Polonnaruwa: il Vatadage visto dall’ingresso con il moonstone e i guardiani
A Dambulla, visito le cinque grotte, con i Buddha in tutte le pose possibili. Una turista cinese viene ripresa da un guardiano perché entra nelle grotte con le infradito. In Sri Lanka, sempre scalzi nei luoghi sacri.
Mentre mi ri-allaccio le scarpe, una scimmia si avvicina di soppiatto e mi ruba dallo zaino un pacchetto di fazzolettini impregnati di lemongrass, poi scappa su un albero e li butta uno a uno per aria, probabilmente delusa che non siano commestibili.
Dambulla
Kandy: Tutto fumo, niente dente di Buddha
Non vorrei sembrare prosaica, ma mi è parso che il presunto fascino di Kandy ruoti molto attorno a questa storia del dente di Buddha, che tra l’altro si vede solo ogni cinque anni, perché è sempre rinchiuso in un reliquiario, un mini-dagoba. Anche il reliquiario viene esibito al pubblico solo in certe ore della giornata in cui i fedeli si riuniscono per la preghiera. Secondo la credenza, chi detiene il dente di Buddha detiene il potere.
Sì, a Kandy c’è il lago artificiale e qualche hotel coloniale, come lo Swiss o il Queen’s, che ti riportano al periodo in cui Ceylon era una colonia inglese. Ma ho avvertito su tutto un’ombra fané che non mi ha entusiasmata. Kandy è anche famosa per la processione degli elefanti che si tiene ad Agosto, la Esala Perhaera, ma essendoci io stata a febbraio, non l’ho vista. E comunque non amo troppo le processioni…
Kandy non mi ha conquistata, benché sia sito UNESCO. Il Palazzo Reale è molto sottotono rispetto ad altri palazzi reali che ho visitato nel sud est asiatico, forse anche perché è stato in parte ricostruito dopo un attentato suicida delle Tigri Tamil. Ha perso la sua patina cinquecentesca ed è vagamente kitsch.
C’è un interessante cimitero monumentale dietro il Palazzo, che ricorda ancora una volta quanto poco longevi fossero gli expat dell’epoca. A occhio e croce morivano a venticinque anni.
Mentre visito il museo annesso al Palazzo Reale, incontro dei cinesi di Xujiahui, un quartiere di Shanghai vicino al mio. Sembrano molto più interessati a scambiare due parole con me piuttosto che continuare a guardare oggetti in peltro in teche impolverate. Come biasimarli?
Uno dei tanti cottage tra le colline del te a Nuwara Eliya
Nuwara Eliya: la little England dello Sri Lanka. Come un tranquillo afternoon tea si trasforma in un chiassoso incontro con una comitiva cinese
Nuwara Eliya è il villaggio vacanze lanciato dagli expat inglesi e scozzesi che nell’Ottocento schiattavano di caldo lavorando a Colombo o facendo i capetti nelle piantagioni del te. Nuwara Eliya è considerata la capitale del te e conserva questa atmosfera impeccabilmente British. C’è un vecchio golf club, ci sono cottage e case inglesi, grandi alberghi dell’epoca, club storici come l’Hill Club, qualche chiesa e l’immancabile cimitero monumentale che, di nuovo, è un covo di venticinquenni occidentali morti di malattia.
A Nuwara Eliya alloggio al Saint Andrew’s, uno storico hotel coloniale. Mentre mi godo il pratino inglese e il classico afternoon tea con gli scones, arriva una ventina di cinesi. Prima si siedono nei tavolini davanti al mio, poi in un attimo invadono tutto lo spazio nel prato. Parlano a voce alta, fumano come turchi e fotografano anche i moscerini con teleobiettivi giganti.
Vista sulle colline del te dalla Tea Factory
Chiedo a una di loro in mandarino di dove sia e scatta l’assedio al mio tavolino. Una folla incuriosita, si precipita a studiare il caso: cosa ci fa un’italiana di Shanghai in Sri Lanka? Ci intervistiamo a vicenda. Questa interazione surreale ci diverte. Ritroverò questo gruppo in altri luoghi turistici e ci saluteremo a ogni tappa come vecchi amici ritrovati.
Treni a bassa velocità
In Sri Lanka ti devi risettare su un rapporto spazio-tempo ben diverso da quello dei treni veloci cinesi, che ormai uniscono in poche ore città lontane (Shanghai- Pechino: circa 1000 km in cinque ore).
Qui la distanza di crociera è sui 50-60 Km all’ora sia sulle strade ferrate che su quelle normali, ma è bello così perché il paesaggio dietro il finestrino ti ripaga sempre, un po’ come quando sei sul vaporetto a Venezia.
Mi imbarco anch’io sul famoso trenino che viaggia ad alta quota e a bassa velocità, tra le montagne e le colline del te. Nuwara Eliya-Ella: tre ore di treno e quarantacinque minuti di ritardo per 125 km. Ma non c’è confronto tra lo charme di questo treno e una corsa elettromagnetica a 400 km all’ora sul Maglev di Shanghai. La stazione di Ella è rimasta com’era centocinquant’anni anni fa. Vecchi tabelloni in legno, vecchie tettoie, e bagni solo per stranieri!
Nell’attesa, attacco bottone con una viaggiatrice di Chengdu che, nonostante il suo look da frikkettona, lavora in un’azienda di stato. Viaggia con un marito filiforme e una figlia tredicenne che fa da interprete e un’altra coppia di amici, anche loro deliziosamente curiosi verso il prossimo.
Saliremo su due treni diversi, scambiandoci i numeri di telefono e la promessa di rivederci in Cina, cosa alquanto irrealistica.
Prendo posto nel mio vagone, mi godo il paesaggio verde fuori, e l’allegria di una famiglia cingalese che viaggia con me, cantando e divertendosi a farsi filmare con il mio iPad.
Arrivata ad Ella, su un piazzale polveroso, ritrovo Ranga e decine di altri autisti a si mescolano tra sari e tuk tuk e che aspettano i loro clienti per proseguire il viaggio.
Ella: immersione nella natura
A Shanghai, uno delle prime cose che faccio quando mi sveglio è controllare AQI, un’application dell’iPhone che ti indica la concentrazione di micropolveri, almeno so se devo uscire con la maschera da astronauta nella concessione francese.
Se a Milano o Torino scattano le targhe alterne appena si sfiorano i 40 per le micropolveri 2.5, qui siamo mediamente sui 100. C’è chi dice che in Italia e in Cina si usino valori diversi e che l’aria di Milano sia anche peggio di quella di Shanghai, solo che nessuno te lo dice.
Su Ella un rimpianto ce l’ho: non essermi fermata almeno una notte in più. Avrei voluto fare più passeggiate tra le montagne, avventurarmi in qualche villaggio locale, godermi un cielo stellato, ammirare un’alba o un tramonto.
Mille e una notte nel Forte di Galle
Al Serendipity Caffé ho un appuntamento con Juliet Coombe per una delle sue imperdibili visite guidate nei segreti del Forte. Juliet ha fatto per anni la fotoreporter di guerra in Asia. Arrivata a Galle come corrispondete durante lo Tsunami del 2004, s’innamora del suo interprete e ora vive nel Forte con il marito e i due figli.
Ha venduto un milione di copie, scrivendo diversi libri su Galle e ha fondato una casa editrice che promuove scrittori emergenti singalesi. I suoi tour sono consigliati dalla Lonely Planet e se viaggiate in Sri Lanka trovate ovunque i suoi libri.
Galle è un piccolo grande salotto sull’Oceano, un universo in miniatura. La gente è aperta, da sempre abituata al contatto con gli altri. Dietro i bastioni di corallo, granito e sabbia costruiti dagli Olandesi c’è un mondo raffinato, tranquillo, arcaico.
I bambini vanno a scuola scalzi, perché le strade sono come il pavimento di casa. (Qui a Shanghai, invece, si mettono le scarpette anche ai barboncini, in modo che non si sporchino le quattro zampe e non inzaccherino casa…)
Nel Forte convivono pacificamente in un minuscolo spazio, milleduecento abitanti con tradizioni e religioni diverse. Quando Galle era uno degli avamposti della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, la VOC, la più grande multinazionale nel Seicento, più di ottanta nazionalità facevano business a Galle per commerciare spezie, gemme, stoffe, porcellane… La metà degli abitanti del Forte è musulmana e, se entri in un negozio o in un ristorante all’ora della preghiera, ti liquidano senza tanti complimenti, chiedendoti di tornare dopo che hanno finito alla moschea.
Curry di anatra arrosto e vermicelli di riso… Sembra un menù fatto apposta per compiacere i turisti cinesi, che anche qui, non mancano.
Ritrovo la mia comitiva caciarona dell’afternoon tea di Nuwara Elya sui bastioni del Forte che mi saluta entusiasta.
A una ragazza di Pechino con l’aria furbetta e gli occhiali da artista wannabe chiedo che cosa le sia piaciuto di più dello Sri Lanka e mi risponde “gli uomini!”, mentre il suo fidanzato cinese mi fa un sorrisino di circostanza.
Ma l’incontro più memorabile è quello con tre giovani yuppies che cenano al tavolo accanto al mio, al Galle Fort Hotel. Elegantissimi nell’aspetto e nei modi, parlano in mandarino. Di dove potrebbero essere? Forse di Taiwan o Singapore o sono dei Cinesi-Americani? Stento a credere che siano della Cina continentale, e invece… Al dessert la mia curiosità prevale e parto con la mia domanda di rito, con cui ho attaccato più bottoni in questo viaggio che in tutta la mia vita in Cina: ni shi nali ren? Di dove siete?
Mike è di Guangzhou, ma ha studiato a Boston e lavora ad Hong Kong in un noto studio legale inglese, Henry è di Shanghai e lavora a trenta metri da casa mia da Goldman Sachs, Kelly è di Pechino, sembra un’attrice e dopo la laurea alla London Business School of Economics, fa la banker a Hong Kong. Henry mi invita ad unirmi al loro tavolo e ordina un’altra bottiglia di rosso. Sono contenti che sia italiana, perché in Italia sono stati più volte ed è uno dei paesi che amano di più, almeno così mi dicono. Hanno viaggiato ovunque e avranno trent’anni scarsi. Li ascolto: sono chic, simpatici, spontanei. Chiacchieriamo finché rimaniamo solo più noi quattro, nel cortile settecentesco di questa vecchia casa di mercanti olandesi. Sono loro la Nuova Cina.
Tartarughe, balene e delfini si danno l’appuntamento sulla spiaggia oltre i bastioni. All’alba devo tornare a Shanghai.
Photo Credits: Photos by Emanuela Verrecchia
Emanuela dice
Ciao, Jelen!
Se vai su Tripadvisor, trovi una serie di autisti e guide raccomandati dai viaggiatori. Di solito i più gettonati ricorrono spesso come nomi e vengono forniti i recapiti e i prezzi.
Lo Sri Lanka, pur senza raggiungere i livelli di suspense che ti regalano certi on the road indiani, non brilla per sicurezza stradale. Colpa delle strade e anche degli autisti. Ranga (il mio autista-attore di soap) mi diceva che molti autisti, compresi anche alcuni dei suoi, bevono e poi guidano brilli. Pare che questo sia abbastanza ricorrente in Sri Lanka… Lo stesso Ranga, come ho scritto nel mio racconto, pur essendo sobrio, guidava in ciabattine (o scalzo) e stava al telefono – senza auricolare o vivavoce – mentre era su stradine piuttosto impervie.
Quando richiederai un preventivo alle agenzie, raccomandati quindi molto sulla affidabilità ed esperienza dell’autista e assicurati di avere un’auto affidabile, possibilmente un fuori strada. Ranga, ad esempio, pur essendo il capetto della sua agenzia, per qualche motivo, si era fatto prestare l’auto da suo cugino per il mio tour, senza peraltro nemmeno fare una tappa all’autolavaggio. Ciliegina sulla torta, tra Ella e Galle, ci hanno fatto la fiancata mentre eravamo fermi in coda. Un camioncino di supporter della candidatura di un politico che Ranga definiva sfigato, ai 10 km all’ora, e con una mira infallibile, ha centrato due sportelli della già malandata utilitaria del cugino di Ranga.
Prendi l’autista, ma non rinunciare anche a una breve tratta sui treni a bassa velocità.
Jelen dice
Ciao Emmanuela!!
Thank you so much! I’m running to Tripdvisor now to see what I can get!
Jelen dice
Ciao Emanuela! Great post! I can write italian but I have to think too much, as it’s been so long without practicing, so english will be faster.
I’m a friend of Furio, he told me to read your post as I’m travelling to Sri Lanka in a couple of months.
I have a question, do you have any recommendations on how to book a driver? We only have 11 days, so I think it’ll be the easiest and fastest way of visiting.
Thanks a lot!
s dice
“l’aria di Milano sia anche peggio di quella di Shanghai”, che è vero!
cristina dice
Manu take care ….non vorrei ritrovarti con la catena alla caviglia in una piantagione in Sri Lanka :-)
Emanuela dice
Grazie, cara. meno male che c’è ancora qualcuno che mette i LIKE. ;-)
Di ritorno da Galle a Colombo, avvicinandosi all’aeroporto, ho notato una strada nuova, molto simile a quelle che si vedono in Cina. ho chiesto a Ranga (la mia guida) chi l’avesse costruita.
“Chinese prisoners” mi risponde. In effetti, anche se la questione è parecchio dibattuta, i Cinesi che “finanziano” il loro neocolonialismo nei paesi in via di sviluppo, pare facciano di frequente uso di prigionieri (sono gratis!…). Per la cronaca, la Cina ha un milione ammezzo di prigionieri. Ho visto anche un bel documentario sul punto riguardo all’impiego di condannati cinesi in Africa.
La letteratura sull’impiego di prigionieri cinesi in Sri Lanka non manca. cito per tutti:
Sunday Times, “Chinese prisoners used in Lankan development projects”, http://www.sundaytimes.lk/091206/BusinessTimes/bt18.html The Guardian, “China’s newest export: convicts”, http://www.theguardian.com/commentisfree/libertycentral/2010/jul/29/china-export-convict-labour, very interesting the comment of the Chinese Embassy to London at the end of this article… Asian Tribune quoting Japan Times, “Chinese nationals in Sri Lanka’s southern port are ‘convicts’ forced into labour by Beijing-Japan Times” http://www.asiantribune.com/news/2010/07/05/chinese-nationals-sri-lanka’s-southern-port-are-‘convicts’-forced-labour-beijing-jap
Questo argomento dei prigionieri cinesi che lavorano in Sri Lanka ha creato un mezzo putiferio in un simpatico gruppo di SRI LANKAN PROFESSIONALS su LInkedin a cui ho avuto la bella idea di aderire. Alcuni sono scandalizzati che io possa avere un simile sospetto (a parte il fatto che lo dice anche Ranga…) e un tipo (ex militare mmhh con sguardo minaccioso anche in fototessera) mi ha detto che ho citato artatamente articoli: come possono due governi fare un simile commercio di uomini illegale? (???)
Altri invece dicono che è vero ma sono inferociti che i cinesi facciano il lavoro che potrebbero fare i locali. per di più dei carcerati.
cristina dice
Great Manu !!!!